L’ascolto del minore: dal setting protetto all’applicazione delle neuroscienze investigative.
Quando un bambino manifesta dei disagi non si dovrebbe perdere troppo tempo con le indagini del suo inconscio. Bisognerebbe cominciare le indagini altrove …”. Niente influenza maggiormente i bambini degli atteggiamenti manifesti e dei retroscena dei genitori1. Tale assunto, sicuramente condivisibile, trova però ovvie limitazioni quando il minore “incontra” il sistema giudiziario.
Gli incisi introduttivi si “scontrano” anche, al contempo, con l’evidenza che il minore deve necessariamente confrontarsi con altri attori che, volenti o dolenti, si trovano a condividere stessi spazi, stessi tempi e medesimi scenari.
Un protagonista fondamentale ed essenziale spesso è il consulente esperto in psicologia e/o criminologia che, oltre ad un bagaglio tecnico scientifico, può e deve spesso offrire anche e soprattutto una sua disponibilità emotiva e affettiva o quella che Kohut chiamava “empatia scientifica”.
La consulenza tecnica e la perizia in materia di abuso sessuale dovrebbero essere affidate a professionisti formati in modo specialistico e in costante aggiornamento. Nella raccolta delle informazioni e nella successiva valutazione del minore, l’esperto, inoltre, deve considerare due punti imprescindibili:
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Utilizzare metodi e metodologie riconosciute dalla Comunità Scientifica.
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Rendere esaustivi ed espliciti i modelli teorici di riferimento, allo scopo di favorire una lettura critica dei risultati.
L’esperto è chiamato ad esprimere “giudizi” di natura psicologica, soprattutto considerando la fase evolutiva del minore. Infatti, l’audizione del minore non riguarda l’accertamento dei fatti sotto il versante giudiziario2. Egli, pertanto, dovrà analizzare:
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Le funzioni psichiche del minore.
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Percezione, memoria, pensiero.
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Affetti ed emozioni.
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Relazioni.
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Eventuale presenza di psicopatologie.
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Capacità di distinguere il vero dal falso, la realtà dalla fantasia.
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Suggestionabilità.
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Tendenza a fantasticare o confabulare.
Appare evidente, che il famoso buon senso junghiano, non è sufficiente!
Si tratti di abuso o di altre vicissitudini, occorre considerare che possono esistere meccanismi consci e inconsci che spingono lo stesso minore a dichiarare fatti e/o realtà che non sempre sono corrispondenti al reale: menzogne di fantasia, pseudomenzogne, fraintendimenti, falsi ricordi, persuasioni esterne, ecc.
Grande importanza riveste, quindi, la preparazione scientifica dell’esperto, oltre, ovviamente, alle sue capacità di relazionarsi con un minore (cosa non scontata). Ad onor del vero, andrebbe anche ribadito che il ruolo dell’esperto non è terapeutico ma “processuale”.
In prima istanza, chi si occupa di un minore dovrebbe rispettare alcune semplici linee guida, al fine di preservare ulteriore stress e traumatizzazione allo stesso3.
Gli orari, i tempi e i luoghi devono preservare, il più possibile, la serenità del minore e lo stesso deve essere informato sui suoi diritti. Il minore deve liberamente essere sereno nell’esprimere opinioni, esigenza e preoccupazioni, quindi, occorre evitare domande che possano compromettere la stessa spontaneità delle dichiarazioni, nonché la genuinità e sincerità delle risposte.
Sarebbe opportuno non richiedere le stesse cose al minore per evitare possibili “ripensamenti”. L’atteggiamento emotivo neutro dell’esperto sarebbe auspicabile al fine di evitare rinforzi positivi o negativi, anche sul piano non verbale. Quindi, evitare domande suggestive che possano, in svariato modo, inquinare la memoria del minore. A tal fine, si palesa che la memoria non è riproduttiva ma ricostruttiva.
Dopo aver valutato alcuni aspetti cognitivi, emotivi del minore, l’apertura di un’intervista dovrebbe cominciare con domande generiche, al fine di favorire un possibile racconto libero del minore. Iniziare un’intervista ponendo subito domande dirette sui fatti accaduti è sconsigliato4.
E’ ovvio che la pazienza è d’obbligo: il bambino, oltre alla sua mappa del mondo, ha i suoi tempi e i processi cognitivi ed emotivi non sono quelli di un adulto. Soffermarsi anche sui silenzi, sulle pause e su discorsi o frasi che possono apparire anche irrilevanti è essenziale per garantire la buona riuscita dell’ascolto.
Parlare lo stesso linguaggio del minore è fondamentale. Occorre evitare termini complessi e tecnicismi, poiché inducono il minore alla non risposta o a risposte forzate ma non veritiere. Utilizzare, di fatto, frasi brevi e concise5.
In riferimento a situazioni di abuso, ad oggi, va considerato che non esisterebbero evidenti indicatori correlati a sintomi o comportamenti manifestati dalla presunta vittima. Si parla, infatti, di indicatori aspecifici che, in ogni caso, vanno valutati parallelamente alle altre informazioni relative al caso, all’ambiente scolastico, familiare, sociale dello stesso minore6. Esistono, inoltre, atteggiamenti e comportamenti sessualizzati del minore, anche molto piccolo, che ricadono nella “norma”.
L’incarico di valutare il minore, sia in sede di perizia o di incidente probatorio non può essere effettuato da chi già conosce, a vario titolo, il minore. E’ obbligatorio, inoltre, ascoltare chi ha già interrogato il minore prima dell’audizione ufficiale, sempre al fine di preservare l’autenticità, la correttezza delle procedure e quindi l’attendibilità.
La testimonianza di un minore e in genere la testimonianza, non è argomento semplice su un piano scientifico, tanto meno lo può essere sul piano applicativo.
Al di sotto dei 12 anni, infatti, le capacità mnemoniche dei minori sono più deboli di quelle degli adulti. Il bambino piccolo si muove ancora all’interno di un sistema di attaccamento e quindi, è disposto naturalmente a modificare i dati della realtà percettiva pur di garantirsi la vicinanza di una figura accudente. Da considerare che le funzioni meta-cognitive sono poi in evoluzione e progressivamente, si ha anche l’intrusione di altre variabili di confusione, come ad esempio, le informazioni post-evento e contestuali che, di fatto, possono deformare l’attendibilità della testimonianza del minore7.
Il contenuto di un ricordo testimoniale deve essere considerato “come qualcosa che non può mai essere pura riproduzione fotografica di un fatto obiettivo, ma è sempre il prodotto di una molteplicità di coefficienti …”8. È chiara però, al contempo, la responsabilità di chi interroga il minore, poiché il minore stesso può rendere testimonianze attendibili.
Probabilmente, la prima indagine sulla suggestionabilità infantile ha avuto luogo in Francia nel 1784, quando il governo francese formò una commissione per investigare su Franz Anton Mesmer che curava le malattie fisiche degli adulti e dei bambini attraverso la suggestione esercitata e il convincimento.
La suggestionabilità di un minore non si limita solo a tratti personologici o ad assetti cognitivi ed emotivi ma riguarda anche aspetti motivazionali e di contesto. Il minore, soprattutto se piccolo, si limita ad accettare spesso ciò che viene detto dall’adulto, perché lo considera superiore e credibile. L’interrelazione tra fattori cognitivi e sociali è di fatto pericolosa in tal senso. Ne deriva che una suggestione del fattore sociale può diventare anche accettata sul piano cognitivo e quindi “inserita” nella memoria stessa. Non a caso, elementi della memoria semantica possono “passare” nella memoria episodica, sino a casi particolari ma possibili di traslazioni inconsce.
Ritornando al punto di partenza, occorre valutare bene le competenze di base di un minore testimone e adottare, in modo protetto, le tecniche e le procedure scientifiche che più mostrano validità e attendibilità. “La suggestionabilità è il peccato della memoria più facile da evitare: basta sapere cosa non fare”. Così si esprimeva Schacter.
Un setting di un ascolto del minore, ascolto protetto, dovrebbe rispettare alcuni canoni. Sarebbe opportuna una camera con specchio unidirezionale o un circuito televisivo e di videoregistrazione. Un minore andrebbe poi ascoltato con una certa flessibilità, procedendo ad un’accoglienza intelligente ed empatica, favorendo la protezione del mondo interno del minore a seconda della sua età de delle esigenze.
Alla luce delle moderne neuroscienze e della validità di alcuni strumenti utili ad “indagare” sulle varie comunicazioni, confessioni e testimonianze (es. Intervista Cognitiva; Protocollo NICHD; …)9 , non si può non fare riferimento oggi al sistema FACS, Facial Action Coding System.
Secondo la teoria Darwininana “la capacità dell’uomo e dell’animale di esprimere alcune emozioni è geneticamente predisposta. Studi condotti nella maggior parte delle popolazioni mondiali hanno dimostrato che l’uomo esprime sentimenti come la paura, la rabbia, la gioia, il disgusto, il disprezzo, la tristezza e la sorpresa nello stesso modo in tutto il globo”.
Da molti anni il ricercatore Paul Ekman studia sia la codifica (cioè la trascrizione di ogni unità motoria di azione muscolare coinvolta nell’espressione dell’emozione) che la decodifica (ossia l’interpretazione delle unità di azioni coinvolte) delle emozioni sul volto umano10.
Le espressioni possono essere manifestate in modo volontario o involontario. Molti autori si sono concentrati proprio sullo studio della via volontaria ed hanno spiegato come questa si associ sostanzialmente al “mentire”. Un’espressione spontanea, infatti, può essere soltanto involontaria e coinvolgere simmetricamente muscoli ben precisi, con una durata che va da poche frazioni di secondo a qualche secondo.
L’analisi FACS parte dalla scomposizione dell’espressione nelle AU (action unit) che hanno prodotto il movimento, attraverso una microanalisi di filmati.
Grazie al FACS si possono identificare le “microespressioni”, ossia espressioni ultra rapide, della durata di meno di 1/5 di secondo, utilissime poichè rivelatrici di ciò che la persona cerca, in un contesto specifico, di nascondere all’interlocutore.
Non è un caso che lo studio affascinante delle microespressioni di Ekman, abbia interessato anche gli istituti di sicurezza nazionale, come FBI e CIA.
Nello specifico si ribadisce che il viso può essere considerato un sistema duplice, un territorio intermedio, dove volontario e involontario si incontrano e una persona può volontariamente esprimere un sentimento falso ma non può nasconderne uno autentico.
Identificare le microespressioni aprirebbe strade molto importanti per la comprensione della psiche umana pur se al contempo, incontrerebbe alcune polemiche probabili legate al concetto di libertà di autodeterminazione dell’individuo, così come sancito dalla legislazione italiana.
Gli studi di Ekman furono ripresi dalla dottoressa Harriet Oster che li applicò ai neonati e ai bambini: Baby FACS. In tal senso, esistono solo alcune piccole differenze nelle codifiche e decodifiche e alcune difficoltà di fondo legate alla percentuale di massa grassa e/o alla assenza di rughe, oltre a difficoltà di osservazione di alcuni movimenti sopraccigliari.
In ogni caso, il Baby FACS risulterebbe strumento strategico da affiancare ad altri metodi e metodologie nelle differenti situazioni di ascolto che vedono come nucleo centrale il minore. Appare alquanto ovvio, oltremodo, ricordare che il concetto di menzogna o banalmente bugia, segue tappe “evolutive” particolari nel minore.
Se da un lato il sistema FACS non va assolutamente considerato come strumento rilevatore esclusivo della menzogna, esso comunque mira a fornire un “indizio” sulla attendibilità o non attendibilità delle dichiarazioni11.
Riferirsi agli elementi paralinguistici e non verbali in generale sarebbe alquanto strategico in sede di valutazione del risultato probatorio. Il giudice, quindi, pur rifacendosi al proprio acume soggettivo, potrebbe di fatto anche affidarsi ai risultati o indici derivanti dalle applicazioni scientifiche, lasciando, al contempo, impregiudicata la libertà morale dell’individuo12.
In questa ricerca affannosa verso la Verità e la Giustizia, al di là di metodi e procedure scientifiche, di buon senso e di maniere garbate, di sensibilità o fiuto investigativo, non dovremmo mai scordare di proteggere il minore da ulteriore disagio, stress, trauma, preservando al massimo il suo equilibrio, se pur precario. Questo dovrebbe essere considerato un obbligo morale e scientifico di ogni professionista coinvolto.
Tanti disagi infantili sono piuttosto sintomi di uno stato psichico genitoriale o di altri adulti per lui “significativi” che di fatto, avrebbero dovuto proteggerlo, progressivamente, fornendo una base sicura e difendendo la sua saggia ingenuità. Ma questo, è un altro discorso.
- Jung, C.G. (1979). Psicologia e Educazione. Boringhieri ed.
- Biscione M.C., Calabrese C., Scali, M. (2003). La tutela del minore: le tecniche di ascolto. Carocci ed.
- Cavedon, A., Calzolari, M.G. (2001). Come si esamina un testimone. Giuffrè ed.
- Dettore D., Fuligni, C. (2008). L’abuso sessuale sui minori. McGraw-Hill ed.
- Gulotta G. (2005). Tecniche di ascolto e intervista strutturata. La psicologia della testimonianza. Scuola di Polizia GAI, Brescia.
- SINPIA (2007). Linee guida in tema di abuso sui minori. Erickson ed.
- Caso, L., Vrij A. (2009). L’interrogatorio giudiziario e l’intervista investigativa. Il Mulino ed.
- De Leo, G. Patrizi, P. (2002). Psicologia giuridica. Il Mulino ed.
- Turco, M. (2014). Tecniche di interrogatorio e Rilevazione della menzogna. Criminal Profiling Training Course. Forensics Group, Zivac Group. Bucarest –RO.
- P. Ekman, W.V. Friesen (2007). Giù la maschera: come riconoscere le emozioni dall’espressione del viso. Giunti ed.
- Jelovcich M.(2014). Il Facial Action Coding System: pseudoscienza o metodo affidabile per accertare l’attendibilità del contributo dichiarativo? Diritto Penale Contemporaneo, 2014.
- De Cataldo N.L. (2007). La prova scientifica nel processo penale. Cedam ed.
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