Categoria: <span>Psicologia sociale</span>

Alla ricerca della Verità …

Alla ricerca della verità, o forse della menzogna! Intervento del Dott. Mirco Turco

Secondo una versione alquanto complicata e giocosa della vita, il linguaggio sarebbe stato inventatoin modo da dare la possibilità alla gente di nascondersi reciprocamente ciò che pensa veramente! È alquanto certo, allora, che occorra molta cautela nel considerare le parole, le frasi, i discorsi di noi esseri umani, tra l’altro, senza scomodare ugualmente O.

 

Benessere a Scuola

Quando si parla di “benessere” a scuola si può intendere quell’insieme di comportamenti, pratiche e metodologie che hanno la finalità pragmatica di creare un ambiente idoneo al lavoro e alle dinamiche lavorative. Inoltre, banalmente, significa anche occuparsi di quegli aspetti psicosociali che, sempre più spesso, possono fare la differenza. Mi riferisco, ad esempio, alla qualità dei rapporti interpersonali, alle possibilità di affrontare un conflitto, alle opportunità di gestire situazioni di stress. Tali argomenti sono abbastanza conosciuti nelle svariate organizzazioni e anche negli istituti scolastici, ma gli interventi pratici volti al benessere sono, in realtà, ancora flebili o scarni. Si può e si deve ancora fare tanto …

Il lavoro è la prima causa di stress per il 60% della popolazione mondiale e, nello specifico, il lavoro degli insegnanti risulta particolarmente gravoso, anche in considerazione delle vicissitudini dell’ultimo periodo. Considerando il ruolo complicato, le dinamiche articolate tra colleghi, alunni, famiglie e istituzioni, il sovraccarico di mansioni, pratiche e burocrazie, appare quanto mai obbligatorio fornire strumenti di supporto, assistenza e buone pratiche, proprio per creare benessere a scuola. L’insegnante, oggi, necessita di tutto un repertorio di nuove soft skills che, in realtà, prenderanno sempre più spazio in tutte le moderne organizzazioni. Finalmente, si sta comprendendo quanto sia rilevante “investire” sul capitale umano e quanto il benessere, appunto, sia una priorità assoluta.

Il benessere organizzativo si riferisce dunque alla capacità di un’organizzazione di promuovere e mantenere il più alto grado di benessere fisico, psicologico e sociale dei lavoratori in ogni tipo di occupazione, a maggior ragione per coloro che svolgono attività implicitamente stressanti. Il benessere organizzativo è anche l’insieme dei nuclei culturali dei processi e delle pratiche organizzative che animano la dinamica della convivenza nei contesti di lavoro promuovendo, mantenendo e migliorando la qualità della vita e il grado di benessere fisico, psicologico e sociale delle comunità di lavoratori.

La salute psicofisica degli insegnanti diventa una priorità ed è al contempo, una preoccupazione sociale, poiché dal loro equilibrio dipendono processi di insegnamento, di crescita, di educazione e sviluppo delle giovani generazioni. Un lavoratore che gode di ottima salute psicofisica sarà anche più soddisfatto della sua organizzazione e innesterà delle relazioni interpersonali positive, generando un circuito virtuoso a favore del clima e della stessa cultura lavorativa.

Serenità, coinvolgimento, partecipazione, motivazione, comunicazione interna, equità, performance, sono tutti concetti chiave che ruotano intorno al concetto di salute dell’insegnante, oltre a far parte della salute organizzativa.

L’insegnamento appartiene, inoltre,  alle “helping-professions” e il rischio potenziale di stress, conflittualità emotive e burnout è elevatissimo. L’insegnante è un mediatore di cultura, un valutatore, un esperto di programmazione didattica, un genitore alternativo e sostitutivo e di fatto, suo malgrado, si trova sovente a fare lo psicologo. Vivere tale pluralità del ruolo è intrinsecamente stressante e il coinvolgimento non è solo cognitivo, ma anche emotivo e motivazionale.

Da tali premesse occorre partire per impostare una nuova cultura improntata sul benessere, con lo scopo di diffondere una forma mentis centrata proprio sulla salute e le pratiche virtuose. Penso che occorrerà ancora del tempo, ma è anche questione di opportunità da creare e da cogliere.

In Giappone gli unici cittadini che non sono obbligati ad inchinarsi davanti all’imperatore sono gli insegnanti. Il motivo è che i giapponesi sostengono che senza insegnanti non ci possono essere imperatori“.

 

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MINDFULNESS IN AZIENDA

Essere consapevoli, anzi, essere attenti con consapevolezza, rappresenta un vero potere per l’individuo, ma anche per le organizzazioni. Questo era già ben noto 2500 anni fa, tempo in cui la mindfulness era una pratica ed un insegnamento centrale della tradizione psicologica buddhista.

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Oggi, la mindfulness viene considerata uno stile di pensiero, una formamentis in cui pensieri, emozioni e azioni vengono “liberati” dai classici automatismi comportamentali. Proprio attraverso un processo di progressiva consapevolezza, si disinnesca il famoso pilota automatico!

Le pratiche di mindfulness si concentrano strategicamente sulla dimensione temporale. È sufficiente sottolineare che oltre il 70% del tempo che viviamo, lo dedichiamo ad esplorazioni del passato o del futuro, praticamente a dimensioni che in realtà, non esistono! D’altra parte, è ben noto che lo stress che a volte sovrasta le nostre vite private e lavorative, è legato al 30% da ciò che accade, ma al 70% a ciò che pensiamo possa accadere!

La mindfulness, attraverso opportuni esercizi di respirazione e di consapevolezza, diventa una pratica essenziale anche nei moderni scenari lavorativi ed organizzativi e non è un caso che grandi Aziende abbiano sviluppato dei programmi per dipendenti e manager. Apple consente ai manager di meditare 30 minuti al giorno, mentre Nike ha una sala relax con percorsi indicati per tutti i dipendenti. Google sviluppa programmi di mindfulness personalizzati e in Yahoo, i lavoratori possono usufruire di sale meditative. Procter e & Bamble, Deutsche Bank sono altri esempi di aziende che ben comprendono la strategica rilevanza del benessere.

Quando si parla di “focus sulla Persona”, quindi, occorre considerare anche delle pratiche virtuose centrate proprio sul benessere e su una sempre più necessaria “wellbeing culture”. In sintesi, come dimostrano ormai numerosi studi, questi gli effetti più immediati della mindfulness in azienda:

  • Integrazione mente-corpo.
  • Focalizzazione del Quì e Ora.
  • Chiarezza nel lavoro e aumento della performance.
  • Coesione e condivisione di gruppo.
  • Self efficacy e creatività davanti ai problemi.
  • Intelligenza emotiva.
  • Potenziamento del team e della collaborazione.
  • Flessibilità e apertura al cambiamento.
  • Miglioramento delle dinamiche interpersonali e migliore comunicazione interna.
  • Miglioramento benessere psicofisico.
  • Prevenzione della ruminazione mentale.
  • Miglioramento del clima aziendale.

Psychology & Survival

La chiave per ogni situazione di sopravvivenza è l’attitudine mentale dell’individuo!

Molti manuali di sopravvivenza militare fanno riferimento alle capacità mentali dell’individuo che si trova in particolari situazioni disagiate o ambienti ostili. D’altra parte, questo spiega perché persone addestrate che non fanno leva sulle proprie attitudini mentali, hanno meno successo rispetto a individui, che pur non avendo un addestramento specifico alla sopravvivenza, mettono in campo tale fattore.

Lo chiameremo, pertanto, SSE, Survival Self-Efficacy, la convinzione di essere efficaci in un determinato ambiente sconosciuto o ostile al fine della sopravvivenza.

La psicologia della sopravvivenza cerca di evidenziare come i diversi fattori di stress in una determinata situazione ad alto rischio incidono sulle capacità mentali dell’individuo.

Analogamente, si occupa di specificare come alcune strategie mentali particolari in situazioni ostili, possono essere determinanti al fine della sopravvivenza.

Lo stress, come specificato anche in altre trattazioni, non va considerato una malattia. E’ un naturale adattamento a situazioni nuove. E’ al contempo, un’esperienza psichica, emozionale, fisiologica in risposta alle diverse tensioni della vita.

Lo stress, di fatto, per alcuni livelli, è necessario (eustress) poiché fa funzionare meglio i meccanismi mentali e comportamentali dell’individuo. Attenzione, concentrazione, orientamento, memoria, apprendimento, funzionano meglio quando sperimentiamo un livello di stress. Superata la fatidica soglia dello stress (soglia soggettiva) però, qualsiasi tipo di performance subisce un decremento e mentalmente, cominciamo a vivere sensazioni e ad avere comportamenti “alterati” che, progressivamente, possono farci sperimentare stati di panico, angoscia, …

Livelli elevati di stress, in generale, producono:

  • Difficoltà nel prendere decisioni.
  • Scoppi d’ira e maggiore irascibilità.
  • Dimenticanze e sbadataggini.
  • Livello d’energia basso e riduzione arousal.
  • Continue preoccupazioni e pensiero negativo.
  • Inclinazione a sbagliare con maggiore percentuale di errori e disattenzione.
  • Pensieri autolesionisti (es. pensare con maggiore frequenza alla morte o al suicidio).
  • Atteggiamento aggressivo con altri individui.
  • Isolarsi dagli altri e tendenze autistiche.
  • Nascondersi dalle responsabilità e assunzione di comportamento passivo.
  • ….

Si parla di tolleranza allo stress o alla frustrazione e di addestramento sotto stress. Le nostre reazioni, infatti, o i nostri meccanismi difensivi devono (dovrebbero) essere maturi e congrui anche in situazioni ostili.

I fattori di stress nella sopravvivenza.

Una reazione che ci accomuna agli altri esseri animali è quella “attacco o fuga”, ovvero, quando percepiamo un pericolo o un fattore stressante, il nostro cervello si attiva per difendersi da esso. Di conseguenza, il nostro organismo, si prepara per lottare e fuggire. Il corpo rilascia una maggiore quantità di zuccheri e grassi per garantirci una maggiore spinta energetica; il respiro aumenta per l’aumento della richiesta di ossigeno nel sangue; la tensione muscolare aumenta per entrare in azione prontamente; aumenta la coagulazione del sangue per ridurre il sanguinamento delle ferite; le pupille si dilatano e l’udito si attiva meglio; si possono avere anche fenomeni di sinestesia particolari (es. gli odori prendono forma); mentre il ritmo cardiaco e la pressione sanguigna aumentano per portare maggiore quantità di sangue ai muscoli.

In questo modo diventiamo progressivamente più consapevoli dell’ambiente circostante e quindi anche più reattivi.

Come già visto in precedenza, però, non possiamo rimanere in tale fase di allarme per troppo tempo.

In situazioni ostili, gli stress si sommano e si moltiplicano mentre, al contempo, la nostra resistenza decresce e possiamo arrivare all’esasperazione e all’esaurimento. La fase successiva è l’angoscia che mista al panico porteranno l’individuo in una situazione di imminente pericolo di vita.

Anticipare lo stress o la situazione frustrante è un ottimo metodo per imparare a gestire situazioni ad alto rischio. Sembrerà banale, ma sapere cosa ci aspetta può ridurre il vissuto dello stress. Conoscere un territorio ostile, prima di addentrarsi, quindi, informarsi strategicamente, è altamente consigliato.

 

Lesioni, malattia, morte critical
Incertezza, Mancanza di controllo critical
Ambiente critical
Fame e sete critical
Fatica critical
Isolamento critical
  • In situazioni ostili e critiche, le lesioni (personali o di persone che sono con noi), eventuali malattie e la morte, sono da considerarsi reali e anche altamente probabili. Il fatto di non pensarci non è sufficiente per evitare che ciò possa accadere.
  • Tali situazioni possono, inoltre, impedirci di procurarci cibo, acqua ed altre risorse per difenderci e sopravvivere. Allo stress, sopraggiunge la paura e lo sconforto.
  • Il territorio ostile è poco conosciuto e gli aspetti di esso appaiono imprevedibili, con poche informazioni e certezze. Ciò può determinare una perdita di controllo o la percezione che non si possa avere il controllo della situazione.
  • In generale, l’ambiente fisico (clima, terreno, varietà animali e vegetazione) è potenzialmente stressante. Volgere lo stesso a proprio favore risulta di strategica rilevanza per la sopravvivenza, anche quando dobbiamo procurarci cibo e acqua. Non avere provviste, ad esempio, o non sapere come procurarsele, è una sicura fonte di stress.
  • Un altro fattore stressante è la stanchezza che sopraggiunge non solo per esaurimento delle energie fisiche, ma anche come conseguenza dello sconforto in cui possiamo trovarci a causa delle diverse condizioni avverse.
  • In condizioni ostili di sopravvivenza dobbiamo anche affrontare un altro aspetto: la solitudine. Contare solo sulle proprie risorse è un’attitudine mentale ma è anche un tratto personologico. La sopravvivenza è più semplice, a volte, proprio perché si ha qualcuno al proprio fianco, unito nel destino e nello scopo (interdipendenza).

 I meccanismi di sopravvivenza e le reazioni naturali.

 Situazioni di rischio, pericolo e in generale condizioni ostili possono, in modo abbastanza naturale, esporci a reazioni particolari che solo se conosciute e gestite possono essere volte a nostro favore. Sapere che un fenomeno, una reazione, una qualsiasi cosa esiste, riduce la percezione dello stress, il senso di disorientamento, la frustrazione.

La paura è una naturale reazione a situazioni pericolose o rischiose per la nostra vita e/o quella degli altri. La paura è un’emozione che può durare un certo lasso di tempo, ovvero, possiamo essere in uno stato di paura anche se cessa lo stimolo pauroso. L’intensità della paura è variabile (da lieve apprensione al terrore), inoltre, può essere vissuta anche in commistione ad altre emozioni.

La paura può essere sperimentata anche in base a situazioni non reali e dunque immaginate o anticipate.

E’ positiva quando ci spinge ad essere cauti nel prendere decisioni azzardate, destinate cioè al fallimento. Provare paura, in determinate situazioni, è provvidenziale.

In altre occasioni, però, la paura può diventare invalidante e inibire ogni attività utile alla sopravvivenza. Per tali ragioni, occorre esplorare e conoscere le nostre paure e implementare progressivamente il senso di fiducia e di fronteggiamento. Tale processo è però graduale e richiede tempo e azioni sistematiche.

In situazioni ostili è naturale anche provare un certo stato di ansia. L’ansia è uno stato di agitazione psicomotoria che se ben canalizzata, ci spinge a raggiungere il nostro obiettivo ma se gestita male può complicare la sopravvivenza. L’ansia deriva, pertanto, soprattutto da un’anticipazione mentale delle conseguenze di alcune azioni e situazioni. Pensare ripetutamente alle lesioni che possiamo procurarci prima di fare una determinata azione, determina una reazione d’ansia che può inficiare sulla nostra performance.

L’allenamento e l’addestramento strutturato, anche nell’esecuzione di alcuni compiti e operazioni riduce, in modo sistematico, l’ansia.

Quando, invece, sperimentiamo una situazione di ansia persistente, cominciamo parallelamente a sperimentare confusione, senso di svuotamento mentale, difficoltà di pensiero e ragionamento.

Rabbia e frustrazione possono, invece, sopraggiungere quando non raggiungiamo in un certo lasso di tempo l’obiettivo prefissato. La differenza e la distonia tra quello che voglio e quello che sto ottenendo può determinare la frustrazione e di conseguenza, un meccanismo vorticoso di pensiero negativo di non farcela.

Livelli elevati di frustrazione possono, inoltre, attivare la rabbia che complica ancor di più la nostra situazione di sopravvivenza.

Subire danni all’attrezzatura, vivere un clima sfavorevole, muoversi in un terreno inospitale, essere in una zona con numerosi nemici o predatori, sono tutti elementi che possono aumentare la frustrazione vissuta.

Tali condizioni sfavorevoli, specie se la persona non è sufficientemente addestrata e non utilizza bene il classico fattore mentale, spingono verso comportamenti irrazionali e impulsivi, decisioni errate e incontrollate. La frustrazione e la rabbia, infine, consumano le nostre energie che, invece, dovrebbero essere impiegate diversamente e produttivamente.

Occorre considerare le reazioni alla frustrazione e distinguere, di conseguenza, quelle adeguate da quelle inadeguate in situazioni di sopravvivenza in territorio ostile.Certificare il Fattore Umano Mirco Turco

  • Reazioni adeguate: intensificazione dello sforzo, riorganizzazione dei dati; sostituzione dei fini.
  • Reazioni inadeguate: rabbia, chiusura autistica, regressione.

Una situazione protratta di frustrazione potrebbe farci sperimentare uno stato depressivo. Finché conserviamo una certa dose di aggressività costruttiva (voglia e desiderio di sopravvivere) siamo immuni dalla depressione. Quando però sopraggiunge la sconfitta, in primis mentale, possiamo cadere in un profondo stato depressivo.

La persona comincia a mutare tipologia e contenuto di dialogo interno (parlare con se stessi). Sopraggiungono frasi del tipo “non posso fare nulla … ormai è finita …”. La speranza cede e con essa intervengono profonda tristezza e senso di sfinimento.

In condizioni depressive è molto difficile ritrovare una motivazione per continuare ad andare avanti e non abbandonare la speranza di sopravvivere.

Proprio in tali momenti occorre riagganciarci ad una qualsiasi ancora emotiva, spinta motivazionale, che non ci lasci sprofondare nella depressione.

 In situazioni rischiose e in zone ostili la probabilità di rimanere soli è alta. Fare i conti con la solitudine è obbligatorio, soprattutto perché per l’essere umano è difficile pensare a situazioni di solitudine assoluta protratta, anche in virtù della natura apparentemente sociale dell’essere umano.

In situazioni di solitudine occorre considerare che possono emergere anche aspetti positivi del nostro carattere, anche risolutivi. La solitudine non è quindi da considerare necessariamente fattore con accezione negativa.

Se però la persona si lascia sopraffare dal vuoto della solitudine e da un senso di scarsa autoefficacia, la performance viene inficiata e si ha un progressivo aggravamento dello stato emotivo e cognitivo del soggetto stesso.

In fase di addestramento va considerato che non tutti possiedono in modo innato tale abilità di “camminare da soli”.

 

 

Tratta da: Mirco Turco (2014). PSSS, Psychology, Security, Self Defense, Survival. Gruppo Ed. L’Espresso.

La Negoziazione

La Negoziazione.

 

Quando ci troviamo a confrontarci con una persona difficile, il primo passo non è controllare il suo comportamento, ma il nostro.

La negoziazione può essere considerata come un metodo attraverso il quale le persone appianano le differenze. È un’arte, ma anche una scienza. È un’arte perché dipende dalla nostra creatività ed è una scienza perché è anche governata da tecniche e strategie.

Tali principi guida provengono dalla Squadra di negoziazione ostaggi del Dipartimento di Polizia di New York, nata nel 1973.

La negoziazione è un’attività che svolgiamo, in realtà, in diverse occasioni, da quelle più banali e quotidiane, a quelle più articolate che magari riguardano il nostro lavoro, come quando vogliamo richiedere un aumento di stipendio o un avanzamento di carriera. In ogni caso, la negoziazione dovrà essere considerata un processo attraverso il quale si raggiunge un accordo in maniera mutualmente soddisfacente. Occorre, infatti, abbandonare l’assunto superficiale che in una negoziazione occorra “vincere”. È importante, pertanto:

  • scindere le persone dal problema;
  • concentrarsi sugli interessi e non sulle posizioni;
  • generare opzioni soddisfacenti per tutte le parti.

Per negoziare bene occorre esercitare soprattutto tatto e rispetto. Tali elementi costituiscono gli strumenti principali perché ci aiuteranno ad identificare il problema e a trovare una connessione con l’altra parte. Possiamo adoperare la seguente prima schematizzazione:

  • Per risolvere un problema, occorre prima identificarlo.
  • Costruire relazioni è fondamentale nella negoziazione e la comunicazione ha una parte preponderante nel costruire relazioni.
  • Il contenuto è importante, ma dobbiamo anche fare attenzione alla componente emotiva.
  • Il rapporto comincia a svilupparsi quando la controparte comincia a sentirsi a proprio agio in nostra presenza.
  • Ovviamente, la comunicazione non è solo verbale.
  • Fate attenzione alla vostra faccia quando parlate con qualcuno, soprattutto durante una situazione critica.

Qualcuno asserisce che per negoziare bene occorre soprattutto essere degli abili oratori. In realtà, non è proprio questo il “trucco”. Se consideriamo il più elementare dei bisogni umani, comprenderemo la giusta prospettiva.

Vi è un esigenza universale dell’essere umano che è quello di capire e di essere capiti e il miglior modo per capire le persone è ascoltare. Non è un caso che il mantra della HNT (Negoziazione Presa Ostaggi) è «PARLA CON ME». Notate che non è «ascoltami», poiché vorrebbe dire che il negoziatore è l’unico a parlare.

L’ascolto è un’attività consapevole, mentre il sentire è un’attività automatica, accidentale e involontaria. La persona, infatti, decide consapevolmente di ascoltare qualcuno o meno. La regola della negoziazione è pertanto: 80% ascolto e 20% parlare. «Il trucco per fare in modo che ti trovino simpatico è semplicemente ascoltarli» sosteneva D. Carnegie e «L’inabilità dell’uomo nel comunicare deriva dalla sua incapacità di ascoltare davvero ciò che viene detto» affermava C. Rogers.

Un altro schema pragmatico in materia di negoziazione ci semplifica sicuramente le cose:

  1. Rapporto
  2. Identificare il problema
  3. Connessione
  4. Ascolto attivo

Per praticare la negoziazione occorre necessariamente avere ed implementare alcune abilità: occorre essere maturi, stabili emotivamente, occorre saper esercitare la compassione, parlare chiaramente, agire con diplomazia e possedere rapidità di pensiero.

La stabilità emotiva è un tratto personologico fondamentale per chi conduce negoziazioni. Non dobbiamo mai rispondere alla rabbia di qualcuno con la nostra rabbia e occorre considerare che ciascun negoziato è mosso sempre dalle emozioni. Occorre considerare poi che l’essere umano è un essere mosso dalle emozioni e non dalla logica! Ogni volta che i livelli emotivi sono alti e i livelli di razionalità bassi prendiamo delle pessime decisioni.

Occorre sapere che le emozioni tendono a dissiparsi naturalmente e che il ciclo vitale fisiologico di un’emozione nel corpo e nel cervello è di circa 90 secondi. Quindi, le sensazioni, l’adrenalina, il calore sul viso, la gola stretta, i battiti accelerati, compaiono, raggiungono l’apice e si dissolvono da soli in un minuto e mezzo e ciò che mantiene le emozioni attive oltre i 90 secondi sono solo le storie che ci raccontiamo.

Nella negoziazione dobbiamo, inoltre, considerare che ciò che noi pensiamo e crediamo non è necessariamente cosa condivisa e condivisibile. Ognuno di noi ha la sua mappa delmondo che non coincide necessariamente con quella altrui. Siamo chiamati, dunque, a ricordare, come precisa sempre lo stesso J. Cambria, che la nostra non è l’unica verità. Dobbiamo esplorare, discutere e capire le percezioni degli altri.

Lo schema da tener bene in mente è quindi:

  • Controllo delle emozioni
  • Niente di personale
  • Percezioni diverse
  • Pensiero unico

La negoziazione richiede del tempo. Oltre alla preparazione, il negoziatore deve essere creativo e seguire la giostra emotiva della persona in stato di crisi.

Ulteriore suggerimento è conosciuto come le 3 E e le 3 A:

  • Etica
  • Ego (sotto controllo)
  • Empatia
  • Attenzione
  • Atteggiamento
  • Aggiustamento

Occorre esercitare sempre e comunque l’empatia, poiché se ignorate le preoccupazioni normali, fisiologiche o assurde che possano essere di una persona, causerete una rottura della comunicazione. Occorre esplorare, quindi, le posizioni della controparte ed ogni problema va ascoltato e trattato con rispetto e dignità. Se non partite da tale prospettiva, rinunciate a negoziare!

Se proviamo un senso di superiorità all’apertura di un negoziato, allora abbiamo già preso una decisione, e nulla di ciò che il nostro interlocutore dirà, potrà penetrare nel nostro cervello. Fingendo di ascoltarlo, rifiuteremo di considerare i punti che sta sollevando. L’atteggiamento giudicante interrompe, infatti, la comunicazione.

L’HNT suggerisce alcuni step strategici, conosciuti con l’acronimo Morepies:

  1. Incoraggiatori minimi
  2. Domande aperte
  3. Rispecchiare
  4. Etichettatura emotiva
  5. Parafrasare
  6. Messaggio «IO»
  7. Pause efficaci
  8. Riassunto

Altri suggerimenti: non fermatevi a domande chiuse o con scelta forzata; attenzione alle domande che possono sembrare accusatorie (perché hai fatto una cosa del genere); cercate di creare pause intenzionali per esortare l’altro a parlare; il silenzio è un’arma efficace a volte; riassumete i punti discussi fino a quel momento.

La comunicazione può essere ostacolata da svariate trappole:

  • Assunti e preconcetti
  • Criticare mentalmente lo stile comunicativo dell’altro
  • Essere sovraeccitati
  • Ascoltare solo i fatti senza fare attenzione alle emozioni
  • Annotarsi tutto quanto
  • Interrompere la controparte
  • Reagire eccessivamente a certe parole
  • Sognare a occhi aperti
  • Distrarsi con cellulare o altro.

Da evitare, quindi:

  • MA : il ma nega tutto ciò che è stato detto precedentemente. Provate a mettere la parte negativa del messaggio per prima seguita da quella positiva.
  • La parola NO dovrebbe essere evitata. Il NO elimina ogni altra opzione. Evitate: no, non posso, non riesco, non voglio, …
  • Usate perché con cautela. Spesso, con un certo tono di voce, viene percepito accusatorio, soprattutto quando una persona è in situazione di crisi. Sostituiamo il «perché» con il «come» ed evitate frasi tipiche quali: “So esattamente come ti senti. Con tutto il dovuto rispetto”, …
  • Adoperate strategicamente l’umorismo. Fatelo però con cautela.
  • Non vi ponete come parte che da consigli e che giudica.

La negoziazione è, infatti, una forma di comunicazione specializzata costellata da infinite trappole. Siate sempre vigili, rimanete sintonizzati sugli altri. Fate attenzione agli atteggiamenti, alle frasi e alle parole. Fate attenzione alla vostra faccia e al tono di voce. «Potranno dimenticare cosa hai detto, ma non dimenticheranno come li hai fatti sentire.»

Il manuale di negoziazione suggerisce:

  1. Evitate di essere critici
  2. Evitate di dare consigli sulla base di esperienze personali
  3. Evitate di analizzare il soggetto
  4. Evitate di esprimere giudizi
  5. Rispettare l’autonomia delle persone
  6. Consultate sempre l’altro. L’accordo deve essere comune
  7. Mostrate gratitudine: riduce lo stress della negoziazione e rafforza una relazione
  8. Un negoziato non è uno scontro fra due parti, ma un processo in cui le parti lavorano insieme per trovare una soluzione.

Ultertiore approfondimento ci può essere fornito dall’approccio 6 P:

  1. Preparazione
  2. Pianificazione
  3. Psicologia
  4. Pratica
  5. Pazienza
  6. Persistenza

Le tecniche di negoziazione si apprendono e soprattutto devono essere praticate. Negoziare è un expertise e non solo un’esperienza. Una pratica sbagliata, infatti, ripetuta tante volte, è comunque sbagliata!

  • Negoziare significa saper ascoltare
  • Negoziare significa creare un ottimo rapport
  • Negoziare significa essere creativi

La negoziazione è soprattutto cooperazione. Negoziare significa anche «essere duro con i problemi e morbido con le persone» (Harvard University).

 

 


  • È interessante l’esempio seguente della Scuola di Negoziazione di Harvard: «Due sorelle litigavano per un’arancia. Una di loro riteneva di averne più diritto in quanto l’aveva presa per prima, invece l’altra argomentava che il diritto spettava a lei essendo la primogenita».

La madre, nel tentare una soluzione imparziale, offrì di tagliare il frutto a metà: le bambine rifiutarono fermamente e non accettarono la soluzione proposta, continuando a litigare! La nonna, che osservava attenta la scena, decise di chiedere a ognuna delle bambine perché volevano l’arancia.

La più piccola rispose che aveva sete e l’altra che voleva la buccia per preparare una torta perché aveva fame.

Così la nonna grattugiò la buccia dell’intera arancia e la offrì ad una delle nipoti, spremette la polpa dell’intera arancia e la offrì all’altra.

Come vediamo, se la soluzione fosse stata impostata sulla base delle posizioni iniziali delle bambine, le diverse possibilità sarebbero state:

  1. aggiudicare l’arancia alla sorella maggiore
  2. aggiudicare l’arancia alla sorella minore
  3. dividere l’arancia a metà

Nessuna di queste soluzioni sarebbe stata in grado di soddisfare gli interessi delle sorelle. Gli accordi negoziati si basano sulla possibilità di rinforzare gli interessi comuni, transigere gli interessi opposti e raggiungere la maggior soddisfazione possibile riguardo gli interessi differenti.

  • Noi ascoltiamo 125-250 parole al minuto. Pensiamo a 1000-3000 parole al minuto. Il 75% de tempo siamo distratti. Generalmente, dopo aver ascoltato, ricordiamo il 50% di ciò che è stato detto, ma anche meno! Un’ora dopo, ricordiamo meno del 20%.
  • Interessante l’esempio raccontato da J. Cambria in Parliamone: “Due uomini si trovano in un bar e finiscono per parlare di Green Bay, Wiisconsin.

Il primo dice: «è davvero un bel posto»

Il secondo risponde: «cosa c’è di bello in quel posto? Le uniche due cose che vengono da lì sono i Packers, la squadra di football e delle baldracche repellenti»

«… aspetta un minuto, brutto stronzo» dice l’altro. «Mia moglie viene da Green Bay»

«Davvero? In che ruolo gioca?»”

  • Si legge ancora in Parliamone: “… un uomo stava riempiendo un secchio di stelle marine che erano state sbattute sulla spiaggia dal vento. Ogni volta che il secchio si riempiva, l’uomo andava a riva e lo svuotava. Poi, ritornava a fare la stessa cosa e di nuovo a riempire il secchio.

Ma cosa fai? Chiese un passante.

Riporto le stelle marine in mare, rispose.

Perché, è una cosa di scarsa importanza ora.

L’uomo lo guardò e rispose: «è importante per le stelle marine.»


  • Il presente capitolo farà parte del testo CRIMINAL, in fase di pubblicazione. Tutti i diritti sono riservati.
  • Per una trattazione specialistica in termini di Negoziazione cfr. Parliamone. Jack Cambria, ROI Edizioni, 2019. Il testo rappresenta una testimonianza interessante e pragmatica di uno specialista della negoziazione – Squadra di negoziazione ostaggi del Dipartimento di Polizia di New York, istituita nel 1973

 

Come trattare gli altri e farseli amici

Se insegnate qualcosa a qualcuno, non l’imparerà mai. L’apprendimento è un processo attivo. Solo facendo si impara.

La gente non accetta critiche sul proprio modo di comportarsi, per quanto sbagliato possa essere. Trattando con la gente, ricordiamoci che abbiamo a che fare con creature governate non dalla logica, ma dalle passioni!

Queste premesse strategiche ci vengono fornite da D. CARNEGIE, che continua a “dispensare” consigli pratici quando occorre interagire intelligentemente con gli altri. Egli, infatti, suggerisce ancora:

Interessatevi sinceramente alle persone, Sorridete, Ricordatevi che per una persona, il suo nome è il suono più importante, Siate buoni ascoltatori, Parlate di quello che interessa agli altri, Date importanza all’altro, Non dire mai “lei ha torto”, Mostrarvi amichevoli, Vedete le cose dal punto di vista altri, Siate comprensivi, Parlate dei vostri errori prima di parlare di quelli altrui, Date agli altri l’impressione che siano stati loro ad avere l’idea giusta e poi … Il modo migliore per avere la meglio in una discussione consiste nell’evitarla.

Che cosa significa Assertività

L’assertività è la capacità di esprimere le proprie opinioni, i propri pensieri, i sentimenti, senza porsi sulla difensiva, in modo chiaro e aperto. Assertività è la capacità anche di avanzare richieste e di rifiutare, di contro, ciò che riteniamo inaccettabile.

Solitamente, dietro il fatto di essere poco assertivi, vi è il timore di un rifiuto, ovvero il NO …

L’assertività è un’abilità che concerne i rapporti interpersonali quindi,  ma può essere implementata con la pratica. Come vera e propria skill è collegata anche alle abilità persuasive, ma sopratutto alla capacità di osservazione e di ascolto.

Ascoltare è un’attività consapevole, differente dal sentire. Per ascoltare qualcuno o qualcosa occorre decidere di farlo. È l’abilità fondamentale da esercitare in qualsiasi contesto comunicativo ed è la più strategica. In pochi però sanno che, oltre ad essere direttamente connessa con l’assertività, comprende:

1.Orientamento all’ascolto

2. Capacità di concentrazione

3. Orientamento al feedback

4. Empatia

5. Capacità di programmare la comunicazione

Lavorare fa male … e la Felicità salverà le Organizzazioni

 

Vi sembrerà strano, ma nelle Organizzazioni moderne e in quelle future, ciò che conta e conterà sarà la Felicità!
Sembra un’affermazione romantica o lontana dal concetto di Business, ma vi assicuro che non è affatto così …
Per lavorare bene, per prosperare, per raggiungere risultati, le organizzazioni e le persone che ne fanno parte devono, banalmente, sentirsi bene, soddisfatte, protette e valorizzate. Al bando, quindi, ogni forma di stress!
Un po’ di numeri e percentuali daranno un primo quadro di ciò che sto illustrando:
– L’87% dei lavoratori è demotivato
– 500 miliardi di euro sono sprecati per mancanza di produttività
– Il 33% del calo di fatturato è dovuto al basso livello di engagement
– Si registra un aumento del 37% di assenteismo a causa dello stress
– Si registra una percentuale in aumento di incidenti sul lavoro (+49%) e il 60% è dovuto a errore umano


Questi dati europei potrebbero essere già sufficientemente allarmanti, ma forse non basta … Sembra che nei Paesi dove si lavora meno, ci sia meno disoccupazione e maggior ricchezza individuale e felicità (es. Francia e Germania). Si direbbe, quindi, che, spesso, si lavora troppo e male!
E ancora … in Europa, 40 milioni di lavoratori soffrono di stress lavorativo e 84 milioni hanno almeno un disagio psicologico. Nel 2020 la depressione sarà la patologia più diffusa!

Dall’altro lato, c’è il concetto di Benessere o la politica antistress che molte organizzazioni cercano di applicare. Io parlerei meglio di  wellbeing culture.
Già negli anni 20, lo studio Happy Productive Worker aveva dimostrato che il benessere dei dipendenti porta ad un aumento della produttività e dei profitti e gli studi di Psicologia del Lavoro e delle Organizzazioni da allora, si sono moltiplicati e ad oggi sono numerosissimi. La produttività aumenterebbe del 30% e l’innovazione del 300%, inoltre si registra una riduzione del turnover del 55% e una diminuzione del burnout pari al 125%, con un’ulteriore riduzione del 66% dell’assenteismo per malattia!

Questi dati sono ovviamente incoraggianti, ma non sufficienti ancora per un cambiamento repentino di rotta, per un reale change management e per un effettivo mutamento della cultura del lavoro.
Insomma, non ci stancheremo mai di dire che lo stress lavorativo determina danni ingenti e se ancora non è sufficiente, il costo totale per disagi mentali collegati allo stress lavorativo è pari a 240 miliardi l’anno, con un 43% di costi diretti per spese sanitarie e 57% di perdita di produttività.

In Italia trascorriamo in media 1725 ore l’anno al lavoro. Circa il 30% della nostra vita attiva! A livello individuale, lavoriamo 243 ore più dei francesi e 354 ore più dei tedeschi! In aziende ad alto livello di stress, le spese di assistenza sanitaria sono quasi il 50% maggiori rispetto ad altre organizzazioni …
Il Center for American Progress stima che rimpiazzare un singolo collaboratore costa circa il 20% del suo salario, mentre in Italia, 11 milioni di persone usano psicofarmaci a causa dello stress lavoro correlato.

Dopo questa overdose di numeri e percentuali che spero rimbombino ossessivamente nella mente dei dirigenti o di chi si occupa di cultura organizzativa, ritorniamo al principio: qual è il ruolo della Felicità?
Il World Happiness Report è un’indagine storica sullo stato della felicità globale, che raggruppa 156 Paesi per il mondo in cui i loro cittadini si sentono felici. Il Paese più felice non è l’Italia ovviamente. Quest’anno risulterebbe essere quel tratto di terra che va da Helsinki alla Lapponia.
Gli indicatori principali sembrano quasi banali: sauna all’aria aperta; amore verso gli altri e l’ambiente circostante, uso appropriato di internet. Nella top ten rimangono nazioni come la Finlandia, la Danimarca, la Norvegia, l’Islanda, l’Olanda, la Svizzera, la Svezia, la Nuova Zelanda, il Canada e l’Austria. L’Italia è al 36° posto! Negli Stati Uniti, invece, aumenta l’infelicità a causa di un’epidemia di dipendenze (sostanze, gioco d’azzardo, media digitali).


Un’altra considerazione che sorprenderà: utilizzo della tecnologia, ma con moderazione! In Italia e in altri Paesi, invero, si parla già di “telepressione del luogo di lavoro” (wokplace telepressure) che aumenterebbe il livello di esaurimento fisico e mentale nel lavoratore. Insomma, non sappiamo usare saggiamente neanche il progresso tecnologico …
Ancora alcuni numeri a tal proposito:
– Un’interruzione di 2.8 secondi (tempo necessario per leggere un breve messaggio su watsapp) può raddoppiare il tasso di errore anche su compiti semplici.
– Un’interruzione di 4,4 secondi (tempo necessario per inviare un messaggio) può triplicare il rischio di commettere errori.
– Un impiegato d’ufficio controlla mediamente le email 30 volte l’ora.
– Ogni volta che un lavoratore si distrae, impiega una media di 25 minuti per ritornare a concentrarsi su ciò che stava facendo.
– Il 67% dei proprietari di uno smartphone controlla il suo dispositivo anche quando non riceva alcuna notifica.
– Il 44% dorme con il cellulare accanto al letto.
– Il 29% non riesce ad immaginare una vita senza uno smartphone.
– Il 55% dei lavoratori dichiara di controllare le email dopo le 23.

Sarà sufficiente? Bhè, la felicità richiede anche, talune volte, di fermarsi a riflettere e se pensate di non avere tempo poiché lavorate troppo, questo articolo è proprio per voi …

Cammelli, arance e Gestione del Conflitto

L’ESSENZA DELLA GESTIONE DEL CONFLITTO

Tempo fa, in un piccolo villaggio del Medio Oriente, un uomo lasciò in eredità ai suoi tre figli 17 cammelli: al primo figlio lasciò la metà dei suoi cammelli, al secondo un terzo dei cammelli e al più giovane un nono dei cammelli.
Però 17 non si divide per due, né per tre o per nove!
Il sangue dei fratelli cominciò a ribollire, ma prima di commettere atti sconsiderati e irreparabili come quello di segare un cammello in più parti, i tre chiesero consiglio all’anziano saggio del villaggio.

Secondo te che cosa propose il vecchio saggio?

«Non so come aiutarvi, ma se volete posso prestarvi il mio cammello». Così ebbero 18 cammelli.
Il primo figlio se ne prese la metà (9)
Il secondo un terzo (6)
Il figlio più giovane prese il nono (2)
Tot: 9+6+2= 17
Avanzò un cammello, che restituirono al vecchio saggio!

Questo piccolo dilemma (Scuola di Negoziazione di Harvard) è un classico esempio di Gestione del Conflitto.
Per risolvere i conflitti occorre lavorare sulla struttura profonda della problematica, una struttura fatta di interessi e motivazioni delle persone. Non è sufficiente, né consigliabile fermarsi alla struttura superficiale, fatta solo di posizione assunte dalle parti.

Un altro esempio.
«Due sorelle litigavano per un’arancia. Una di loro riteneva di averne più diritto in quanto l’aveva presa per prima, invece l’altra argomentava che il diritto spettava a lei essendo la primogenita».
La madre, nel tentare una soluzione imparziale, offrì di tagliare il frutto a metà: le bambine rifiutarono fermamente e non accettarono la soluzione proposta, continuando a litigare!
La nonna, che osservava attenta la scena, decise di chiedere a ognuna delle bambine perché volevano l’arancia.
La più piccola rispose che aveva sete e l’altra che voleva la buccia per preparare una torta poichè aveva fame.
Così la nonna grattugiò la buccia dell’intera arancia e la offrì ad una delle nipoti, spremette la polpa dell’intera arancia e la offrì all’altra.
Come vediamo, se la soluzione fosse stata impostata sulla base delle posizioni iniziali delle bambine, le diverse possibilità sarebbero state:

1. aggiudicare l’arancia alla sorella maggiore
2. aggiudicare l’arancia alla sorella minore
3. dividere l’arancia a metà

Nessuna di queste soluzioni sarebbe stata in grado di soddisfare gli interessi delle sorelle.
Gli accordi negoziati si basano, quindi, sulla possibilità di rinforzare gli interessi comuni, transigere gli interessi opposti e raggiungere la maggior soddisfazione possibile riguardo gli interessi differenti.
Nel nostro esempio, gli interessi delle sorelle sono allo stesso tempo comuni (l’arancia) e differenti (una voleva la spremuta e l’altra una torta).

La risoluzione dei conflitti è legata anche alla creatività e alla capacità di uscire fuori dagli schemi.

 

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