Tag: <span>neuroscienze</span>

Realtà Virtuale tra Neuroscienze e Psiche

Negli ultimi anni, la realtà virtuale (VR) ha guadagnato un ruolo di rilievo nelle neuroscienze, trasformandosi da semplice tecnologia d’intrattenimento a strumento scientifico potente e versatile. Le evidenze scientifiche mostrano come la VR possa offrire vantaggi concreti sia nella ricerca di base che nella clinica, migliorando la comprensione del cervello umano e aprendo nuove strade per la riabilitazione neurologica.

Uno dei principali punti di forza della VR è la possibilità di creare ambienti immersivi e controllati, nei quali è possibile studiare il comportamento umano in situazioni complesse e realistiche. Ad esempio, diversi studi hanno dimostrato che la VR può attivare specifiche aree cerebrali legate alla percezione spaziale, alla memoria e all’orientamento, riproducendo in laboratorio le stesse dinamiche che si verificano nella vita reale.

In ambito clinico, la realtà virtuale si è rivelata efficace nel trattamento di disturbi neurologici come l’ictus, il Parkinson e le lesioni traumatiche cerebrali. La riabilitazione tramite VR favorisce l’engagement del paziente e stimola la neuroplasticità, migliorando i risultati funzionali rispetto alle terapie tradizionali. Inoltre, viene impiegata con successo anche nella gestione del dolore cronico e nei disturbi d’ansia, sfruttando meccanismi di distrazione e desensibilizzazione progressiva.

Un ambito particolarmente promettente è quello della psicologia clinica e della psicoterapia. L’uso della realtà virtuale per trattare disturbi psicologici come ansia, fobie, disturbo post-traumatico da stress (PTSD) e depressione sta crescendo rapidamente. Grazie alla VR, è possibile esporre il paziente in modo graduale e sicuro a situazioni temute o traumatiche, attraverso tecniche di esposizione immersiva che favoriscono l’elaborazione emotiva. Alcuni protocolli VR sono già impiegati in terapia cognitivo-comportamentale, soprattutto per la fobia sociale, l’agorafobia e il disturbo ossessivo-compulsivo.

Inoltre, la VR si sta rivelando utile anche nell’addestramento di abilità sociali, nella regolazione emotiva,  nella mindfulness e nell’ipnosi, fornendo uno spazio controllato in cui l’esperto può modulare ogni elemento dell’esperienza, adattandolo ai bisogni specifici del paziente.

La realtà virtuale provoca nel cervello una serie di reazioni molto interessanti, perché riesce a ingannare i sensi al punto da simulare esperienze reali. Ecco cosa succede, in sintesi:

1. Attivazione delle aree sensoriali e motorie

La VR stimola le stesse aree cerebrali coinvolte nella percezione del mondo reale. Ad esempio:

  • Corteccia visiva: elabora ciò che viene visto nel visore, anche se non è reale.

  • Sistema vestibolare (equilibrio) e corteccia motoria: possono reagire come se ci si stesse muovendo davvero, anche restando fermi.

2. Attivazione del sistema limbico (emozioni)

Il cervello può percepire l’esperienza virtuale come reale, attivando:

  • Amigdala: coinvolta nelle reazioni di paura, può attivarsi durante esperienze VR ansiogene (es. fobie).

  • Ippocampo: legato alla memoria e all’orientamento spaziale, si attiva quando ci si muove in ambienti virtuali.

3. Neuroplasticità

Esperienze ripetute in VR possono favorire il rimodellamento delle connessioni neurali, soprattutto in contesti riabilitativi o terapeutici. Questo è cruciale, ad esempio, nella riabilitazione post-ictus o nel trattamento di ansie e fobie.

4. Conflitto sensoriale (cybersickness)

Quando le informazioni visive in VR non corrispondono a quelle dell’equilibrio (sistema vestibolare), può emergere un disallineamento che porta a nausea, vertigini o disorientamento.

5. Coinvolgimento cognitivo

La VR aumenta l’attenzione e l’engagement. Il cervello tende a essere più coinvolto e “presente” in un ambiente immersivo, il che rende la realtà virtuale utile in psicoterapia, educazione e formazione.

Ne vedremo delle belle! (continua …)

Ipnosi e Sistema Nervoso

Le conoscenze sull’Ipnosi e sui suoi meccanismi, nel corso degli ultimi anni, hanno raggiunto livelli avanzati. Possiamo parlare -soprattutto per una percentuale di scettici- di una vera e propria Neurofenomenologia. È stata, ad esempio, documentata la presenza di una “bilancia limbica”, in grado di mediare lo stato di trance, con l’amigdala come antagonista e l’ippocampo come agonista della stessa trance. Molti studi hanno confermato l’importanza del sistema limbico, quindi, nel mediare lo stato di trance.

L’ipnosi è stata associata anche ad una condizione di rilassamento psicofisico, che richiama il Sistema Nervoso Autonomo. Uno studio condotto su soggetti sani, attraverso la tecnica moderna dell’analisi dello spettro di potenza del segnale di variabilità cardiaca dell’intervallo R-R, ha dimostrato come l’ipnosi neutra (senza suggestioni specifiche) sia in grado di agire efficacemente sulla “bilancia autonomica”, riducendo l’ipertono ortosimpatico ed incrementando il tono parasimpatico-vagale. Ciò conferma come il rilassamento ipnotico sia associato ad un’intenza azione di rimodulazione del Sistema Nervoso Autonomo.

L’ipnosi, recentemente, è stata inoltre riconosciuta dalla comunità scientifica internazionale come un valido e flessibile “strumento fisiologico” per esplorare il sistema nervoso centrale e periferico.

La ricerca neuroscientifica sull’ipnosi ha incluso, pertanto, studi elettrofisiologici (analisi bispettrale), neuroimaging (Tomografia Computerizzata a emissione di singolo fotone, SPECT, Single Photon Emission Computerized Tomography, Risonanza Magnetica Funzionale, Tomografia ad emissione di positroni), Neuroimaging avanzato (fMRI) e Neurofeedback.

L’ipnosi è associata all’aumento deell’attività theta (lenta) e gamma (rapida), con livelli elevati di theta associati a maggior ipnotizzabilità e responsività ipnotica.

L’analisi bispettrale e l’indice BIS sono in grado di misurare e monitorare addirittura la profondità della trance ipnotica, distinguendo così la “zona ipnotica” da diversi livelli e stati di coscienza (range tra 77 e 92).

Diversi studi di neuroimaging hanno contribuito a creare una mappa cerebrale delle regioni di interesse durante l’ipnosi. Le aree maggiormente interessate risulterebbero essere la corteccia occipitale, il talamo, la corteccia cingolata anteriore, la corteccia parietale inferiore, il precuneo e la corteccia prefrontale dorsolaterale.

Altre ricerche neuroscientifiche dimostrano che le “suggestioni ipnotiche” sono in grado di coinvolgere specifiche aree e circuiti cerebrali coerenti con il contenuto delle suggestioni stesse! Oltre alle suggestioni percettive e cognitive, risultano rilevanti soprattutto quelle ideomotorie.

Sul versante neurochimico, il sistema della dopamina, è considerato il candidato attendibile per l’ipnosi. Si è dimostrata la correlazione tra ipnotizzabilità e livelli di acido omovanillico, metabolita della dopamina, nel liquido cerebrospinale. Il cingolo anteriore e la corteccia prefrontale destra sono ricchi di neuroni dopaminergici. La correlazione osservata tra ipnotizzabilità e acido omovanillico liquorale implica, a sua volta, il coinvolgimento dei lobi frontali in cui esiste la maggior parte delle reti dopaminergiche, unicamente ai gangli alla base.

L’ipnotizzabilità elevata sembra, inoltre, essere associata ad elevati livelli di GABA.

L’ipnosi non è più oggetto di dibattiti e controversie nella comunità scientifica di specialisti e non è solo utile strumento per “indagare” il sistema nervoso, ma è un processo psicobiologico strategico in ambito medico e psicologico.

Fonte: Neurofisiologia dell’Ipnosi. G. De Benedettis. In Trattato di Ipnosi. Franco Angeli, 2021.

Realtà Virtuale tra Neuroscienze e Psiche

Negli ultimi anni, la realtà virtuale (VR) ha guadagnato un ruolo di rilievo nelle neuroscienze, trasformandosi da semplice …

Ipnosi MIND

Partiamo da … che cosa non è l’ipnosi. L’Ipnosi non è: – Una forma di manipolazione mentale. – Uno …

L’esperienza fuori dal corpo (OBE)

L’esperienza fuori dal corpo (OBE): una finestra sulla natura della coscienza Le esperienze fuori dal corpo (OBE, dall’inglese …