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Sindrome del colon irritabile e Ipnosi

La Sindrome del Colon Irritabile è una problematica caratterizzato da ipersensibilità dell’intestino crasso che comporta l’alternarsi fastidioso di stitichezza e scariche diarroiche, accompagnate da dolori addominali.

I sintomi arrivano quasi in modo imprevedibile e interferiscono con la vita quotidiana. Prendere un mezzo pubblico, salire in aereo, fare una fila, diventano situazioni preoccupanti e ansiogene, tanto da far aumentare le condotte di evitamento ed ansia sociale. Frustrazione e depressione possono scaturire da tale problematica, oltre ad un  costante vissuto di imbarazzo.

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Come ormai comprovato da molti studi e dalla stessa psicosomatica, esistono diversi collegamenti tra cervello e intestino. Inoltre,  l’intestino contiene molti neurotrasmettitori simili a quelli cerebrali, assolvendo   anche a funzioni di elaborazione. Sappiamo  che i due organi sono in intimo contatto tra loro,  permettendo così  un’elaborazione di ciò che ci accade e di ciò che viviamo  ad un livello “alto” e uno “basso”.

 

La sindrome del colon irritabile è molto diffusa ed è al contempo, sottovalutata. Sembra che in Italia ne soffra almeno il 18% della popolazione, con una prevalenza tra le donne.
Colpisce soprattutto persone che operano in contesti stressanti o persone che vogliono fare a tutti i costi carriera o che si obbligano a raggiungere standard elevati, tanto che negli USA viene anche chiamata “career woman’s disease” o malattia delle donne in carriera!

Se da un lato la sindrome del colon irritabile è considerata di natura funzionale, dall’altro lato, non sembra ci siano cause organiche  dimostrabili. Essa tende a peggiorare se non affrontata da uno specialista, soprattutto perché comporta disagi psicologici aggiuntivi e a causa dei diffusissimi rimedi “fai da te”!

Nonostante importanti connessioni tra fattori fisiologici e sociali, le cause della sindrome sono però soprattutto psicologiche:

  • Perfezionismo.
  • Conflitto di ruolo, ovvero il modo di rapportarsi al mondo.
  • Tendenza ad auto colpevolizzarsi.
  • Tendenza ad assumersi la responsabilità di qualsiasi evento negativo.
  • Elevati livelli di autocondanna.
  • Autozittirsi, assecondando le altrui esigenze.
  • Sottovalutazione di se stessi.
  • Autoefficacia labile.
  • Evitamento del conflitto.
  • Sviluppo di un  falso sé, per soddisfare le richieste sociali.

Dove Mirco Turco

Rompere lo schema  cognitivo e comportamentale è al pari molto importante per affrontare e gestire la problematica. La persone con sindrome del colon irritabile, sovente, pone un’attenzione selettiva alle sensazioni del corpo ed effettua, successivamente,   un’interpretazione catastrofica di esse. Qualsiasi sensazione viscerale viene rapportata così al problema intestinale e  cominciano ad innestarsi svariati pensieri negativi: “sto male … dovrò scappare in bagno … che figura …”. Ciò comporterà ulteriore stress ed  ansia.

Se da un lato farmacologia e dieta adeguata sono i trattamenti storici, è importante anche un supporto psicologico al fine di ridurre intensità e frequenza dei sintomi, ridurre e gestire stress ed ansia, migliorare la qualità della vita in generale.

Le persone con sindrome del colon irritabile alternano il loro atteggiamento mentale, da chiusura ad apertura; sono persone che  danno e trattengono, legittimano i propri bisogni e li negano, si arrabbiano e reprimono, vivendo sempre in un grande dubbio. L’insicurezza gioca un ruolo fondamentale nella loro vita. La fiducia in sé stessi e l’autostima vacillano quotidianamente.
Dare forma ai propri bisogni, lavorare sull’ipersensibilità alle critiche esterne, superare la passività, dare un nuovo equilibrio alle relazioni, senza paure e sensi di colpa, diventano tappe obbligate di una terapia psicologica della persona con sindrome del colon irritabile.

Alcuni studi specialistici (Webb AN, Kukuruzovic RH, Catto-Smith AG, Sawyer SM, “Hypnotherapy for treatment of irritable bowel syndrome”; Wilson S, Maddison T, Roberts L, Greenfield S, Singh S; dello Birmingham IBS Research Group, “Systematic review: the effectiveness of hypnotherapy in the manaement of irritable bowel syndrome.” Aliment Pharmacol Ther. 2006 Sep 1;24(5):769-80, …), dimostrano come l’IPNOSI sia molto efficace nel trattamento della  Sindrome, poiché non comporta alterazioni strutturali del corpo e riduce le sensazioni dolorose. Inoltre, smuove risorse e potenzialità, mobilitando energie e qualità per affrontare e gestire al meglio la propria esistenza.

Attraverso l’ipnosi e mediante alcune tecniche che possono essere utilizzate dal paziente in piena autonomia, viene ridotto progressivamente l’impatto negativo della sindrome e si riduce l’incidenza dell’ansia. Parallelamente, lo stress derivante viene ridotto e gestito strategicamente, consentendo un riappropriarsi della propria vita e un migliorando globale del benessere dell’individuo.

L’ipnosi non è controproducente e non ha alcun effetto collaterale. Risulta una pratica psicologica e medica sempre più pragmatica e utile per l’equilibrio psicofisico.

Dicono di noi Unique Antistress Quality

Ipnosi e bambini

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IPNOSI E BAMBINI

La terapia ipnotica con i bambini non è differente da quella con gli adulti ma, di certo, è il modo di somministrarla che ovviamente cambia!

Il bambino ha una generale curiosità verso il nuovo, è un esploratore instancabile e desidera fare sempre nuove esperienze. La sua predisposizione a nuovi apprendimenti lo rende un “buon soggetto ipnotico”.

Il chirurgo che dice al bambino di 4 anni “… adesso questo non ti fa male, non è vero?”, sbaglia già da subito. Diverso è dire “… adesso questo potrebbe farti male, ma credo che tu possa fermare un bel po’ del male, forse anche tutto …”. In questo secondo caso siamo davanti ad una frase “ipnotica”! “… può darsi che tra poco il dolore svanisca, tra un minuto o due” è un altro esempio suggestivo.

In sostanza, con il bambino, difficilmente useremo una tecnica formale o ritualizzata di ipnosi. Egli ha una grande capacità eidetica, una naturale fame di imparare e una necessità di partecipare alle diverse attività di finzione, imitazione e immaginazione.

La tecnica ipnotica, ovviamente, va spiegata in primis ai genitori come una strategia naturale e non artificiosa, come una comunicazione ecologica   e quindi non invasiva.

Luca, un bambino di 7 anni, soffre di emicrania (lato dx). Giunge con la madre che spiega genericamente la situazione e tutti gli esami clinici  effettuati che escludono possibili patologie rilevanti da un punto di vista medico. La mia attenzione è focalizzata sul bambino, per creare, da subito, rapport, anche con un “gioco di faccine” o comunque tramite mirroring (rispecchiamento). Faccio parlare poi Luca del “suo mal di testa”. Prontamente reagisce e interagisce, mostrando, ovviamente, predisposizione all’immaginazione. Insieme, con tecniche ipnotiche conversazionali, “costruiamo” un supereroe, Mister x, che da quel momento, sarà sempre al suo fianco (dx) e interverrà, con le sue armi magiche, all’occorrenza.

… il dolore viene immaginato da Luca come una nuvoletta grigia che si avvicina ed entra nella sua testa ma ora, con Mister x, quella nuvoletta “sarà cacciata via e ridotta a pezzettini bianchi, spazzati via e allontanati dal potere del vento”.

Con due sedute ipnotiche l’emicrania di Luca è scomparsa. I genitori hanno appreso che il dolore non ha solo cause organiche!

Giulia, una ragazzina di 9 anni, ha subito un intervento al braccio dx e  lamenta, a distanza di diversi mesi, un dolore ancora forte alla ferita. Appassionata di trucco e profumi, costruisce con la sua fervida immaginazione una “crema curativa”, con proprietà anestetiche, rinfrescanti e rigeneranti! Da quel momento gestirà meglio il dolore che sin dalle prime sedute, si trasforma in un leggero fastidio!

Ricordo ancora un bambino che piangeva sulla spiaggia. La madre non riusciva a calmarlo. Mi avvicinai abbassandomi alla sua altezza con un bicchiere di plastica vuoto … “continua a piangere, lentamente e fallo finché il bicchiere sarà pieno delle tue preziose e giuste lacrime … anzi, forse me ne serviranno 20,25, forse 30 o di meno … mi serviranno per costruire un grande castello di sabbia lì, vicino alla riva, vedi?

Il bambino terminò di piangere istantaneamente e … fece ovviamente il castello insieme a me!
Nell’ipnosi, come nella comunicazione in generale, con i bambini, così come con gli adulti, occorre sempre partire dal grande e naturale bisogno di essere compresi …

A proposito di Ipnosi Regressiva

A proposito di IPNOSI REGRESSIVA.

Intervista introduttiva al seminario allo psicologo Mirco Turco.

http://www.cortegrandeonline.it/2014/12/i-colori-dellanima-seminario-di-ipnosi-regressiva/
Abbiamo veramente vissuto altre volte? Queste vite condizionano quella attuale?
“Un’anima può rincarnarsi per un certo numero di volte in diversi corpi e in questa maniera può correggere il danno compiuto in precedenti incarnazioni. Similmente può raggiungere la perfezione che non riuscì a raggiungere nelle precedenti incarnazioni”.
Già Platone nel mito di “Er” proietta questa idea sullo scenario mitico della metempsicosi:“… tutte le anime avevano scelto le rispettive vite, si presentavano a Lachesi dell’ordine stabilito della sorte. A ciascuno ella dava come compagno il demone che quegli si era preso, perché  gli  fosse guardiano durante la vita e adempisse il destino da lui scelto”.

eye-462267_1280Attraverso le tecniche di regressione  possiamo comprendere il senso profondo del nostro destino?
La regressione ci permette di trovare le chiavi che ci aiutano a capire noi stessi e risolvere i nostri disagi in un cammino di crescita e di trasformazione interiore. Scoprendo, come dice Jung, che perlomeno a livello inconscio siamo tutti collegati con la storia dell’umanità.
La scoperta delle vite passate non è soltanto un’emozionante avventura spirituale: nei luoghi più profondi della memoria, infatti, si possono trovare soluzioni a problemi e disagi della vita presente, facendo emergere alla coscienza i nodi bloccanti. Sciogliere questi nodi significa conquistare una libertà interiore regalando un viaggio indimenticabile e benefico nelle vite che saranno.
Cosa non è ipnosi?
L’ipnosi non ha niente a che vedere con la perdita della coscienza. Quando si è ipnotizzati, la mente conscia resta comunque vigile, controlla ciò che si sta vivendo e, nonostante sia a stretto contatto con il subconscio, commenta, critica, e censura. Si è sempre padroni di quel che si dice: l’ipnosi non è il siero della verità e non si può, quindi, rimanere “intrappolati” nel sonno ipnotico!
Lo stato ipnagogico è un momento creativo: quando lo attraversa, la mente è completamente rivolta verso il mondo interiore e può usare le ispirazioni del subinconscio. E’ uno stato di grazia, privo di confini e limitazioni, in cui si ha libero accesso a tutte le proprie risorse senza alcuna restrizione autoimposta.
L’ipnosi non nasconde alcun pericolo, Il soggetto sotto ipnosi ha il completo controllo della situazione. Ascoltare una voce guida aiuta il cliente a concentrarsi e gli consente di raggiungere un livello più profondo di rilassamento.
Cosa può emergere durante l’ipnosi?
Ciò che emerge grazie alla regressione presenta notevoli analogia con potenti archetipi universali descritti da C. Jung. Tuttavia, non si tratta di materiale archetipo o simbolico ma di veri e propri frammenti di ricordi che si snodano dal passato al presente.
Nonostante studi discordanti, esistono svariate evidenze scientifiche che considerano l’ipnosi come una tecnica per aumentare quantità e qualità del ricordo.
L’Ipnosi Regressiva è una tecnica che permette di ricercare alcune cause di confitti attuali in età precedenti e in mondi remoti, in spazi e tempi diversi, alternativi, atavici.
Qual è lo scopo?
Lo scopo dell’ipnosi regressiva è risolvere un disagio, una problematica che ostacola la vita della persona. Sovente, si ricorre all’ipnosi regressiva quando non si riesce a dare una spiegazione soddisfacente a problemi, sofferenze, difficoltà.
L’ipnosi è una forma elettiva di comunicazione, è uno stato naturale, è anche recuperare forze, energie, potenzialità  e risorse.

Combat Stress

Il termine STRESS indica uno stato di tensione, ansia o preoccupazione che determina un malessere diffuso associato a conseguenze progressivamente negative per l’organismo e per lo stato emotivo del soggetto.

Lo stress può essere considerato anche come un rapporto complesso tra soggetto e ambiente. Notoriamente, sono 3 le fasi tipiche dello stress:

  1. Fase di allarme, in cui si mobilitano le risorse.
  2. Fase di resistenza, in cui si controlla lo stress.
  3. Fase di esaurimento, in cui vengono consumate le riserve.

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Conoscere e gestire lo stress è fondamentale anche in caso di Difesa Personale. Troppo stress riduce, in ogni caso, qualsiasi tipo di performance, così come bassi livelli di stress inducono una sorta di demotivazione. È necessario, quindi, un livello di stress ottimale.

Ai fini della prevenzione del rischio e della riduzione delle minacce, è auspicabile un repertorio comportamentale che ogni professionista ma anche ogni cittadino dovrebbe conoscere e implementare:

  • Assumere atteggiamento riservato.
  • Attuare una “scansione” dell’ambiente.
  • Consolidare il “diritto alla difesa”.
  • Ridurre gli atti impulsivi.
  • Eliminare progressivamente l’improvvisazione.

La mentalità difensiva ci permette di evitare situazioni oggettivamente rischiose. Le abitudini, le ripetizioni, la routine, rendono le persone facilmente identificabili, vulnerabili e prevedibili. Altri atteggiamenti da sviluppare sono:

  • Osservare e monitorare.
  • Gestire la sfera territoriale.
  • Conoscere rituali che aumentano o riducono l’aggressività.
  • Individuare le fonti di pericolo e le vie di fuga.
  • Gestire i segnali di eccitamento e sottomissione.
  • Creare diversivi.

Ogni professionista che si occupa di difesa personale o comunque di sicurezza e ogni persona che si avvicina a tali settori deve necessariamente conoscere quali possono essere le alterazioni percettive e cognitive sotto stress acuto. Si parla proprio di CSR, Combat Stress Reaction che comporta, di fatto, non subire passivamente, le reazioni fisiologiche ed emotive scatenate da stress e paura.

Gli studi di settore e l’analisi statistica, evidenziano l’insorgenza di alcune reazioni tipiche in caso di combattimento sotto stress:

  • Udito ridotto.
  • Tunnel vision.
  • Sensazione di pilota automatico.
  • Percezione del tempo rallentato.
  • Alterazioni della memoria.
  • Dissociazione.
  • Suoni amplificati.
  • Paralisi temporanea.

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Da un punto di vista fisiologico, è di notevole rilevanza considerare come l’alterazione di alcuni parametri fisiologici (es. bpm), inficia la performance generale del soggetto. Ad esempio:

80 bpm – frequenza normale.
115 bpm – deterioramento delle abilità motorie fini.
145 bpm – deterioramento delle abilità motorie complesse.
175 bpm – deterioramento dei processi cognitivi , vasocostrizione, perdita della visione periferica, effetto tunnel , perdita della percezione profondità/distanza , esclusione uditiva.
oltre i 175 bpm: – reazioni irrazionali di attacco e fuga , paralisi, perdita del controllo di svinteri/vescica , attività motorie grossolane.

Questi sintomi/effetti sono specifici dello stress da combattimento e non compaiono affatto in
altre forme di stress, come per esempio nel combattimento sportivo o nello sport intenso!

Un settore molto importante, sicuramente da approfondire in ottica prevenzione e sicurezza è la stenografia percettiva che trae origine da alcuni studi condotti dal FBI circa il modo in cui, alcuni operatori, subiscono aggressioni, anche gravi.

Il nostro cervello è bombardato da miliardi di stimoli e per “economia” abbiamo la necessità di categorizzare e schematizzare ogni cosa. Spesso, compiamo però degli errori, anche nel modo in cui elaboriamo certe informazioni.

Si è appurato, ad esempio, che almeno il 60% degli aggrediti non si è accorto che stava avvenendo un’aggressione. Di contro, la stragrande maggioranza degli aggressori sostenevano che erano convinti di cogliere alla sprovvista i malcapitati. Compiamo quindi, sovente, azioni ingenue che ci “predispongono” a diventare vittime.

Uno studio degli anni ‘90 mise in evidenza che il 75% di operatori di polizia, che avevano subito aggressioni e ferite anche mortali, erano a circa 10 piedi dall’aggressore. Si parla, infatti, di Killing zone. Quali percezioni o distorsioni li hanno portati nella Killing zone?

Una volta elaborata l’informazione di “non pericolo”, mente e corpo diventano  più lenti. Cambiare rotta diventa così più faticoso!

Il fenomeno della stenografia percettiva si verifica, ad esempio, quando incontriamo persone conosciute o note e con persone che sino a quel momento hanno dimostrato certi atteggiamenti classificati come “innocui”. È naturale ma comunque errato “abbassare la guardia”. In tali errori cadono spesso anche le forze di polizia. Occorre, quindi, conservare sempre un atteggiamento di allerta, anche nei confronti di soggetti noti, poiché il comportamento umano ha sempre una percentuale di imprevedibilità.
Il combattimento che si vince realmente però è sempre quello che si riesce ad evitare!

Security & Self Defense

SECURITY & SELF DEFENSE

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La Sicurezza può essere intesa in modo duplice come qualcosa di reale, tangibile ma anche come una sensazione. In realtà, si dovrebbe parlare soprattutto di percezione della sicurezza.

La sicurezza può essere associata alla probabilità che si verifichino determinati rischi in rapporto alle misure di protezione. La sicurezza, però, è legata anche e soprattutto alle reazioni psicologiche  e alla valutazione o stima del rischio. Inoltre, essa comporta una valutazione ponderata dei “guadagni e perdite” (trade-off).

Chiudere a chiave la nostra abitazione quando usciamo è un nostro trade-off, così come quando decidiamo di percorrere una certa strada. Continuamente, anche in modo inconsapevole, compiamo sempre trade-off.

Analogamente, compiamo degli errori quando esageriamo  alcuni rischi e ne minimizziamo altri.

La percezione del rischio è un processo cognitivo coinvolto in diverse attività quotidiane e orienta, di fatto, i nostri comportamenti. A volte, temiamo situazioni che non sono rischiose o non temiamo situazioni che invece lo sono. Tale discrepanza dipende:

  • dal controllo: quanto controllo è possibile esercitare sugli eventi che determinano un rischio/pericolo;
  • da quanto volontariamente la persona ha deciso di affrontare una situazione rischiosa/pericolosa;
  • da quanto gravi sono le possibili conseguenze.

Valutare e reagire adeguatamente davanti ad un rischio è un’attività fondamentale. Esiste una struttura cerebrale, l’amigdala, situata nel lobo temporale mediano, che è deputata a questo. È responsabile di processare le emozioni di base che vengono da input sensoriali come la rabbia, la fuga, la paura, l’atteggiamento difensivo.

È una parte del cervello molto antica e produce adrenalina e altri ormoni che attivano la risposta “combatti o scappa”.

L’essere umano è dotato anche della corteccia cerebrale che interviene facendoci ragionare e valutare le varie situazioni. Siamo dotati, dunque, di un sistema primitivo ed intuitivo e di uno avanzato e analitico.

Nella vita di tutti i giorni, sovente, ci affidiamo a delle “scorciatoie”, definite euristiche, che influenzano, di fatto, il modo in cui interpretiamo i rischi.

  • Siamo portati a credere che noi faremmo meglio di quanto hanno fatto gli altri nella stessa situazione (pregiudizio dell’ottimismo).
  • Valutazione automatica sulla base del coinvolgimento emotivo (euristica del coinvolgimento).
  • Tendiamo, sovente, ad essere influenzati dai numeri (euristica della probabilità).
  • La disponibilità delle informazioni che abbiamo in memoria ha maggior peso di quelle che non ricordiamo subito o cognitivamente più complesse (euristica della disponibilità).
  • Attribuiamo la probabilità che un certo evento appartenga ad una classe in base al livello di  rappresentatività (rappresentatività).

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Ripensare alla sicurezza come una vera sensazione soggettiva diventa di strategica rilevanza.

L’aggressione è un atto attraverso il quale chi aggredisce arreca offesa verso uno o più soggetti (vittima/e). Lo scopo è ledere, offendere, distruggere o comunque superare un ostacolo.

Sorvolando sulle diverse definizioni e teorizzazioni che negli anni si sono succedute, l’aggressività è insita nella natura ed è fondamentale per la sopravvivenza. In ogni caso, è sempre frutto di interazione tra più fattori (biologici, psicologici, sociali).

L’aggressione ha generalmente due componenti principali:

  1. L’innesco, un qualsiasi diverbio che tende a trasformarsi con rapidità.
  2. L’escalation, conflitto che genera una crisi.

In termini dinamici, invece, possiamo parlare di:

  1. Fase di crisi: evento inusuale con accezione negativa.
  2. Fase di reazione: attivazione di meccanismi di difesa.

Sarebbe auspicabile esercitare sempre e comunque un self control, ovvero un repertorio metodologico e operativo che consente di mantenere la razionalità e la valutazione oggettiva della situazione.

Quando si parla di aggressioni, possiamo, al contempo, fare una differenziazione su base statistica:

  • Aggressioni da parte di malviventi abituali.
  • Aggressioni da parte di teppisti/vandali.
  • Aggressioni conseguenti a liti.
  • Aggressioni da parte di soggetti in stato di alterazione mentale.
  • Aggressioni dovute ad altri scopi.

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È auspicabile, comunque, valutare sempre le situazioni di estrema pericolosità, così come considerare il caso di una persona sotto influenza di sostanze stupefacenti. In tal caso, ad esempio, dovremmo anche tener conto delle alterazioni della soglia del dolore, della mancanza eventuale di equilibrio e delle evidenti difficoltà nell’eventuale  dialogo. Andrebbe quindi effettuato un vero scanning della persona e della situazione.

In ottica di prevenzione, è importante approfondire anche quel settore di studi conosciuto come vittimologia. È una disciplina che studia la sfera bio-psico-sociale di una data vittima ma anche il rapporto tra essa e l’aggressore, così come l’ambiente e il quadro fenomenologico di un determinato reato/crimine.

La vittimologia si occupa anche delle conseguenze psicofisiche dei diversi reati e crimini e di come questi siano percepiti, subiti e vissuti dalla vittima. Possiamo, pertanto, specificare la seguente utile  classificazione:

  • Vittima elettiva o ad alto rischio: es. bambini, anziani, donne, …
  • Vittima vulnerabile: es. persone che per svariate ragioni, anche legate alla residenza o ad aspetti socio-ambientali, conducono una vita più esposta al rischio.
  • Vittima appetibile: es. una persona benestante.
  • Vittima precipitate: es. una persona che interviene per sedare una rissa e diventa bersaglio sostitutivo.
  • Vittima casuale: vittima dovuta al caso fortuito.

Il senso della percezione della sicurezza è legato sicuramente anche al contesto e all’ambiente esterno e quindi ai differenti scenari in cui possiamo trovarci ma anche al nostro senso di efficacia che può cambiare, in primis, con la conoscenza e poi, acquisendo, progressivamente, una formae mentis differente, più consapevole e proattiva.

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Neuroni allo Specchio - Dottor Mirco Turco

“Neuroni allo specchio”. Tra nuovi apprendimenti e tecnoconvinzioni.

Neuroni allo specchio”. Tra nuovi apprendimenti e tecnoconvinzioni.

Un mio intervento al “Montessori Day” svolto nel 2016, con la presenza di diversi esperti, tra cui l’Ing. M. Valle, scienziato computazionale. Nel seguente articolo si riportano alcune riflessioni in seno alla metodologia montessoriana, parallelamente a precisazioni e scoperte psicologiche e neuroscientifiche, anche alla luce dell’apprendimento del bambino e delle nuove tecnologie.

Percepire, pensare, sperimentare, sentire, agire, sono azioni che lasciano delle tracce mnemoniche. Probabilmente, senza le memorie, non saremmo quelli che siamo! Il cervello si modifica attraverso l’uso e affermerei, di conseguenza, che conviene sempre “usarlo bene”!

Oggi, la scuola odierna, dovrebbe forse interiorizzare meglio la sensata convinzione che gli studenti devono imparare a pensare da soli, acquisendo ciò che serve dalle fonti, ponendo domande critiche, valutando, esaminando, disponendo i pezzo di un puzzle per formare immagini coerenti. La stessa Montessori affermava: “Il piccolo rivela se stesso solo quando è lasciato libero di esprimersi”. Lo strumento più evoluto, a mio avviso, rimane sempre e comunque il Gioco.

Chi impara a fare il giocoliere registrerà un ampliamento delle aree del cervello responsabili dell’elaborazione del movimento visivo, così chi impara a suonare la chitarra, il violino, … mostra un aumento di volume della regione cerebrale che comanda le dita della mano.

Il gioco è un lavoro serio direi! Nel gioco i bambini sono attivi, ma lo sono anche in tutta una serie di mansioni quotidiane che essi fanno con gioia, per il piacere dell’attività e dei movimenti che comportano … Muoversi è fondamentale per l’essere umano e quindi per qualsiasi tipo di apprendimento. Tra l’altro, è l’unica cosa che ci conviene fare quando ci sentiamo depressi …

Il nostro cervello è l’organo più complesso ma anche il più dinamico. Si modifica in base all’utilizzo e se non viene utilizzato, l’hardware neuronale viene smantellato. I neuroni sono quindi come i muscoli. Con l’allenamento, infatti, l’encefalo non aumenta nel complesso ma si implementano le elaborazioni attraverso gli impulsi elettrici. In fondo, stiamo parlando di cento miliardi di cellule nervose, ciascuna con circa diecimila legami con le altre cellule nervose. Un milione di miliardo (10 alla 15) di sinapsi!

Queste sinapsi mutano in continuazione a seconda che vengano utilizzate o meno (si atrofizzano fino a morire quando rimangono inutilizzate).

Nella scuola moderna, così come nella vita direi, è importante esercitare il problem solving e parallelamente la tolleranza alla frustrazione per il raggiungimento di un obiettivo. Sperimentare e sperimentarsi con la frustrazione è dunque fondamentale.

Ciò che ci caratterizza non è l’involucro fisico, bensì la nostra vita, le nostre esperienze e tutto ciò si trova all’interno del cervello. Gottried Wilhelm Leibniz lo sapeva già. (Matematico e filosofo tedesco che oltre trecento anni fa ideò il calcolo integrale, procedimento per sommare quantità infinitesimali). Nello stesso modo disse che nel cervello avvengono tantissime cose che hanno effetti visibili, senza che noi ne abbiamo coscienza. La somma di tutto rappresenta la nostra persona!

La Montessori definisce il bambino come un embrione spirituale” nel quale lo sviluppo psichico si associa allo sviluppo biologico. Nello sviluppo psichico sono presenti dei periodi sensitivi, definiti “nebule”, cioè periodi specifici in cui si sviluppano particolari capacità. Se da 0 a 3 anni il bambino ha una mente assorbente, la sua intelligenza opera inconsciamente assorbendo ogni dato ambientale ed è proprio in questa fase che si formano le strutture essenziali della personalità; dai 3 a 6 anni inizia invece l’educazione prescolastica. Alla mente assorbente si associa la mente cosciente. Il bambino sembra ora avere la necessità di organizzare logicamente i contenuti mentali assorbiti.

Esperienze, emozioni, riflessioni, azioni lasciano dunque tracce mnemoniche. Gli impulsi elettrici trasmessi dalle sinapsi modificano le sinapsi stesse rendendole più efficienti. Su un lungo periodo si creano dei veri e propri percorsi. Questi percorsi sono tracce strutturali e rappresentano ciò che chiamiamo neuroplasticità o più semplicemente apprendimento.

Chi sperimenta, prova, rielabora, possiede molte tracce nel cervello che gli permettono di orientarsi nel mondo e di agire in maniera efficace. È noto che quando i ratti hanno la possibilità di muoversi con maggiore frequenza, sviluppano un maggior numero di cellule nervose …

È importante allora essere impegnati in compiti via, via, più complessi, che richiedano valutazione, decisione, azione, confronto con gli altri.

In ambito apprendimento fa riflettere il così denominato “effetto Zeigarnik o Cliffhanger”: le azioni che non vengono portate a termine vengono ricordate in media due volte meglio rispetto a quelle concluse!

Parallelamente, le domande aperte e quindi non condizionate sono il modo migliore per stimolare lo sviluppo linguistico di un bambino, perché favoriscono la rielaborazione dei contenuti nella sua mente. Di conseguenza è la volontà riproduttiva a causare l’imprinting, in misura maggiore di fronte a compiti irrisolti. Il pensante impara in maniera più durevole! Lo sforzo attivo ma inutile di ricordare un vocabolo favorisce la memorizzazione del vocabolo molto meglio di una lettura ripetuta. Martin Heiddegger, filoso tedesco, già sosteneva “Un tentativo mancato è più utile per la memorizzazione rispetto al semplice ripasso”.

Le neuroscienze ci aiutano, inoltre, a comprendere anche quella che chiamerei rimozione intenzionale. Gli studenti ai quali veniva detto che non avevano più bisogno di determinati argomenti per l’esame successivo, in seguito, non erano in grado più di ricordarli con precisione! L’apprendimento non si conclude quindi con “FATTO!” e la tecnologia ci permette solo apparentemente di rimediare (quando vogliamo possiamo recuperare gli sforzi fatti, le notizie, i dati archiviati tra le «nuvole»).

La disponibilità immediata del dato o dell’informazione, infatti, non sollecita i nostri processi cognitivi (ad esempio la memorizzazione) perché sappiamo di poter ritrovare tutto (forse!). Si riducono perciò le possibilità di un lavoro indipendente e, di fatto, abbiamo un minor controllo su noi stessi e sull’attività mentale.

L’apprendimento deve essere realizzato con cuore, mente e mano (J.H. Pestalozzi- 1746-1827) … la scuola in cui esistono oggetti reali di un mondo reale … Un terzo della nostra corteccia cerebrale serve alla vista e un altro terzo alla pianificazione e all’esecuzione motoria.

Le aree sensoriali di base istruiscono quelle più complesse, così le aree motorie semplici insegnano a quelle più complesse. Nei bambini l’apprendimento si basa non soltanto sulla sensorialità delle esperienze del mondo ma anche sul rapporto con l’ambiente esterno. Ripetizione, movimento, stimolazione multisensoriale sono il fondamento per lo sviluppo del linguaggio e del pensiero.

Il punto di partenza è che ciascuno di noi si porta dietro, fin dalla nascita, il proprio corpo e lo usa per conquistare il mondo. Le esperienze fisiche (caldo, freddo, grande, piccolo, alto, basso, …) svolgono un ruolo decisivo poiché sono trasferibili in altri ambienti.

Rilevante appare il concetto di “embodiment”, ovvero personificazione dei processi cognitivi: è come dire che il corpo è coinvolto direttamente nella creazione delle tracce nelle regioni più semplici della corteccia cerebrale e che qualsiasi competenza mentale superiore possa realizzarsi nelle zone cerebrali corrispondenti solo passando attraverso queste tracce.

Ma come avvengono gli apprendimenti? E le decisioni? Cosa significa decidere razionalmente? E il cervello emotivo? Riporto un esempio suggestivo.

È estate, passate davanti ad una gelateria e siete attratti da una coppa di gelato. Siete tuttavia consapevoli della vostra pancetta o del livello di colesterolo alto e resistete alla tentazione. Ciò significa che non fate quello che fareste spontaneamente. All’improvviso, incontrate un’amica che vi invita a prendere un gelato … Bhè, in fondo, i contatti sociali sono molto più importanti della nostra forma fisica e quindi accettate l’invito, gustandovi il gelato. Se vi sembra di aver preso una decisione semplice e automatica, sappiate che in pochi istanti avete affrontato una serie di questioni:

1. Ho ben presente un traguardo a lungo termine (memoria di lavoro).

2. Preferisco rinunciare a qualcosa che farei volentieri adesso (inibizione).

3. Sono flessibile e posso modificare le regole quando ha senso farlo (flessibilità).

Il «no» a stimoli interni ed esterni, flessibile e pianificato, deve essere mantenuto attivo nel lobo frontale, affinché non venga sostituito dall’automatismo. Quando il lobo frontale non funziona bene (siamo ubriachi, stanchi …) è assai probabile che il nostro autocontrollo non funzioni.

Imparare a volere è come imparare a parlare! L’ascolto della lingua parlata e contemporaneamente la visione di un volto, i contatti fisici, l’odore della madre o del padre, si fissano sui centri del linguaggio in via di sviluppo e vi lasciano delle tracce. Al resto, ci pensa il cervello!

I centri del linguaggio biologicamente fissati nel cervello si formano e diventano quello che saranno nell’individuo adulto attraverso i processi di apprendimento. Tutti apprendono la lingua madre senza apparente fatica … è come camminare. Nessuno ha bisogno di essere motivato per imparare a camminare o a parlare! Nessuno ha mai detto, mentre imparava a camminare … basta, ci rinuncio!

Anche le conversazioni sono interessanti perché un bambino possa dire … lascio perdere! Questo è chiaro così come chiaro dovrebbe essere che NON si impara l’autodisciplina!

Controllati, datti una regolata … sono esortazioni che per l’apprendimento dell’autocontrollo hanno la stessa efficacia che «adesso di qualcosa»!

Il bambino, per sua natura, è serio, disciplinato e amante dell’ordine. Per imparare davvero qualcosa, camminare, parlare, volere, … bisogna farlo da sé! Lo sviluppo dell’autocontrollo è legato alle esperienze e ad attività svolte in comune, quotidianamente.

Per sopravvivere i cacciatori e raccoglitori dovevano procedere con attività controllate e pianificate. Oggi, accade che: Chi ha fame apre il frigorifero! Chi ha freddo alza il riscaldamento! Chi non sa qualcosa … consulta Google!

Per lo sviluppo neurobiologico la scuola ricopre un ruolo fondamentale. È un esempio di allenamento formidabile del lobo frontale! E la competenza mentale che viene sollecitata non è tanto il linguaggio o il contare ma la Forza di Volontà. La costruzione pianificata, le attività in comune servono ad esercitare tale autocontrollo.

L’autocontrollo nell’infanzia e nell’adolescenza può essere addestrato in maniera efficace se a scuola si creano situazioni e contesti adeguati. Ciò può funzionare, ovviamente, se il bambino è interessato. Posso portare a termine in maniera controllata un’attività e mostrare con orgoglio quanto ottenuto? Ciò serve a diventare costanti! Tutto deve scaturire dall’interesse spontaneo del bambino, sviluppando così un processo di autoeducazione e di autocontrollo.

Nel 1989 veniva pubblicato sulla rivista Science un esperimento molto interessante (marshmallow test).

I bambini venivano posti davanti alla scelta di mangiare subito un dolcetto o aspettare per gustarne due. L’attesa veniva quindi ricompensata ma questo, per i bambini, è molto difficile. La maggior parte dei bambini non resisteva più di 3 minuti. Solo il 30% riusciva a rimandare il piacere!

I bambini che erano stati in grado di «trattenersi» erano però quelli che, a distanza di diversi anni, ottenevano maggiori successi a scuola, all’università e al lavoro. Altri studi dimostrarono che erano migliori anche le condizioni economiche e di salute!

Un topo in gabbia riceve di tanto in tanto una lieve scossa elettrica attraverso una griglia metallica sul pavimento. La scossa gli provoca dolore e il topo cerca di evitarla. Può farlo, perché nella gabbia è inserita una lampadina che si accende prima della scossa. Nella gabbia si trova anche un tasto che il topo deve schiacciare appena si accende la lampadina. Quando lo fa non riceve la scossa. Ogni tanto il topo sarà lento e allora sentirà la scossa. Il medesimo apparecchio è collegato a un’altra gabbia in una stanza vicina. Anche qui c’è un topo. Tutte le volte che il topo 1 riceve una scossa anche il topo 2 la riceve. Per il resto il topo 2 non può fare nulla. Quale topo sarà colpito da stress?

Non sono le situazioni spiacevoli a provocare stress quanto la sensazione di esservi esposti senza poter intervenire. Quando sappiamo di non avere nessuna possibilità di intervento e controllo, si scatena uno stato di stress cronico.

I disturbi dell’attenzione sarebbero l’esatto contrario dell’autocontrollo. La passività di fronte ad uno schermo è un vero allenamento ai disturbi dell’attenzione. Un ulteriore studio interessante, pubblicato in Pediatrics 2011, mise in evidenza i risultati derivanti da tre attività differenti in cui i bambini venivano coinvolti: visione di un cartone animato moderno, visione di un documentario, essere impegnato in un disegno. I bambini eseguirono poi i seguenti test:

1. torre di Hanoi (memoria di lavoro).

2. test testa-spalla-ginocchio-piede, per inibire il comportamento automatico.

3. versione del marshmallow test per il differimento della ricompensa.

4. ripetere una conta al contrario (memoria di lavoro).

Di seguito, il grafico rappresentativo dei risultati ottenuti.

grafico disturbi dell’attenzione

Qual’ è oggi il ruolo dei media digitali? Come incidono sugli apprendimenti? I media digitali limiterebbero la profondità di elaborazione. Più è il livello di concentrazione, più facile sarà ricordare. Un’attivazione maggiore implica, infatti, elaborazione più intensa (più impulsi vengono trasmessi da più sinapsi) e apprendimento migliore.

Più mi occupo superficialmente di un contenuto meno sinapsi si attivano e … meno imparo! I testi dovrebbero essere letti e non sfogliati velocemente!

Non è possibile comunicare molto in un tweet o in un commento su internet, sempre che non desideriamo essere superficiali (Noam Chomsky, celebre linguista). Selezionare una lettera e trascinarla da un posto ad un altro (touchscreen) è di fatto un’azione superficiale. Leggere la parola e trascriverla rappresenta un percorso di approfondimento maggiore.

Nel 1913 Thomas Edison scrisse: «entro breve tempo i libri saranno obsoleti nelle scuole …». Apprendere esclusivamente tramite computer però NON FUNZIONA!

L’utilizzo di un pc a casa per bambini piccoli porta ad un peggioramento delle prestazioni scolastiche ed è un fenomeno che riguarda sia il calcolo che la lettura. Simili risultati con l’uso di internet a scuola. Inoltre, si registrano maggiormente disturbi dell’attenzione e del linguaggio e isolamento sociale.

I bambini con accesso ai portatili non ottengono risultati migliori nei test rispetto a studenti senza computer (indagini longitudinali), inoltre, sono esposti a maggiori rischi!

Nella Corea del Sud, già nel 2010 il 12% degli studenti delle scuole elementari aveva sviluppato una dipendenza da Internet e non è un caso che il concetto di Demenza Digitale venga da tale paese.

Il pc evita agli studenti buona parte del lavoro mentale ed esercita un effetto negativo sull’apprendimento. Quando si dichiara che a scuola si studia meglio grazie ai media digitali, non bisogna dimenticare che non esistono dimostrazioni di questa tesi (ad oggi). Al contrario, sono disponibili studi che dimostrano l’opposto.

In Israele dopo l’introduzione dei computer nelle scuole, si registrò un abbassamento del rendimento in matematica negli alunni di 4 elementare e ulteriori effetti negativi in altre materie negli allievi delle classi superiori … Un ulteriore studio condotta da portoghesi e americano che coinvolse circa 900 scuole, dimostrò che gli alunni di 3 media avevano un peggioramento del rendimento scolastico proporzionale all’uso di internet.

«… a noi piaceva guardarli, perché per un’ora non dovevamo pensare … agli insegnanti piacevano, perché per un’ora non dovevano fare lezione e anche ai genitori piacevano, perché dimostravano che i figli frequentavano una scuola all’avanguardia … però non imparavano niente!»

(Clifford Stoll, Silicom Snake Oil, 1995).

«Un ciclo comincia con grandi promesse da parte della tecnologia … si cominciano ad utilizzare i mezzi ma poi … non si registra un vero miglioramento … poi inizia il discorso sulla mancanza di fondi e le lungaggini burocratiche … e arriva la colpa della tecnologia e la scuola si affida ad una nuova generazione di apparecchiature e … inizia un nuovo ciclo».

(Larry Cuban, professore a Stanford).

I media elettronici hanno un influsso negativo sul nostro pensiero e sulla nostra memoria” (rivista Science, Harvard University).

Se ampliamo il nostro discorso, considerando anche i moderni strumenti di socializzazione (Social Network), dobbiamo anche sapere che l’uso frequente di essi riduce sensibilmente la capacità di instaurare relazioni sociali reali (Stanford University, ricerca condotta su 3461 ragazzi tra i 8-12 anni). Produrrebbero, quindi, anche solitudine e infelicità!

Le competenze sociali, l’empatia, il corretto agire sociale, sono frutto di determinate zone del cervello che aumentano di volume grazie all’attività sociale, cioè quando vengono stimolati i centri cerebrali corrispondenti. Esisterebbe un rapporto diretto tra ampiezza del gruppo e volume cerebrale nella corteccia temporale e in alcune zone della corteccia prefrontale (Oxford University).

L’utilizzo dei social riduce quindi i contatti reali. Ma non solo. Influisce sulla capacità di autoregolazione, implementa la solitudine, la depressione, provocando morte neuronale. L’ utilizzo frequente causa problemi di sonno, diabete, aumento di peso.

In quali altri modi le moderne neuroscienze possono aiutarci alla comprensione dei meccanismi di apprendimento? Una scoperta rilevante su tale fronte è senza dubbio quella dei neuroni specchio.

I neuroni specchio, scoperti da un gruppo di ricercatori dell’Università di Parma, inizialmente nei macachi e successivamente negli esseri umani, sono una classe di neuroni specifici che si attivano sia quando si compie un’azione sia quando la si osserva mentre è compiuta da altri. I neuroni di chi osserva “rispecchiano” il comportamento osservato come se a compiere l’azione fosse l’osservatore stesso, che sente, percepisce e si attribuisce gli stessi sentimenti e vissuti di chi compie in prima persona l’azione.

La scoperta dei neuroni specchio consente di capire come percepiamo e comprendiamo gli altri, invitando a nuove riflessioni in ambito pedagogico. I risultati della ricerca delle neuroscienze cognitive invitano, infatti, a comprendere come queste conoscenze possano e debbano influenzare anche ciò che pensiamo sia necessario insegnare, in particolare nella prima infanzia e soprattutto come farlo. La scoperta dei neuroni specchio invita a una possibile ridefinizione del processo insegnamento-apprendimento, in quanto sottolinea la rilevanza nello sviluppo e acquisizione del sapere dell’esperienza pratica, in particolare di quella motoria e rimanda ad un concetto di intelligenza profondamente attinente all’interazione e all’apprendimento per imitazione.

Perfino la comprensione semantica del linguaggio è mediata da meccanismi di simulazione, che vedono alla base del funzionamento del linguaggio il coinvolgimento del sistema motorio: i ricercatori sostengono che alcuni dei concetti normalmente utilizzati nel linguaggio e nel pensiero hanno probabilmente radici senso-motorie.

Il meccanismo di funzionamento dei neuroni specchio fornisce una chiave di lettura essenziale, biologicamente fondata, delle basi della reciprocità nella relazione con gli altri. Inoltre il meccanismo specchio ha un ruolo essenziale nella comprensione di come si costruisce l’identità sociale.

Ampliando il campo d’indagine agli uomini, il gruppo di ricercatori di Parma ha dichiarato che la comprensione delle caratteristiche di attivazione diretta di questa classe di neuroni determina per gli individui uno spazio d’azione condiviso, che origina forme di interazione sempre più elaborate. La capacità di alcune parti del cervello umano di attivarsi alla percezione delle emozioni altrui espresse attraverso il volto, i gesti, i suoni e, la capacità di codificare istantaneamente questa percezioni in termini motori, rende ogni individuo in grado di agire in base a un meccanismo neurale atto ad ottenere quella che i ricercatori chiamano “partecipazione empatica”.

Inoltre, studiando sperimentalmente il meccanismo di base della comprensione delle azioni e delle emozioni, si è potuto constatare che le emozioni primarie osservate negli altri suscitano anche nell’osservatore la manifestazione “a specchio” delle stesse emozioni. Insomma, quando osserviamo un nostro simile che manifesta dolore, disgusto, piacere, gioia, paura o sorpresa in noi stessi si attiva lo stesso substrato neurale collegato alla percezione diretta della stessa emozione.

La “simulazione incarnata” è il meccanismo con cui il nostro cervello si mette in relazione con gli altri … per capire ciò che fanno o percepiscono gli altri, lo simuliamo dentro di noi! (… come se …).

Sembra sorprendente che anche l’osservazione del quadro seguente, attivi le aree motorie che presiedono ai gesti della nostra mano.

20th Century Italian Sale  Sotheby's London - 15 October, 2007  Lucio Fontana (1899-1968)  Concetto Spaziale, Attese  signed, titled and inscribed Questo quadro a sette tagli... on the reverse  waterpaint on canvas  Executed in 1968.  Estimate: £700,000 - £1,000,000

Lucio Fontana (1899-1968) pittore, ceramista, scultore italiano, argentino di nascita, fondatore del movimento spazialista.

Il senso del Sé è legato all’attività del sistema motorio e di quello limbico-emozionale, in particolare con le corteccia insulare, una zona del lobo frontale. Lo studio della mente, pertanto, non può prescindere lo studio del corpo e dell’ambiente. Non dimentichiamo, inoltre, che viviamo con gli altri! Ma siamo realmente in grado di attribuire pensieri, emozioni, motivazioni, opinioni, desideri, …?

“Io penso che tu pensi”. Sappiamo comprendere le intenzione altrui e a reagire di conseguenza grazie ad una abilità cognitiva chiamata Teoria della Mente (attribuiamo cioè pensieri, emozioni, motivazioni, opinioni, desideri, …). Tale teoria ci consente di andare al di là del significato letterale delle parole e di capire, ad esempio, l’ironia, la metafora, i sottintesi, l’umorismo, … e ci fa decodificare il Linguaggio Non Verbale (mimica, pantomimica, prossemica, cronemica, …) ovvero anche intenzioni che vorremmo restassero nascoste!

Le Vitality Forms rappresentano, in sostanza, l’espressione dinamica e osservabile del nostro stato interno.

Ogni componente del movimento (azione) ha un suo tempo, una forza, uno spazio e una direzione … osservando ciò, l’osservatore capisce lo stato mentale di chi la compie. (Quando viene compiuta un’azione si attiva un apposito circuito neurale, denominato somatosensoriale-insulare-limbico).

Di fatto, siamo molto più complessi di quello che pensiamo!

Già a 4 anni, comunque, sviluppiamo particolari abilità. «Io so che pensi qualcosa, perciò posso fare anche in modo di farti pensare un’altra cosa». In questo periodo, infatti, i bambini cominciano a essere consapevoli che anche gli altri hanno una mente. Tale consapevolezza continua sino all’adolescenza, per poi affinarsi. La presenza di fratelli o la possibilità di effettuare attività in comune con altri di età differente favorirebbe tale abilità.

Tutti i bambini, afferma Montessori, utilizzano comunemente e spontaneamente i sensi come organizzatori cognitivi ma è compito della scuola, attraverso opportuni strumenti scientificamente testati, facilitare, promuovere e ottimizzare tali processi auto-costruttivi: “(…) a questo punto, comincia il processo di autoeducazione. Lo scopo non è esteriore; sarebbe a dire, non è che il bambino impari a mettere a posto i cilindri e che egli impari ad eseguire un esercizio. Lo scopo (…) è  che il bambino si eserciti ad osservare; che gli sia permesso di fare confronti fra gli oggetti, formare giudizi, ragionare, decidere; ed è nell’indefinita ripetizione di questo esercizio di attenzione e di intelligenza, che si compie il vero sviluppo”. (Montessori 1921, 1970, p. 58)

All’immagine tradizionale del bambino che è tutto gioco e immaginazione, si va sostituendo sotto i suoi occhi l’idea di un bambino concentrato, disciplinato, calmo, severamente impegnato nel suo lavoro … e questo grazie anche all’Educazione Multisensoriale.

Diremmo, diversamente, Learning by Doing, espressione diffusissima nella moderna pedagogia ma anche nella neurobiologia, sino alla robotica.

Secondo uno studio americano, pubblicato sulla rivista “Science” e realizzato dalle ricercatrici dell’università della Virginia, Angeline Lillard e Nicole Else-Quest, gli alunni delle scuole che seguono i precetti della studiosa Maria Montessori «hanno una marcia in più … Sono più preparati, più creativi e hanno un maggiore senso di correttezza e di giustizia”.

Sulla base dell’analisi svolta, le ricercatrici considerano il metodo Montessori in grado di favorire abilità teorico e comportamentali superiori rispetto ai programmi applicati nelle altre scuole. In generale, dalla fine dell’asilo fino ai dodici anni, tutti i montessoriani presi in esame hanno dimostrato maggiore abilità sia nelle prove logico-matematiche sia negli esercizi di reading. Il tutto associato a una maggiore positività e creatività nell’affrontare i problemi pratici. In particolare si sono mostrati maggiormente preoccupati e predisposti a mettere in pratica sentimenti di giustizia e correttezza.

È certificabile che un gran numero di nuovi imprenditori escono dall’esperienza degli studi sul metodo Montessori, grazie al quale hanno imparato a isolare e a dar seguito al filo della propria curiosità, fino a farne un’efficiente creatività. Per parafrasare il famoso slogan Apple, questa è gente che non solo ha imparato presto a pensare in modo diverso, ma ha anche capito come agire in modo differente …

(Jeffry Dyer della Brigham Young University, Utah, e Hal Gregersen della Business School Insead)”.

Il nostro cervello è stato assemblato durante l’infanzia da una combinazione di geni e ambiente. I geni hanno disposto che fosse un cervello umano … poi, attraverso le esperienze con il mondo, le connessioni sinaptiche si sono perfezionate, differenziandoci ulteriormente da chiunque altro. Le connessioni sinaptiche sono riorganizzate nell’attività neurale indotta dall’ambiente in specifici sistemi neuronali. Quando questi cambiamenti si verificano durante le prime fasi dell’esistenza, si ipotizza l’interessamento di una plasticità evolutiva; quando intervengono successivamente, sono considerati in termini di apprendimento. Forse, il confine, tra plasticità e apprendimento è sottile o forse inesistente …

Tramite neuroni specchio, i comportamenti, le reazione e le emozioni degli altri penetrano nel nostro sistema nervoso senza decisioni o scelte consce a fare da filtro. Essi fanno parte dei meccanismi attraverso i quali assorbiamo le azioni e l’energia di altre persone nell’ambiente chi ci circonda.

Esiste una “mente di campo” ed esiste un campo energetico umano (diversi studi hanno dimostrato, ad esempio, che i neuroni cambiano le loro proprietà di attivazione subendo l’influenza di campi magnetici).

Anche il cuore è un potente generatore di energia elettromagnetica e il campo elettrico del cuore è circa sessanta volte maggiore in ampiezza rispetto all’attività elettrica del cervello. Inoltre, il campo magnetico prodotto dal cuore ha un’intensità più di cinquemila volte maggiore di quello generato dal cervello. Tale campo abbraccia ogni cellula ma si estende oltre (Risonanza Morfica).

Forse, i moderni apprendimenti dovrebbero tener conto anche di tali intrecci e delle “relazioni segrete” tra cervello e cuore ma questa sarà la nostra personale sfida nell’immediato futuro!

Perché facciamo le scelte che facciamo.

Probabilmente, il marketing tradizionale è destinato a fallire! Ma questa non è solo la mia opinione.

Non so se siete al corrente … ma le etichette dissuasive sui pacchetti di sigaretta non funzionano, anzi, stimolano i “centri del desiderio”! Inoltre, sarà una sorpresa scoprire che il pezzetto di lime o limone che mettiamo nella nostra cara birra Corona, che tra l’altro non è messicana, non ha una ragione antropologica né un’utilità salutista o legata alla presunzione di allontanare germi o mosche … è semplicemente uno “scherzo” di uno sconosciuto di qualche anno fa che ha solo pensato …”voglio vedere quanti copieranno quello che faccio”!!!

Voglio ancora illuminarvi dicendo che noi esseri umani non siamo affatto razionali e solitamente, facciamo cose diverse rispetto a quello che diciamo …

Lo sapevate poi che la gente preferisce il gusto della Pepsi ma che di fatto la Coca Cola vince nelle vendite? Questo però non lo dico io o altri studiosi di “economia comportamentale” ma è il

risultato di ricerche condotte con la risonanza magnetica funzionale, ovvero con quello strumento che ci dice se, come, quando e cosa si attiva nel nostro cervello.

Indipendentemente da ciò che volete essere o dalle vostre care convinzioni, sappiate che decidono le Emozioni e sono le Emozioni che danno il valore alle cose!

Desiderate un uovo oggi o una gallina domani? Pur se optate di procrastinare, preferendo la gallina domani, le aree limbiche del cervello si attiveranno maggiormente con l’uovo di oggi!

Preferite una Ferrari o una Mini Cooper? Occhio alla risposta. Il design della Mini attiva una piccola regione nella parte posteriore del cervello, che risponde ai volti. Appare, quindi, come

una “simpatica personcina”!

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In fondo, se riflettiamo bene, cosa ci “rimane maggiormente in testa?” Qualcosa che ci coinvolge ovviamente, a meno che non siate un pesciolino rosso con memoria operativa di circa

sette secondi! (significa ricominciare a vivere ogni sette secondi!)

Inoltre, in questo mondo misteriosamente pseudo-equilibrato, reagiamo alle cose anche grazie ai nostri neuroni specchio, dall’empatia allo sbadiglio … ma scendete dalla scala evolutiva,

poiché è una cosa che ci accomuna, ancora una volta, ad altri animali come i cari macachi!

Non so voi … ma io sono veramente stufo, inoltre, quando entro in un negozio e la commessa, carina o brillante che sia, non sorride. Tutti sanno che la gioia e la felicità in un volto influenzano

un acquirente e non solo ma anche la probabilità di ricordare un nome (forse è per questo che devo fare un enorme sforzo!) Addirittura, in tal caso, si “illumina” maggiormente la regione del

cervello associata alle ricompense e quindi si “smuove” la cara dopamina!

Le parole e le frasi positive o se vogliamo, qualsiasi stimolo che sia subliminale o meno, influenzano anche il nostro comportamento nello spazio ma anche questo non lo dico io ma

studiosi eminenti di Harvard che hanno dimostrato, addirittura, che la camminata di anziani esposti a parole positive, migliorava del 10% circa!

E poi, smettiamola di non credere … siamo tutti superstiziosi perché il non esserlo significherebbe rinunciare al controllo delle cose e la nostra fatidica scala dei bisogni

vacillerebbe o scricchiolerebbe … Amiamo quindi la prevedibilità poiché le routine, addirittura, incidono sulla probabilità o meno di contrarre malattie respiratorie e i nostri bambini, proprio con

la routine simil montessoriana, crescono più sani e vanno meglio a scuola!

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Credete poi nella fortuna e nella sfortuna? Qualche anno fa a Londra, un venerdì 13 si è registrato un aumento del 51% degli incidenti stradali e del 32% in Germania! E se non siete

ancora convinti, il marchio Kit Kat va molto bene in Giappone perché somiglia all’espressione “vincere senza fallo” … Inoltre, se decidete che qualcosa nella vostra giornata andrà storto,

avrete ragione, così come se decidete che sarà un giorno bellissimo. Questo però, forse, è un altro discorso!

Siete credenti, siete religiosi? La preghiera ha il suo ruolo nella vita e nel mondo ma indipendentemente dalle ispirazioni o vocazioni, le monache presentano una maggiore

attivazione nella zona del cervello che produce le sensazioni di gioia e serenità quando pregano o immaginano una “situazione divina”.

Quando scegliamo qualcosa e quando acquistiamo qualcosa, il nostro cervello è così efficiente che in un paio di secondi decide in base alle esperienze passate, grazie a dei marcatori

somatici che appunto, collegano fatti ed emozioni. Se quando eravate più piccolini vi siete bruciati una manina vicino al forno, saprete di cosa sto parlando …

Inoltre, i nostri carissimi sensi hanno davvero un senso! Se da un lato abbiamo sempre sopravvalutato la vista, sappiate che l’olfatto è molto più strategico. Inoltre, gli odori attivano le

stesse aree cerebrali delle immagini, proprio tramite i neuroni specchio. I recettori degli odori vanno direttamente al nostro sistema limbico, quindi nuovamente emozioni! Occhio allora, anzi

naso, in quei negozi che “spruzzano” fragranze varie, come la vaniglia che ci ricorda tanto il latte materno o il cullare ritmato. I suoni, inoltre, hanno il loro grande effetto e questo è evidente

ma forse non sapete che ad esempio, la musica classica ha fatto diminuire la percentuale di diversi crimini o atti vandalici in alcuni Stati e che se dovete comprare un vino, la musica vi

spingerà a spendere di più.

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Ad ogni modo e indipendentemente dalle considerazioni che farete ora, sappiate che purtroppo o per fortuna, siamo “consciamente confusi e inconsciamente controllati”. Informatevi bene

dunque, sul mondo ma soprattutto sulla vostra mente e sul vostro cervello! …

Testo principale di riferimento che consiglio a tutti: Neuromarketing, di Martin Lindstrom.

EMDR – Movimento degli occhi e Trauma

Il movimento degli occhi nell’EMDR (Desensibilizzazione e Rielaborazione tramite i Movimenti Oculari) consiste in un …

Il Protocollo EMDR

L’EMDR si basa sull’idea che i traumi non elaborati possano rimanere “bloccati” nel sistema nervoso, …

Che cos’è l’EMDR

Che cos’è? L’EMDR, acronimo di Eye Movement Desensitization and Reprocessing, è una tecnica psicologica e psicoterapica …