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Dobbiamo diventare il cambiamento che vogliamo vedere.

Comunicazione Non Verbale: un Dizionario davvero speciale.

La conoscenza della comunicazione non verbale può fornire un utile supporto al processo comunicativo, indipendentemente dal contesto. Essere percettivi significa essere capaci di individuare le contraddizioni tra il linguaggio orale e il linguaggio del corpo. Significa, al contempo, scovare le incoerenze e perché no, anche la menzogna. Sovente, si parla di Audience awareness.

Alcune regole di fondo andrebbero però sempre rispettate:

  1. Leggete i gesti nell’insieme.
  1. Attenzione alla coerenza.
  2. Leggere i gesti nel contesto.

Immaginate di aprire la porta del bagno di una casa che state visitando e di scoprire una donna nuda nella vasca: come reagirà alla vostra presenza?

Una donna britannica o americana si coprirebbe il seno con una mano e i genitali con l’altra; una svedese solo i genitali; una musulmana il volto, una di Sumatra le ginocchia e una della Samoa l’ombelico!

Durante un processo comunicativo occorre considerare anche alcuni fenomeni particolari che, sovente, possono essere un vantaggio/svantaggio. Almeno l’80% delle opinioni sull’altro, infatti, si formano durante i primi 4 minuti di conversazione. L’efficacia della comunicazione, inoltre, è ripartita tra il 55% dei movimenti del corpo, in primis espressioni facciali, il 38% vocale, ovvero volume, tono e ritmo e il restante 7% verbale. Tale ripartizione costituisce una verità assodata da tempo.

La mimica è sicuramente una parte importante nella CNV e non riguarda solo le espressioni del viso e le emozioni universali. Una parte della mimica si occupa, ad esempio, solo degli occhi e dello sguardo (pupillometria). La pupilla si dilata non solo a seconda della quantità della luce, ma anche a seconda dello stato emotivo.

Lo stesso Hess ha scoperto, ad esempio, che le pupille degli uomini e delle donne eterosessuali si dilatano quando vedono, rispettivamente, modelle o modelli e si contraggono quando notano una persona dello stesso sesso. Inoltre, l’aumento della dilatazione pupillare è correlato positivamente ad una attività di problem solving e che risulta massimo quando la persona giunge alla soluzione. Neonati e bambini hanno pupille più dilatate ed esse si dilatano maggiormente in presenza di un adulto, per risultare molto gradevoli e quindi per avere più attenzioni.

Lo sguardo risulta “rivelatore” grazie alla sclera e l’uomo è l’unico primato che la possiede. Essa è un vero ausilio comunicativo e consente di capire in quale direzione guardiamo, oltre ad essere correlata con lo stato emozionale. La donna possiede una sclera più grande e ciò potrebbe giustificare la maggior predisposizione femminile nel cogliere i sentimenti, rispetto all’uomo.

Un altro indicatore è l’occhiata a distanza. Un’occhiata a distanza è un atto usato sin dall’antichità come espressione di un saluto. È un gesto universale, tra l’altro, riscontrato anche nelle scimmie! L’unica cultura che non usa tale tipo di saluto è quella giapponese. Un’occhiata a distanza significherebbe: “riconosco la tua presenza e non rappresento una minaccia”.

Un altro “gesto” comune che si può notare è il battito delle palpebre.

È un altro segnale da tenere sotto controllo. Mediamente, battiamo le palpebre circa 8 volte al minuto e i nostri occhi rimangono chiusi per un decimo di secondo. Aumenteremo il battito quando ci sentiamo sotto pressione o anche quando diciamo una bugia. Inoltre, prolungare il battito palpebrale rappresenta un modo inconscio di escludere qualcuno davanti a noi, magari perché ci annoiamo o perché non di nostro gradimento!

Lo sguardo può essere utilizzato in tanti modi differenti. Se, ad esempio, desideriamo uno sguardo “ipnotico” e desideriamo anche “intimorire” qualcuno, ci converrà guardare al centro della fronte, tra gli occhi. Invece, guardare tra gli occhi e le labbra, durante una conversazione, può comportare un certo disagio nell’estraneo, a meno che non desideriamo creare intimità o comunicare intenzioni “romantiche”!

Tra gli altri atti non verbali distinguiamo:

 

Emblemi, ovvero atti non verbali condivisi da membri di un dato gruppo, cultura, classe:

  • Possono prendere il posto delle parole.
  • Sono consapevoli e intenzionali.
  • Sono elaborati dalle stesse aree cerebrali in cui viene prodotto il linguaggio.

 

Illustratori, collegati al discorso che si sta facendo:

  • Bacchette: accentuano ed enfatizzano.
  • Movimenti ideografici, che indicano la direzione del pensiero (es. muovere la mano davanti alla fronte per indicare uno stordimento).
  • Movimenti deittici: segnalano qualcosa o qualcuno (es. puntare il dito su persona o su un oggetto del nostro discorso).
  • Movimenti spaziali: descrivono una relazione spaziali.
  • Pantomime: indicano un’azione (es. portare le mani avanti per dire che abbiamo respinto qualcuno)
  • Movimenti pittografici: delineano la sagoma (es. quando descriviamo una persona in forma o sovrappeso).

Affect-display, movimenti dei muscoli facciali e corporei associati alle emozioni primarie.

Regolatori, gesti che mantengono e regolano l’alternarsi dei turni della conversazione:

  • Sono appresi in modo inconscio.
  • Segnali evidenti e meno evidenti (es. piede, gamba dx, sx).

Adattatori, utilizzati per soddisfare bisogni fisici o psichici (originariamente).

  • togliere un filo dalla giacca dell’interlocutore, pulirsi un lato della bocca, allontanare all’improvviso un bicchiere.
  • Gestione inconscia.

Il contatto fisico.

Il contatto fisico, durante un’interazione è fondamentale, sebbene sia fortemente influenzato dalla cultura di riferimento e dall’educazione. Gli uomini, percentualmente, utilizzano maggiormente il tatto rispetto alle donne, anche se si registrano numerose differenze a seconda dello status.

Secondo alcuni studi, la comunicazione tattile aumenterebbe la collaborazione, inoltre, creerebbe maggiore attivazione emotiva, empatia, sincerità, senso di appartenenza. Toccare lievemente uno sconosciuto creerebbe un legame minimo che predispone favorevolmente quest’ultimo verso di noi.

L’utilizzo strategico del tatto aumenterebbe il fascino, il tratto di dominanza, la determinazione e l’empatia.

La mano comunica molto. Gesticolare con il palmo verso l’alto, ad esempio, verrebbe codificato come un gesto non minaccioso. Il palmo verso il basso viene considerato, invece, come gesto autoritario. Attenzione anche al “dito puntato” mentre si gesticola.

La stretta di mano si è evoluta come segno per suggellare un accordo commerciale. Nell’antica Roma si usava la stretta all’avambraccio. Oggi, la stretta di mano è comune in tutto il mondo, anche in Giappone (inchino) e Thailandia (gesto preghiera). Si può distinguere, inoltre: la stretta del controllo, attraverso una presa al gomito, al braccio e alla spalla. Se non esiste un legame personale o emozionale con l’altra parte, usate solo la stretta di mano! Più è alta la stretta, sino alla spalla appunto, più la persona desidera controllare l’altro.

Nella comunicazione non verbale occorre fare molta attenzione ad altre variabili:

  • La personalità del soggetto.
  • L’ambiente in cui si svolge l’interazione.
  • Le circostanze dell’interazione.
  • La relazione con l’interlocutore.
  • Il clima emotivo dell’interazione.

Inoltre, sono molto importanti altri segnali: segnali d’ansia, di autoconforto, distraenti, fuga, fastidio, perplessità.

Segnali d’ansia:

  • Stropicciarsi le dita
  • Tremolio delle mani
  • Perdita del controllo della motilità fine
  • Sentire il bisogno di poggiarsi a qualcosa

Autoconforto:

  • Accarezzarsi
  • Abbracciare se stessi
  • Tenere stretto a se un oggetto
  • Accarezzamento di un lobo
  • Afferrare una mano con l’altra
  • Intrecciare le dita
  • Annodare i capelli

Distraenti e fuga:

  • Aggiustare gli accessori
  • Portare il sedere sul bordo della sedia
  • Orientare le gambe in direzione differente da quella del tronco
  • Avvolgere le gambe intorno alla sedia
  • Cambiare spesso posizione da seduti
  • Pestarci i piedi
  • Sollevare i talloni

Fastidio, perplessità:

  • Sfregarsi il naso
  • Sollevare la punta del naso
  • Grattarsi il naso
  • Togliersi qualcosa nella zona lacrimale
  • Spingere gli occhiali verso l’alto
  • Sollevare un sopracciglio con un dito
  • Grattarsi la fronte
  • Grattarsi la nuca
  • Grattarsi lo zigomo o la zona davanti all’orecchio
  • Spingere con il dito sotto il labbro inferiore
  • Togliersi ipotetiche briciole dall’angolo della bocca
  • Spingere la lingua contro le guance
  • Mordicchiare il labbro
  • Grattarsi con il dito o con una penna sotto il mento
  • Scalciare con la gamba accavallata è un modo per allontanare qualcosa
  • Sollevare il piede in segno di Stop
  • Portare un piede sotto la sedia

Possiamo identificare anche i gesti e le posture minacciose, come ad esempio:

  • Rimboccarsi le maniche
  • Tenere i pugni sui fianchi
  • Esibire simboli fallici
  • Stringere i pugni

Esistono, ancora, tantissimi segnali relazionali: Grooming: es. togliere un pelucchio di dosso all’altro, aggiustare il colletto, … Giocherellare con gli oggetti dell’altro. Comportamento speculare. Sincronia interattiva. Guardarsi le mani o le unghie è indice di noia. Appoggiare la testa sul pugno è un segnale relazionale di rifiuto.

Interessante anche la gestualità proveniente dalle braccia. Incrociare le braccia sembra in gesto innato. Le scimmie e gli scimpanzè lo usano quando temono in attacco. Alcuni studi evidenziano che quando ascoltiamo qualcuno e abbiamo le braccia incrociate, il nostro livello di apprendimento può drasticamente ridursi, inoltre, formuleremo giudizi più negativi sull’interlocutore. Se parlate ed incrociate le braccia, la vostra credibilità può ridursi sensibilmente. Anche in questo caso, forniamo un piccolo vocabolario:

  • Braccia al petto: nessuna intenzione di aprirsi né di lasciarsi avvicinare.
  • Braccia conserte e pugno chiuso: ostilità.
  • Braccia chiuse e presa delle braccia con le mani: insicurezza.
  • Braccia chiuse con pollici verso l’alto: chiusura ma stima di sé.
  • Tenersi un braccio mentre si sta in piedi, in situazioni di P.S. denota insicurezza, imbarazzo.
  • Negli uomini, si vede molto la posizione della «zip rotta». In tal caso, la persona teme degli attacchi frontali! A quanto pare, Hitler lo faceva per un senso di inadeguatezza sessuale!

Gestualità delle mani.

La mano umana ha 27 ossa ed è stato dimostrato che il cervello ha delle connessioni nervose con le mani come per ogni altra parte del corpo. I gesti con le mani ci rivelano anche informazioni sullo stato emozionale dell’altro. Gesticolare con le mani è un fatto culturale ma aiuta anche a comunicare e ricordare.

  • Sfregare i palmi: aspettative allettanti.
  • Le mani giunte: atteggiamento controllato.
  • Mani giunte in posizione centrale, quando seduti: chiusura, frustrazione.
  • Mani giunte a guglia: sicuro di avere le risposte giuste.
  • Mani giunte in posizione di preghiera: autocompiacimento, arroganza.
  • Appoggiare la testa sulle mani giunte: guardami!
  • Camminare con le mani dietro la schiena: posizione di potere, superiorità, sicurezza. Se provate questa posizione in situazioni di stress, potreste sentirvi più sicuri.
  • Mani dietro con presa del polso: frustrazione, autocontrollo. Più alta è la mano che afferra il braccio opposto, più frustrato e infuriato è il soggetto.

Gestualità con le gambe:

Battere o dondolare il piede denota il tentativo del cervello di scappare da un’esperienza. P. Ekman ha rilevato che le persone che mentono controllano poco la parte inferiore del corpo! Le punte dei piedi, sovente, indicano la direzione che preferiamo o «dove vogliamo andare». Mentre braccia e gambe incrociate, quando siamo in piedi, denotano spesso incertezza. Le gambe possono essere incrociate in modalità “europea” o femminile o in modalità a “quattro americano”, più maschile. Quest’ultimo modo denota anche un atteggiamento competitivo, dominante e polemico. Occorre considerare anche altre sottigliezze. Ad esempio, una persona che sta decidendo ha solitamente i piedi appoggiati a terra, mentre se incrocia le caviglie, potrebbe significare che si sta trattenendo (sentimento negativo, di incertezza, paura, …).

Come si desume, abbiamo quindi un vocabolario molto speciale e articolato. Indipendentemente dal contesto comunicativo e dalle persone, cercate sempre e comunque di affinare l’osservazione e di concentrarvi sul non verbale. Tra le parole e i gesti, affidatevi maggiormente a questi ultimi.

 

Il gatto: simbolismo e immagini archetipiche

I gatti hanno ispirato potenti proiezioni, positive e negative. Il dio egizio del Sole Da era il gatto feroce che con un colpo uccise il serpente del caos primordiale Apopi. I monasteri buddhisti hanno accolto i gatti non solo come protettori dei testi sacri ma anche come compagni discreti che condividono con i monaci l’inclinazione verso l’indipendenza pacata e regolare.

Nelle favole, il gatto assume il ruolo di uno psicopompo la cui audace vitalità instintuale compensa la grazia eccessiva e gli istinti sublimati dell’eroe o dell’eroina. L’onnipresente “gatto che chiama” nella cultura giapponese che attira i clienti nei negozi e porta fortuna e prosperità nelle case, è indicativo delle energie feline fertili e positive. Agli occhi dei loro detrattori, invece, i gatti sono spesso crudeli, egoisti, freddi e distaccati. Nel folklore buddhista, il topo incaricato di portare una medicina per il Buddha morente non riuscì a completare la sua missione, perché ucciso e mangiato da un gatto.

La cultura cristiana ha associato spesso il gatto al potere sovversivo del demonio e, in particolare, delle donne in contrasto con le nozioni comuni di obbedienza, modestia e rettitudine morale femminile. I gatti, capaci di rubare le anime dei morti o il respiro dei bambini, etichettati come demoni al servizio delle streghe e cadevano vittime di persecuzioni furiose.

Coloro che hanno la fortuna di essere chiamati dal gatto interiore che vaga nella psiche, potrebbero scoprire che esso può condurli al cuore centrale della loro “casa originaria”. I gatti mediano l’incontro con il terreno nativo istintuale dal quale, taluni sono stati sradicati.

Con il loro infallibile senso dell’orientamento, possono aiutarci a localizzarci nel presente. Come delle muse mediano il gioco spontaneo e imprevedibile delle energie creative. E chi meglio dei gatti può dimostrare, semplicemente con l’esempio, come rivendicare quello che si ha dentro e farlo proprio?

Guardando attraverso il “tappeto lucido” della retina degli occhi dei felini, possiamo imparare a cercare nei paesaggi più scuri della psiche le nostre parti nascoste e portarle, senza rimorsi, alla luce del giorno.

Fonte: Il libro dei simboli, Riflessioni sulle immagini Archetipiche. Taschen.

 

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