Ipnosi e Sistema Nervoso
Le conoscenze sull’Ipnosi e sui suoi meccanismi, nel corso degli ultimi anni, hanno raggiunto livelli avanzati. Possiamo parlare -soprattutto per una percentuale di scettici- di una vera e propria Neurofenomenologia. È stata, ad esempio, documentata la presenza di una “bilancia limbica”, in grado di mediare lo stato di trance, con l’amigdala come antagonista e l’ippocampo come agonista della stessa trance. Molti studi hanno confermato l’importanza del sistema limbico, quindi, nel mediare lo stato di trance.
L’ipnosi è stata associata anche ad una condizione di rilassamento psicofisico, che richiama il Sistema Nervoso Autonomo. Uno studio condotto su soggetti sani, attraverso la tecnica moderna dell’analisi dello spettro di potenza del segnale di variabilità cardiaca dell’intervallo R-R, ha dimostrato come l’ipnosi neutra (senza suggestioni specifiche) sia in grado di agire efficacemente sulla “bilancia autonomica”, riducendo l’ipertono ortosimpatico ed incrementando il tono parasimpatico-vagale. Ciò conferma come il rilassamento ipnotico sia associato ad un’intenza azione di rimodulazione del Sistema Nervoso Autonomo.
L’ipnosi, recentemente, è stata inoltre riconosciuta dalla comunità scientifica internazionale come un valido e flessibile “strumento fisiologico” per esplorare il sistema nervoso centrale e periferico.
La ricerca neuroscientifica sull’ipnosi ha incluso, pertanto, studi elettrofisiologici (analisi bispettrale), neuroimaging (Tomografia Computerizzata a emissione di singolo fotone, SPECT, Single Photon Emission Computerized Tomography, Risonanza Magnetica Funzionale, Tomografia ad emissione di positroni), Neuroimaging avanzato (fMRI) e Neurofeedback.
L’ipnosi è associata all’aumento deell’attività theta (lenta) e gamma (rapida), con livelli elevati di theta associati a maggior ipnotizzabilità e responsività ipnotica.
L’analisi bispettrale e l’indice BIS sono in grado di misurare e monitorare addirittura la profondità della trance ipnotica, distinguendo così la “zona ipnotica” da diversi livelli e stati di coscienza (range tra 77 e 92).
Diversi studi di neuroimaging hanno contribuito a creare una mappa cerebrale delle regioni di interesse durante l’ipnosi. Le aree maggiormente interessate risulterebbero essere la corteccia occipitale, il talamo, la corteccia cingolata anteriore, la corteccia parietale inferiore, il precuneo e la corteccia prefrontale dorsolaterale.
Altre ricerche neuroscientifiche dimostrano che le “suggestioni ipnotiche” sono in grado di coinvolgere specifiche aree e circuiti cerebrali coerenti con il contenuto delle suggestioni stesse! Oltre alle suggestioni percettive e cognitive, risultano rilevanti soprattutto quelle ideomotorie.
Sul versante neurochimico, il sistema della dopamina, è considerato il candidato attendibile per l’ipnosi. Si è dimostrata la correlazione tra ipnotizzabilità e livelli di acido omovanillico, metabolita della dopamina, nel liquido cerebrospinale. Il cingolo anteriore e la corteccia prefrontale destra sono ricchi di neuroni dopaminergici. La correlazione osservata tra ipnotizzabilità e acido omovanillico liquorale implica, a sua volta, il coinvolgimento dei lobi frontali in cui esiste la maggior parte delle reti dopaminergiche, unicamente ai gangli alla base.
L’ipnotizzabilità elevata sembra, inoltre, essere associata ad elevati livelli di GABA.
L’ipnosi non è più oggetto di dibattiti e controversie nella comunità scientifica di specialisti e non è solo utile strumento per “indagare” il sistema nervoso, ma è un processo psicobiologico strategico in ambito medico e psicologico.
Fonte: Neurofisiologia dell’Ipnosi. G. De Benedettis. In Trattato di Ipnosi. Franco Angeli, 2021.
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