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Decine di miei articoli utili per migliorare il tuo stile di vita.

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Procrastination Test – Sei un procrastinatore? – Mirco Turco

Dopo circa 10 anni di studi e ricerche specialistiche (Turco, 2004, 2006, 2007, 2010, 2012), di risoluzioni, di cattive abitudini perse, di mondi svelati ed illuminanti risultati, potremmo definire, finalmente, un repertorio comportamentale del procrastinatore, ovvero di colui che, per motivi razionali o inconsci, tende sempre o quasi sempre a rimandare.

Procrastinare è soprattutto un’abitudine “difettosa”, a volte, uno stile di vita, un modo per raggirarsi e/o raggirare ma anche un mistero, un’irrazionale modalità di complicarsi l’esistenza e quella degli altri.

Se da un lato esistono degli interventi di tipo clinico e terapeutico per affrontare la procrastinazione quando cela conflitti profondi, nella stragrande maggioranza dei casi, risultano pragmatici interventi e guide per ristrutturare le convinzioni limitanti e per “imparare” a decidere (Turco, 2012).

Il procrastinatore “filosofeggia” sulla constatazione che anche il non decidere è una decisione ma è una decisione improduttiva e distruttiva. Esistono casi di studenti perenni, di gente che sosta negli spazi universitari, negli atenei, nei luoghi alimentatori di speranze. Ma per affrontare la procrastinazione la speranza non serve, occorre fare banalmente qualcosa di diverso. Perché?

Perchè se si fanno sempre le stesse cose, si finisce per ottenere sempre gli stessi risultati! In realtà, il procrastinatore, come spesso sostenuto, ha un cattivo rapporto con il tempo (Turco, 2006). Il punto di partenza diventa proprio questo. Occorre comprendere che il futuro è illusione. Il futuro, in termini di tempo, non esiste, perché quando arriverà costituirà il presente. Il passato? E’ passato!

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Vivere il presente è la prima strategia da seguire. Basta cominciare. Di seguito, vengono indicati gli atteggiamenti e i comportamenti “tipici” di un procrastinatore. La lista serve per aumentare la consapevolezza e per favorire l’accettazione.
– Rimando una decisione, un comportamento o un compito.
– Avverto che il rimandare una decisione o un compito non è produttivo.
– Ho un cattivo rapporto con il tempo.
– Ritengo di essere perfezionista.
– Penso di essere un perfezionista per timore di fallire.
– La mia autostima è un pò labile o bassa.
– Penso di essere un tipo ansioso.
– Mi rendo conto che altri significativi (genitori, parenti, …) intorno a me, hanno la mia stessa cattiva abitudine.
– Ritengo di razionalizzare eccessivamente le cose.
– I miei obiettivi sono a lungo termine.
– Mi ritengo logorroico o comunque mi perdo, in alcune occasioni, in discussioni ricche di particolari inutili o poco rilevanti.
– E’ molto importante il giudizio altrui.
– Mi ritengo permaloso.
– Attribuisco i risultati a fattori esterni, poco controllabili.
– Mi rendo conto che l’analisi dei rischi che faccio prima di prendere una decisione o prima di fare qualcosa è troppo macchinosa.
– Mi capita di fare una valutazione degli esiti tendenzialmente catastrofica o molto negativa.
– Gli obiettivi che mi fisso sono irrealistici.
– Assumo un pensiero “tutto o nulla” o le cose per me sono “bianche o nere”.
– Distraibilità e scarsa concentrazione possono riguardarmi.
– Mostro difficoltà nella scaletta delle priorità.
– L’appoggio e il sostegno altrui diventano essenziali per la mia vita.
– Ritengo di essere poco autonomo.
– Sono assalito da un’eccessiva auto-critica.
– Sperimento un senso di vergogna.
– Prima di decidere o di fare qualcosa, cerco molte alternative.
– …

 
La lista serve anche come spunto di riflessione, come base per affrontare e risolvere le mille peculiarità del procrastinatore.

Bibliografia essenziale.
Turco M. (2004). Procrastinazione Universitaria e Disorientamento Personale. Clinamen, Firenze. Turco M. (2006). Affrontare la Procrastinazione. Opsonline, Roma.
Turco M. (2006). Procrastinazione, Gestione del Tempo e Perfezionismo. Opsonline, Roma.
Turco M. (2006). La procrastinazione: una problematica complessa. Opsonline, Roma.
Turco M. (2007). Misurare la Procrastinazione. Opsonline, Roma.
Turco M. (2010). Procrastinazione: un fenomeno ancora sconosciuto. Rivista Ordine Psicologi regione Puglia, dicembre 2010.
Turco M. (2010). Procrastinazione: le prime ricerche in Italia. Opsonline, Roma.
Turco M. (2012). Il domani è mai: 29 modi per smettere di rimandare. Maremmi Ed., Firenze. www.mircoturco.it

Team Building presso Liberotel Apulia - La Unique Antistress Academy ha preso il volo

Team Building presso Liberotel Apulia – La Unique Antistress Academy ha preso il volo

Un incontro che lascerà qualcosa di importante dentro ognuno di noi, persone, volti, luoghi e tanta voglia di fare, bene.

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Iberotel Apulia – Moderna offerta All Inclusive nel parco naturale di Ugento – Resort – Spa – Eco Golf | Via Vicinale Fontanelle I-73095 – Marina di Ugento (Lecce) – Puglia – Italia

 

Dicono di noi Unique Antistress Quality

Unique Antistress Quality – Parlano di noi.

Ecco solo alcuni articoli che parlano del nostro certificato Unique Antistress Quality:

 

 

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Qualità in Puglia, Ugento, certifica se l’azienda è antistress L’azienda è antistress? Ti certifica l’oasi di Ugento Un nuovissimo marchio di Qualità in Puglia Dal nostro inviato speciale Franco Vergnano == Iberotel Apulia ha fatto il lancio dello Unique Antistress Quality, marchio di cui potranno fregiarsi realtà illuminate che mettono il capitale umano al centro dei loro progetti Stress.

 

Iberotel Apulia lancia Unique Antistress Quality – Donna Charme

L’azienda è antistress? Ti certifica l’oasi di Ugento Un nuovissimo marchio di Qualità in Puglia Dal nostro inviato speciale Franco Vergnano == Iberotel Apulia ha fatto il lancio dello Unique Antistress Quality, marchio di cui potranno fregiarsi realtà irradiate che mettono il capitale umano al centro dei loro progetti Stress.

 

Combattere lo stress: ecco come | Giornale Sentire

(Ugento – www.giornalesentire.it) -Per favorire l’incontro con i maestri del relax, Iberotel Apulia tra il 10 e il 30 settembre 2016 offre un trattamento speciale: tutti i suoi ospiti potranno usufruire di trattamenti benessere gratuiti e all inclusive. Simon Elliott cita Confucio: “Dimmelo e lo dimenticherò. Mostramelo e potrò ricordarlo, coinvolgimi e capirò”.

http://www.uominiedonnecomunicazione.com/17/11698/Iberotel-Apulia-ospiter%C3%A0-un-workshop-dedicato-alla-presentazione-del-New-Antistress-Brand.html

IBEROTEL APULIA CAPITALE MONDIALE ANTISTRESS

Iberotel APULIA CAPITALE MONDIALE DELL’ANTISTRESS In Puglia all’Iberotel Apulia ad Ugento in provincia di Lecce, diventa capitale mondiale

.. e ancora…

 

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Relax gratis e natura all’Iberotel Apulia di Marina di Ugento

C’è un indirizzo da prendere quale riferimento, se si è a caccia di luoghi di grande bellezza e di momenti per rigenerarsi.E’ l’Iberotel Apulia Antistress Resort, struttura situata a Marina di Ugento, in provincia di Lecce.Qui – nel cuore del Parco Regionale litorale di Ugento, la vacanza diventa pratica di benessere, grazie ad un mix …

 

 

http://www.mondointasca.org/2016/06/01/academy-antistress-benessere-lavoro/

http://www.uominiedonnecomunicazione.com/un-viaggio-dal-tempo-nel-paradiso-dellantistress/

 

 

 

 

 

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Insegnare: tra stress, burnout e solitudine.

In Giappone gli unici cittadini che non sono obbligati ad inchinarsi davanti all’imperatore sono gli insegnanti. Il motivo è che i giapponesi sostengono che senza insegnanti non ci possono essere imperatori“.

L’insegnante: uno dei lavori più nobili e difficili. Chi sceglie di “insegnare”, infatti, svolge un ruolo e ricopre mansioni che non si esprimono semplicemente con un trasferire informazioni o nozioni. Insegnare significa “tirar fuori”, educare, agevolare, motivare, comprendere. Un mestiere non semplice, anche perché il contesto scolastico-educativo si inserisce in un quadro più ampio e articolato: organizzazione scuola, società, famiglie. Affermare oggi che insegnare è stressante suona retorico. Eppure, in questo settore, si fa poco o forse nulla!

L’insegnamento appartiene alle “helping-professions” e il rischio potenziale di stress, conflittualità emotive e burnout è elevatissimo. L’insegnante è un mediatore di cultura, un valutatore, un esperto di programmazione didattica, un genitore alternativo e sostitutivo e di fatto, suo malgrado, si trova sovente a fare lo psicologo. Vivere tale pluralità del ruolo è intrinsecamente stressante e il coinvolgimento non è solo cognitivo, ma anche emotivo e motivazionale. Paradossalmente, è ovvio che, prima o poi, l’insegnante “bruci”!

Se da un lato lo stress va considerato una prima risposta di adattamento dell’organismo innanzi ad una minaccia, superare la fatidica “soglia” apre altri scenari …

sindrome del burnout

La “sindrome del burnout” è stata coniata nei primi anni settanta da Freudenberger, uno psicoanalista che aveva notato come molti colleghi che lavoravano in un ambiente prima gratificante, progressivamente diventavano cinici, freddi con i loro pazienti e depressi. Continuando a studiare tale fenomenologia, presto scoprì che tali caratteristiche potevano essere riscontrate anche in altri ambienti lavorativi.

Si accorse, inoltre, che molte persone soffrivano anche di alterazioni dell’umore, disturbi del sonno e difficoltà di concentrazione. Mal di schiena e altri disturbi a livello gastrointestinale si aggiungevano a tale sintomatologia.

Il burnout divenne allora sindrome da esaurimento psicofisico causato dalla vita professionale. La sindrome ha una sorta di escalation e se vogliamo possono essere identificati ben 12 step che “scottano” e che di fatto, riguardano la vita di molte professionalità e in particolare degli insegnanti.

  1. Bisogno compulsivo di mettersi alla prova: inizia spesso con un eccesso di ambizione e un desiderio di affermarsi con colleghi e superiori ma anche con se stessi.

  2. Lavoro sempre più duro: si assumono impegni sempre più incombenti e la persona si percepisce come insostituibile.

  3. Disinteresse verso i propri bisogni: le normali esigenze di socializzazione o quelle più naturali e materiali (dormire, mangiare, stare in famiglia) passano in secondo piano.

  4. Spostamento del conflitto: la vittima intuisce che c’è qualcosa che non va ma non riesce ad identificare l’origine reale dei suoi problemi.

  5. Revisione critica dei valori: l’individuo, progressivamente, effettua una revisione di ciò che prima era importante per lui (amici, svago). Il lavoro diventa l’unica cosa rilevante.

  6. Negazione dei problemi emergenti: intolleranza, cinismo e aggressività emergono. I colleghi vengono ritenuti poco intelligenti e pigri. Le difficoltà avvertite vengono attribuite alle scadenze lavorative e alla mole di attività e non al cambiamento personale.

  7. Isolamento sociale: i contatti e le relazioni sociali si riducono. Il soggetto comincia a perdere speranze e si rifugia, sovente, nel consumo di alcool e droghe.

  8. Cambiamenti comportamentali: la vittima ora diventa paurosa, timida, apatica. Irriconoscibile davanti a familiari e amici. La propria stima svanisce.

  9. Depersonalizzazione: il soggetto perde il contatto con se stesso. Le cose e le persone cominciano a non avere valore.

  10. Vuoto interiore: il vuoto interiore prende sopravvento e la persona cerca, in tutti i modi, di sentirsi attivo in modo mal-adattativo (conforto nel cibo, uso droghe e alcool, …).

  11. Depressione: le persone diventano indifferenti, prive di energia e pervase da un senso di disperazione. Possono manifestarsi i sintomi della depressione. Nulla ormai ha più significato come un tempo.

  12. Sindrome del burnout: la persona crolla in senso fisico e mentale.

 

sindrome da esaurimento psicofisico Mirco Turco

Una ricerca importante in tema di burnout (studio Getsemani) condotto intorno agli anni 2000 ha confrontato quattro macro-categorie di lavoratori dell’amministrazione pubblica: insegnanti, impiegati, personale sanitario, operatori.

I risultati illustrarono che gli insegnanti sono soggetti a una frequenza di patologie psichiatriche da collegare al burnout in misura doppia rispetto agli impiegati, due volte e mezzo rispetto al personale sanitario e tre volte rispetto agli operatori. Il burnout da insegnamento è, di fatto, una problematica riscontrata anche in altri Paesi e non è una “prerogativa” solo italiana.

Cosa fare allora?

Anzitutto, sarebbe importante valutare e controllare bene la diffusione della problematica su più fronti con professionisti del settore. Interventi in ambito scolastico rivolti esclusivamente agli insegnanti sono in realtà rarissimi o addirittura assenti. In un’ottica di prevenzione e benessere negli ambienti lavorativi, si potrebbero adottare anche semplici misure:

  • Riequilibrare le risorse fisiche: mangiare cibi sani, rispettare le pause, praticare esercizio fisico, dormire a sufficienza.

  • Praticare il rilassamento, soprattutto per chi è “intossicato” dal lavoro. Effettuare attività di svago piacevoli, preferibilmente in contatto con la natura.

  • Equilibrio tra corpo e mente: tappa obbligata per stare bene, al pari di raggiungere un qualsiasi successo.

Secondo recenti indagini, circa l’80% degli insegnanti sarebbe stressato. In Inghilterra ogni docente ha a disposizione un medico di base e un professionista della salute psicologica a cui rivolgersi per problematiche professionali e personali. In Francia, il danno derivante da stress correlato alla professione è largamente riconosciuto. In Germania esistono le “stanze del conflitto”, ove i lavoratori si confrontano e si scontrano per rendere palesi i problemi, le difficoltà, le incomprensioni. E in Italia?

Le normative prevedono che il datore di lavoro introduca periodicamente misurazioni dello stress nell’ambiente lavorativo, proprio al fine di individuare fonti e livelli di stress psicologico.

È mio parere che le valutazioni vengano fatte superficialmente e “strategicamente”: nessun datore di lavoro vuole far sapere che l’ambiente lavorativo è stressante! Inoltre, finché gli obblighi vengono raggirati con strumenti, colloqui e questionari né validi né attendibili e utilizzati da personale non formato o tramite procedure on-line, ogni lamentela sul lavoro, sulle organizzazioni, sui lavoratori e sugli utenti, che siano studenti, clienti o semplici cittadini, appare vana.

Controllo dello Stress MIrco Turco

E’ possibile prevenire lo stress e il burn-out negli insegnanti?

Occorrerebbe utilizzare alcuni accorgimenti e strategie operative e pragmatiche: “un grammo di prevenzione vale quanto mezzo chilo di cura” (Maslach). Gli interventi potrebbero essere condotti a più livelli: da quello individuale, a quello organizzativo sino a quello istituzionale.

Adottare cambiamenti del proprio stile di vita è la prima tappa, anche al fine di attuare una vera e propria “decompressione” (staccare la spina). La formazione su determinate tematiche dovrebbe essere obbligatoria (non solo in senso teorico). Oltre a conoscere i rischi, cosa si può fare in senso pratico? Gli attori in campo dovrebbero perciò essere coinvolti in modo attivo e non solo “sulla carta”.

Forse sottovalutiamo ancora lo stress in generale e sopravvalutiamo le nostre potenzialità. Lo stress, talune volte, è solo questione di tempo!

Un’organizzazione che si occupa e si preoccupa del benessere del proprio lavoratore è un’organizzazione intelligente, che investe strategicamente nelle politiche antistress. Non è un caso che una persona stressata renda solo al 20%. Cosa significa questo sul piano educativo e scolastico? E sul fronte sociale in generale?

Gli insegnanti non si limitano solo a insegnare! Sono spesso degli esempi, delle guide. Hanno una responsabilità che non è solo professionale, ma squisitamente personale, sociale, che riguarda il presente ma anche il futuro degli altri, degli studenti, delle loro speranze, convinzioni, illusioni e sogni. Il personale scolastico e in generale quello educativo in tutti gli istituti ed enti, in tutti i livelli, ha l’obbligo di stare e sentirsi bene! Gli esiti della scarsa attenzione a tali questioni sono ben visibili attraverso le cronache odierne …

Oggi, non è più una questione di “riflessione” o di “fare attenzione”. È obbligatorio intervenire strategicamente. Creare un ambiente lavorativo equilibrato e funzionale non deve essere solo una semplice preoccupazione o un mero obbligo legislativo. È un investimento in termini di successo, efficacia, soddisfazione, Qualità. È una questione di nuova Cultura e rappresenta, a mio avviso, la vera mission di ogni scuola, così come di ciascuna organizzazione pubblica e privata.

I vantaggi immediati di UNIQUE ANTISTRESS QUALITY

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UNIQUE ANTISTRESS QUALITY® è un progetto innovativo che poggia le sue fondamenta in studi, ricerche, applicazioni e convinzioni di Antistress Academy, struttura unica al mondo sita nel “tempio del benessere” in Ugento, Lecce.

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UNIQUE ANTISTRESS QUALITY è, di fatto, il 1° sistema di certificazione che si occupa e si “preoccupa” del Fattore Umano e che considera realmente l’uomo come Risorsa.

UNIQUE ANTISTRESS QUALITY è rivolto a tutti, al singolo, al team, all’azienda e a quelle organizzazioni che riconoscono nello stress non solo una problematica psicofisica ma anche in termini di rendimento, performance, soddisfazione … e che sono consapevoli che un lavoratore stressato “rende” solo al 20%!

Le certificazioni di qualità esistenti oggi riguardano, spesso, elementi poco tangibili (un servizio, la struttura, la responsabilità sociale, …) e vengono concepite sempre più frequentemente come scomoda burocrazia o come un obbligo normativo.

UNIQUE ANTISTRESS QUALITY supera tale empasse, poiché ha un impatto diretto sul lavoratore e sull’azienda, nonché sul mercato esterno. Serve, di fatto, anche a pubblicizzare meglio i servizi e l’organizzazione, poiché è legata proprio alla Qualità delle persone e quindi del fattore umano.

UNIQUE ANTISTRESS QUALITY certifica quindi le organizzazioni che investono nelle politiche Antistress e del Benessere. Quale impatto migliore!

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I vantaggi immediati di UNIQUE ANTISTRESS QUALITY:

  • Qualità del Fattore Umano e quindi delle Risorse Umane.

  • Benessere individuale, nel lavoro e nelle organizzazioni.

  • Migliore soddisfazione lavorativa e clima organizzativo.

  • Contenimento e gestione dei livelli di stress.

  • Implementazione delle performances lavorative.

  • Miglioramento in termini di impatto sociale e quindi pubblicità verso l’esterno.

  • Formazione continua di alto livello.

  • Ri-motivazione personale e/o di gruppo.

  • Brand innovativo e ad alto impatto comunicativo.

  • Soddisfazione maggiore della clientela.

  • Fidelizzazione della clientela.

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Il processo di certificazione comporta la frequenza ad attività di tipo esperienziale presso le strutture di Iberotel Apulia, Antistress Resort in Ugento, guidate da esperti dell’Antistress Academy. Fondanti sono le linee guida approvate da un team di esperti nazionali e internazionali che, riportando la loro esperienza sulle tematiche del benessere e la loro professionalità, hanno permesso di stilare un piano dettagliato di tali attività che partiranno in settembre presso la meravigliosa struttura di Ugento.

Le aree principali affrontate durante tali training riguardano soprattutto l’acquisizione di tecniche pragmatiche per gestire e superare lo stress, quindi attività di rilassamento, meditazione, autoipnosi, mindfullness che possono incidere anche e soprattutto su altri aspetti: attenzione, concentrazione, memoria, creatività, problem solving, decision making, gestione del tempo, efficacia, efficienza, performance elevate.

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Si affronteranno anche, sempre in ottica esperienziale, tematiche rilevanti legate alle strategie di comunicazione con l’altro, tecniche di mediazione e gestione dei conflitti, efficacia comunicativa. Ciò verrà affrontato soprattutto in chiave lavoro ed organizzazioni.

Si passerà poi ad attività prettamente pratiche, ovvero a team building, fruendo degli spazi e delle attrezzature della struttura, per implementare l’autoefficacia, l’autostima, lo spirito di squadra, la leadership. Non mancheranno altre attività esperienziali, sempre in un’ottica di self-empowerment.

A conclusione del percorso, intervallato anche da momenti di discussione e restituzione, ci sarà la raccolta dei feedback, ovvero momenti in cui il partecipante, esporrà la sua personale esperienza rigenerativa e il suo arricchimento in termini cognitivi, emotivi e motivazionali.

Tali attività sono previste da un modello di fondo, denominato “Cerchio dell’Eccellenza Antistress”.

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L’approccio è tipo “action training”, ovvero volto all’azione, secondo una prospettiva Mind, poiché lo stress dipende solo dal 10% da ciò che accade e dal 90% da ciò che pensiamo possa accadere. Analogamente, le tecniche privilegiano, al contempo, il corpo, attraverso attività che favoriscono un sano equilibrio e un “pensare con il corpo”: “nessun uomo sano di mente pensa con la testa e i ¾ delle malattie delle persone intelligenti provengono dalla loro intelligenza”.

Lo stress, secondo l’approccio di UNIQUE ANTISTRESS QUALITY® è quindi legato molto al fattore Tempo. Non dipende, di fatto, dal peso che una persona tollera, ma da quanto tempo lo fa … Pensare allo stress, alla frustrazione, alle preoccupazioni per qualche secondo non comporta nulla. Pensare a tali cose per mezza giornata già produce immobilità ed un eccesso di tensione. Pensare per tutto il giorno a tali pesi, non può altro che comportare disperazione.

UNIQUE ANTISTRESS QUALITY® per il benessere e la qualità della vita della persona, dei gruppi, delle aziende.

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Quando il domani diventa mai.

QUANDO IL DOMANI DIVENTA MAI

Tutti noi, almeno una volta nella vita, abbiamo rimandato qualcosa: un’idea, un’operazione, un compito, una decisione. Possiamo rinviare una decisione se non siamo o se non ci sentiamo pronti; possiamo rimandare un compito se, ad esempio, non siamo preparati e possiamo rimandare decisioni e comportamenti, semplicemente, per “cattive abitudini”. Altre volte, procrastinare, ovvero rinviare ad un altro momento, appare anche vantaggioso. In altre occasioni, invece, il rimandare può diventare disfunzionale e assume connotati patologici.

La procrastinazione è indipendente dalle abilità o dall’intelligenza della persona ed è spesso legata ad una errata gestione del tempo. Inoltre, quando assume caratteristiche croniche, è legata al timore del fallimento, alla nevroticità e alla mancanza di coscienziosità. I procrastinatori risultano, sovente, sopraffatti dall’ansia e sono tendenzialmente perfezionisti. Hanno una bassa self-efficacy (autoefficacia) e palesano un’eccessiva autocritica. La procrastinazione può sicuramente diventare patologica, celando conflitti interni profondi. Inoltre, essa può essere anche legata ad altri disturbi mentali e ad alcuni disturbi di personalità.

Al momento, in Italia, esistono pochi studi specifici sull’argomento. Nel 2004 cominciai un primo studio esplorativo sul fenomeno, soprattutto analizzando il fenomeno della procrastinazione universitaria, ovvero il rimandare in maniera “cronica” gli esami. In realtà, il fenomeno, riguarda lo studio, così come il lavoro e altre sfaccettature della vita.

In effetti, la maggior parte della ricerca internazionale si è concentrata sulla procrastinazione accademica. Studi specialistici indicano che il fenomeno è molto diffuso tra gli studenti. Circa il 70% degli studenti hanno procrastinato almeno una volta, e circa il 30% è un procrastinatore cronico (patologico). Gli studenti procrastinano gli esami perché spesso temono il fallimento e desiderano proteggere la loro autostima. Alcuni si lasciano sopraffare da distrazioni, quindi risultano molto distraibili; altri sono sopraffatti dall’ansia da esame. Alcuni studenti mostrano problematiche nell’organizzazione dei tempi e dei materiali e mancano di energia sufficiente per affrontare le sfide universitarie; altri ancora risultano demotivati.

Un ruolo importante è giocato dal perfezionismo. Alcuni studenti risultano mossi da un perfezionismo socialmente prescritto, legato cioè al timore del fallimento e all’ansia sociale. Pur essendo preparati, allora, si autoconvincono del loro fallimento e perdono il controllo della situazione. Ciò genera, a catena, un circuito vizioso che influisce sull’autostima, sull’umore e sulla successiva performance. Di conseguenza il procrastinatore sperimenterà ulteriori insicurezze nei confronti dei rapporti interpersonali e può sentirsi depresso.

Identikit del procrastinatore cronico:

  • Rimanda spesso una decisione, un compito, un comportamento
  • Ha un rapporto alterato con il tempo o meglio con la gestione del tempo e delle priorità
  • È un perfezionista perché ha paura di fallire
  • Ha un’autostima labile
  • È un soggetto ansioso
  • Razionalizza eccessivamente le cose, ovvero, giustifica i suoi fallimenti
  • Si pone obiettivi spesso non realistici e a lungo termine
  • Spesso le conversazioni sono ricche di particolari irrilevanti e inutili. Può sembrare logorroico
  • Teme il giudizio altrui
  • Appare molto permaloso
  • Attribuisce i risultati a fattori esterni (locus of control esterno) o poco controllabili
  • Conduce analisi dei rischi e delle possibilità troppo macchinose
  • Procede a valutazioni negative o catastrofiche degli eventi
  • Ha un pensiero “tutto o nulla”
  • Può avere scarsa concentrazione e facile distraibilità
  • Ha poca autonomia
  • Eccede nell’ autocritica
  • Prova spesso vergogna
  • Ricerca molte alternative prima di una possibile decisione

È ovvio che il procrastinatore cronico non vive una vita facile e anche se all’inizio queste caratteristiche possono sembrare in sintonia con l’io della persona, spesso il problema diventa egodistonico.

La procrastinazione può essere affrontata in svariato modo. Ovviamente, esistono terapie e tecniche indicate a seconda della persona e della gravità del problema. La terapia di gruppo sembra essere efficace, soprattutto per affrontare il problema dell’ansia correlato e le alterazioni sociali derivanti dal procrastinare. Terapie cognitive comportamentali hanno anche la loro efficacia, così come anche approcci psicodinamici. Tra le terapie più eclettiche, efficaci e pragmatiche, da annoverare l’ipnosi, poiché agisce in modo profondo ma anche sul piano comportamentale e sovente, non richiede molto tempo. Inoltre, consente di lavorare bene anche su altri aspetti personologici del procrastinatore (autostima, immagine, motivazione, autoefficacia, perfezionismo, ansia).

Esistono però anche altri approcci o se vogliamo alcune linee guida che io definisco “popolari”, soprattutto se il problema non è profondo o radicato ad altri aspetti della persona e non è quindi cronico:

  • affrontare il problema secondo un metodo a “pezzi”, ovvero scomporre il compito, l’operazione, un esame in più parti e affrontarle in tempi stabiliti e differenti;

  • stabilire delle ricompense a obiettivo raggiunto e fissare apertamente intenzioni e obiettivi;

  • lavorare sulle proprie giustificazioni e sul pensiero realistico, ovvero, evitare troppe giustificazioni;

  • abolire il pensiero tutto o nulla; un compito, un esame, possono essere superati anche accettando votazioni intermedie e non necessariamente il massimo:

  • adottare la “ tecnica dell’elefante”, ovvero, un elefante si può mangiare un boccone la volta!

Questi interventi vengono suggeriti strategicamente anche da diverse ricerche condotte presso università e centri di orientamento stranieri ( Texas, Virginia, Cambrige).

Nel mio libro “Il Domani è mai: 29 modi per smettere di rimandare” suggerisco, in effetti, strategie ben congeniate e adattabili per tutti. L’approccio principale parte sempre da un “motto” o convinzione, se vogliamo: “Do it now” – fallo ora! Il procrastinatore necessita di lavorare molto sulla percezione del tempo, poiché, così come spesso accade, sottostima il momento presente e sovrastima quello futuro. Ma il domani, diventa mai!

Il fenomeno procrastinazione, molto complesso, necessiterebbe di ulteriori approfondimenti scientifici. L’ordine di nascita sembra avere un peso rilevante nella procrastinazione. Inoltre, approfondire le differenze di genere sarebbe molto interessante. Da considerare, poi, che in Italia, oltre ad un mio primo tentativo o ad altri in fase di definizione, non esistono strumenti (test, questionari) per la valutazione della problematica. Ciò potrebbe essere molto rilevante sul piano della ricerca e dei possibili interventi.

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L’ascolto del minore: dal setting protetto all’applicazione delle neuroscienze investigative.

Quando un bambino manifesta dei disagi non si dovrebbe perdere troppo tempo con le indagini del suo inconscio. Bisognerebbe cominciare le indagini altrove …”. Niente influenza maggiormente i bambini degli atteggiamenti manifesti e dei retroscena dei genitori1. Tale assunto, sicuramente condivisibile, trova però ovvie limitazioni quando il minore “incontra” il sistema giudiziario.

Gli incisi introduttivi si “scontrano” anche, al contempo, con l’evidenza che il minore deve necessariamente confrontarsi con altri attori che, volenti o dolenti, si trovano a condividere stessi spazi, stessi tempi e medesimi scenari.

Un protagonista fondamentale ed essenziale spesso è il consulente esperto in psicologia e/o criminologia che, oltre ad un bagaglio tecnico scientifico, può e deve spesso offrire anche e soprattutto una sua disponibilità emotiva e affettiva o quella che Kohut chiamava “empatia scientifica”.

La consulenza tecnica e la perizia in materia di abuso sessuale dovrebbero essere affidate a professionisti formati in modo specialistico e in costante aggiornamento. Nella raccolta delle informazioni e nella successiva valutazione del minore, l’esperto, inoltre, deve considerare due punti imprescindibili:

  1. Utilizzare metodi e metodologie riconosciute dalla Comunità Scientifica.

  2. Rendere esaustivi ed espliciti i modelli teorici di riferimento, allo scopo di favorire una lettura critica dei risultati.

L’esperto è chiamato ad esprimere “giudizi” di natura psicologica, soprattutto considerando la fase evolutiva del minore. Infatti, l’audizione del minore non riguarda l’accertamento dei fatti sotto il versante giudiziario2. Egli, pertanto, dovrà analizzare:

  • Le funzioni psichiche del minore.

  • Percezione, memoria, pensiero.

  • Affetti ed emozioni.

  • Relazioni.

  • Eventuale presenza di psicopatologie.

  • Capacità di distinguere il vero dal falso, la realtà dalla fantasia.

  • Suggestionabilità.

  • Tendenza a fantasticare o confabulare.

Appare evidente, che il famoso buon senso junghiano, non è sufficiente!

Si tratti di abuso o di altre vicissitudini, occorre considerare che possono esistere meccanismi consci e inconsci che spingono lo stesso minore a dichiarare fatti e/o realtà che non sempre sono corrispondenti al reale: menzogne di fantasia, pseudomenzogne, fraintendimenti, falsi ricordi, persuasioni esterne, ecc.

Grande importanza riveste, quindi, la preparazione scientifica dell’esperto, oltre, ovviamente, alle sue capacità di relazionarsi con un minore (cosa non scontata). Ad onor del vero, andrebbe anche ribadito che il ruolo dell’esperto non è terapeutico ma “processuale”.

In prima istanza, chi si occupa di un minore dovrebbe rispettare alcune semplici linee guida, al fine di preservare ulteriore stress e traumatizzazione allo stesso3.

Gli orari, i tempi e i luoghi devono preservare, il più possibile, la serenità del minore e lo stesso deve essere informato sui suoi diritti. Il minore deve liberamente essere sereno nell’esprimere opinioni, esigenza e preoccupazioni, quindi, occorre evitare domande che possano compromettere la stessa spontaneità delle dichiarazioni, nonché la genuinità e sincerità delle risposte.

Sarebbe opportuno non richiedere le stesse cose al minore per evitare possibili “ripensamenti”. L’atteggiamento emotivo neutro dell’esperto sarebbe auspicabile al fine di evitare rinforzi positivi o negativi, anche sul piano non verbale. Quindi, evitare domande suggestive che possano, in svariato modo, inquinare la memoria del minore. A tal fine, si palesa che la memoria non è riproduttiva ma ricostruttiva.

Dopo aver valutato alcuni aspetti cognitivi, emotivi del minore, l’apertura di un’intervista dovrebbe cominciare con domande generiche, al fine di favorire un possibile racconto libero del minore. Iniziare un’intervista ponendo subito domande dirette sui fatti accaduti è sconsigliato4.

E’ ovvio che la pazienza è d’obbligo: il bambino, oltre alla sua mappa del mondo, ha i suoi tempi e i processi cognitivi ed emotivi non sono quelli di un adulto. Soffermarsi anche sui silenzi, sulle pause e su discorsi o frasi che possono apparire anche irrilevanti è essenziale per garantire la buona riuscita dell’ascolto.

Parlare lo stesso linguaggio del minore è fondamentale. Occorre evitare termini complessi e tecnicismi, poiché inducono il minore alla non risposta o a risposte forzate ma non veritiere. Utilizzare, di fatto, frasi brevi e concise5.

In riferimento a situazioni di abuso, ad oggi, va considerato che non esisterebbero evidenti indicatori correlati a sintomi o comportamenti manifestati dalla presunta vittima. Si parla, infatti, di indicatori aspecifici che, in ogni caso, vanno valutati parallelamente alle altre informazioni relative al caso, all’ambiente scolastico, familiare, sociale dello stesso minore6. Esistono, inoltre, atteggiamenti e comportamenti sessualizzati del minore, anche molto piccolo, che ricadono nella “norma”.

L’incarico di valutare il minore, sia in sede di perizia o di incidente probatorio non può essere effettuato da chi già conosce, a vario titolo, il minore. E’ obbligatorio, inoltre, ascoltare chi ha già interrogato il minore prima dell’audizione ufficiale, sempre al fine di preservare l’autenticità, la correttezza delle procedure e quindi l’attendibilità.

La testimonianza di un minore e in genere la testimonianza, non è argomento semplice su un piano scientifico, tanto meno lo può essere sul piano applicativo.

Al di sotto dei 12 anni, infatti, le capacità mnemoniche dei minori sono più deboli di quelle degli adulti. Il bambino piccolo si muove ancora all’interno di un sistema di attaccamento e quindi, è disposto naturalmente a modificare i dati della realtà percettiva pur di garantirsi la vicinanza di una figura accudente. Da considerare che le funzioni meta-cognitive sono poi in evoluzione e progressivamente, si ha anche l’intrusione di altre variabili di confusione, come ad esempio, le informazioni post-evento e contestuali che, di fatto, possono deformare l’attendibilità della testimonianza del minore7.

Il contenuto di un ricordo testimoniale deve essere considerato “come qualcosa che non può mai essere pura riproduzione fotografica di un fatto obiettivo, ma è sempre il prodotto di una molteplicità di coefficienti …”8. È chiara però, al contempo, la responsabilità di chi interroga il minore, poiché il minore stesso può rendere testimonianze attendibili.

Probabilmente, la prima indagine sulla suggestionabilità infantile ha avuto luogo in Francia nel 1784, quando il governo francese formò una commissione per investigare su Franz Anton Mesmer che curava le malattie fisiche degli adulti e dei bambini attraverso la suggestione esercitata e il convincimento.

La suggestionabilità di un minore non si limita solo a tratti personologici o ad assetti cognitivi ed emotivi ma riguarda anche aspetti motivazionali e di contesto. Il minore, soprattutto se piccolo, si limita ad accettare spesso ciò che viene detto dall’adulto, perché lo considera superiore e credibile. L’interrelazione tra fattori cognitivi e sociali è di fatto pericolosa in tal senso. Ne deriva che una suggestione del fattore sociale può diventare anche accettata sul piano cognitivo e quindi “inserita” nella memoria stessa. Non a caso, elementi della memoria semantica possono “passare” nella memoria episodica, sino a casi particolari ma possibili di traslazioni inconsce.

Ritornando al punto di partenza, occorre valutare bene le competenze di base di un minore testimone e adottare, in modo protetto, le tecniche e le procedure scientifiche che più mostrano validità e attendibilità. “La suggestionabilità è il peccato della memoria più facile da evitare: basta sapere cosa non fare”. Così si esprimeva Schacter.

Un setting di un ascolto del minore, ascolto protetto, dovrebbe rispettare alcuni canoni. Sarebbe opportuna una camera con specchio unidirezionale o un circuito televisivo e di videoregistrazione. Un minore andrebbe poi ascoltato con una certa flessibilità, procedendo ad un’accoglienza intelligente ed empatica, favorendo la protezione del mondo interno del minore a seconda della sua età de delle esigenze.

Alla luce delle moderne neuroscienze e della validità di alcuni strumenti utili ad “indagare” sulle varie comunicazioni, confessioni e testimonianze (es. Intervista Cognitiva; Protocollo NICHD; …)9 , non si può non fare riferimento oggi al sistema FACS, Facial Action Coding System.

Secondo la teoria Darwininana “la capacità dell’uomo e dell’animale di esprimere alcune emozioni è geneticamente predisposta. Studi condotti nella maggior parte delle popolazioni mondiali hanno dimostrato che l’uomo esprime sentimenti come la paura, la rabbia, la gioia, il disgusto, il disprezzo, la tristezza e la sorpresa nello stesso modo in tutto il globo”.

Da molti anni il ricercatore Paul Ekman studia sia la codifica (cioè la trascrizione di ogni unità motoria di azione muscolare coinvolta nell’espressione dell’emozione) che la decodifica (ossia l’interpretazione delle unità di azioni coinvolte) delle emozioni sul volto umano10.

Le espressioni possono essere manifestate in modo volontario o involontario. Molti autori si sono concentrati proprio sullo studio della via volontaria ed hanno spiegato come questa si associ sostanzialmente al “mentire”. Un’espressione spontanea, infatti, può essere soltanto involontaria e coinvolgere simmetricamente muscoli ben precisi, con una durata che va da poche frazioni di secondo a qualche secondo.

L’analisi FACS parte dalla scomposizione dell’espressione nelle AU (action unit) che hanno prodotto il movimento, attraverso una microanalisi di filmati.

Grazie al FACS si possono identificare le “microespressioni”, ossia espressioni ultra rapide, della durata di meno di 1/5 di secondo, utilissime poichè rivelatrici di ciò che la persona cerca, in un contesto specifico, di nascondere all’interlocutore.

Non è un caso che lo studio affascinante delle microespressioni di Ekman, abbia interessato anche gli istituti di sicurezza nazionale, come FBI e CIA.

Nello specifico si ribadisce che il viso può essere considerato un sistema duplice, un territorio intermedio, dove volontario e involontario si incontrano e una persona può volontariamente esprimere un sentimento falso ma non può nasconderne uno autentico.

Identificare le microespressioni aprirebbe strade molto importanti per la comprensione della psiche umana pur se al contempo, incontrerebbe alcune polemiche probabili legate al concetto di libertà di autodeterminazione dell’individuo, così come sancito dalla legislazione italiana.

Gli studi di Ekman furono ripresi dalla dottoressa Harriet Oster che li applicò ai neonati e ai bambini: Baby FACS. In tal senso, esistono solo alcune piccole differenze nelle codifiche e decodifiche e alcune difficoltà di fondo legate alla percentuale di massa grassa e/o alla assenza di rughe, oltre a difficoltà di osservazione di alcuni movimenti sopraccigliari.

In ogni caso, il Baby FACS risulterebbe strumento strategico da affiancare ad altri metodi e metodologie nelle differenti situazioni di ascolto che vedono come nucleo centrale il minore. Appare alquanto ovvio, oltremodo, ricordare che il concetto di menzogna o banalmente bugia, segue tappe “evolutive” particolari nel minore.

Se da un lato il sistema FACS non va assolutamente considerato come strumento rilevatore esclusivo della menzogna, esso comunque mira a fornire un “indizio” sulla attendibilità o non attendibilità delle dichiarazioni11.

Riferirsi agli elementi paralinguistici e non verbali in generale sarebbe alquanto strategico in sede di valutazione del risultato probatorio. Il giudice, quindi, pur rifacendosi al proprio acume soggettivo, potrebbe di fatto anche affidarsi ai risultati o indici derivanti dalle applicazioni scientifiche, lasciando, al contempo, impregiudicata la libertà morale dell’individuo12.

In questa ricerca affannosa verso la Verità e la Giustizia, al di là di metodi e procedure scientifiche, di buon senso e di maniere garbate, di sensibilità o fiuto investigativo, non dovremmo mai scordare di proteggere il minore da ulteriore disagio, stress, trauma, preservando al massimo il suo equilibrio, se pur precario. Questo dovrebbe essere considerato un obbligo morale e scientifico di ogni professionista coinvolto.

Tanti disagi infantili sono piuttosto sintomi di uno stato psichico genitoriale o di altri adulti per lui “significativi” che di fatto, avrebbero dovuto proteggerlo, progressivamente, fornendo una base sicura e difendendo la sua saggia ingenuità. Ma questo, è un altro discorso.

  1. Jung, C.G. (1979). Psicologia e Educazione. Boringhieri ed.
  2.  Biscione M.C., Calabrese C., Scali, M. (2003). La tutela del minore: le tecniche di ascolto. Carocci ed.
  3.  Cavedon, A., Calzolari, M.G. (2001). Come si esamina un testimone. Giuffrè ed.
  4.  Dettore D., Fuligni, C. (2008). L’abuso sessuale sui minori. McGraw-Hill ed.
  5.  Gulotta G. (2005). Tecniche di ascolto e intervista strutturata. La psicologia della testimonianza. Scuola di Polizia GAI, Brescia.
  6.  SINPIA (2007). Linee guida in tema di abuso sui minori. Erickson ed.
  7.  Caso, L., Vrij A. (2009). L’interrogatorio giudiziario e l’intervista investigativa. Il Mulino ed.
  8.  De Leo, G. Patrizi, P. (2002). Psicologia giuridica. Il Mulino ed.
  9. Turco, M. (2014). Tecniche di interrogatorio e Rilevazione della menzogna. Criminal Profiling Training Course. Forensics Group, Zivac Group. Bucarest –RO.
  10.  P. Ekman, W.V. Friesen (2007). Giù la maschera: come riconoscere le emozioni dall’espressione del viso. Giunti ed.
  11.  Jelovcich M.(2014). Il Facial Action Coding System: pseudoscienza o metodo affidabile per accertare l’attendibilità del contributo dichiarativo? Diritto Penale Contemporaneo, 2014.
  12.  De Cataldo N.L. (2007). La prova scientifica nel processo penale. Cedam ed.

Dimmi come cammini e ti dirò chi sei

Un anno fa uscì un mio articolo su “Starbene Salute” su un argomento alquanto bizzarro ma interessante. Ve lo ripropongo in modo integrale …

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Il famoso Cesare Lombroso sarebbe alquanto onorato dai tentativi odierni di “rimodernare” e arricchire sapientemente  teorie psicologiche e comportamentali inerenti alcuni aspetti macroscopici e microscopici della comunicazione non verbale. Certo, il suo nobile tentativo era quello di identificare uno psicopatico, da un omicida, da uno stupratore. Solo con il tempo si è compreso che le cose sono un po’ più complesse!

Di fatto, è pur vero che il nostro corpo parla ed è proprio il nostro corpo a dire la verità o a confidare alcuni tratti del nostro temperamento e della nostra personalità. Oggi, come ieri, si dice, infatti, che quello che diciamo con le parole deve essere in armonia con quello che diciamo con il nostro corpo e che ciò che conta sono appunto i gesti.

Anche il mondo pubblicitario ne conosce bene il presupposto fondamentale: non è tanto importante quello che si dice macome si dice.

Come ci muoviamo nello spazio e come gestiamo le varie distanze? Esistono indicatori importanti  legati a fattori culturali ma anche fisiologici e psicologici. È la prossemica,  studio delle distanze interpersonali, che ci dice se siamo a nostro agio ad una certa distanza o se preferiamo “accorciarla” quando parliamo con una data persona. Variazioni delle distanze interpersonali e quindi, movimenti vari che facciamo nello spazio con i nostri arti e con l’intero corpo, variano a seconda della nostra personalità e a seconda di quello che stiamo provando (emozioni positive o negative ad es.) in quel momento.

C’è chi probabilmente ha un proprio “stile” nel muoversi nello spazio, così come nel camminare. Avete mai visto una persona depressa che cammina velocemente, o un iperattivo che mestamente passeggia in una strada!? Osserviamo passi esitanti, in altre occasioni, un passo sicuro e determinato. In effetti, si potrebbe proprio dire  “Dimmi come cammini e ti dirò chi sei”!

dimmi come cammini e ti dirò chi sei mirco turco

Anche gli animali comunicano le loro intenzioni attraverso la gestione dello spazio e i movimenti, trasferendo aggressività, sottomissione, socialità e in fondo, noi umani non siamo poi tanto diversi.

L’impatto non verbale e nello specifico anche la camminata sono fondamentali tra persone che non si conoscono. Un modo di camminare deciso potrebbe indicare dominanza e in un certo senso anche aggressività. Spesso si tratta di persone che rivestono posizioni gerarchiche rilevanti su un piano sociale, lavorativo.

Altre volte, il tipo di camminata trasferisce informazioni sullo stato di salute della stessa persona che incrociamo, sia conosciuta che sconosciuta. La percezione che una persona ha di se stessa, la propria autostima, la propria efficacia si possono anche riflettere sul modo di camminare, così come sul modo di relazionarsi in generale con gli altri.

In un ‘ottica allargata, si potrebbe evidenziare che non è un caso che alcuni predatori scelgano la propria vittima in base all’andatura. Analizzare il modo di camminare è quindi rilevante non solo sul piano sociale e interpersonale ma potrebbe avere anche scopi rilevanti in termini di Sicurezza.

Da sempre il portamento ha avuto un ruolo fondamentale anche nella determinazione di altre caratteristiche: socievolezza, dominanza, status sociale, emozioni, disponibilità.

Spesso riconosciamo l’andatura di una persona anche dal semplice “suono” che fa mentre cammina in un determinato ambiente. Ciò probabilmente è indice di quanta importanza abbia il modo di spostarsi nello spazio.

Esistono  differenze tra maschi e femmine. Alcuni studi effettuati presso università straniere, hanno registrato varie tipologie di andature attraverso l’applicazione di alcuni sensori su ginocchia, caviglie, spalle, polsi, mostrando differenze sostanziali, anche in termini di età.

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E in termini di  “efficacia comunicativa”? Il passo esitante, incerto, l’andatura indecisa, indicherebbero tendenza alla prudenza, alla vulnerabilità, alla probabile passività. Un passo affrettato, ampio, uniforme con il resto del corpo, un contatto deciso con il suolo è interpretabile come attività, decisione e intraprendenza.

Ampiezza dei passi, movimenti degli arti superiori, inclinazione del capo sono indicatori importanti se consideriamo l’atto del camminare. Una persona decisa rispetto ad una persona che si “trascina” avrà passi ovviamente differenti.

Pur se il nostro modo di camminare è costante, acquisito attraverso tappe evolutive precise, è altrettanto ovvio che può subire delle modificazioni a seconda del nostro stato emotivo. In questo, andrebbe fatta una lettura di tutto il linguaggio del corpo e anche delle espressioni emotive del viso, da cui, tra l’altro, trapelano le emozioni principali universali. Per fare un’accurata “diagnosi” personologica abbiamo  necessità di analizzare diversi indici e pertanto, non sempre basta la prima impressione!

È importante rilevare che presso la Queens University canadese di Kingston, in Ontario, il Prof. Troje sta mettendo appunto uno strumento di biological motion, al fine di identificare bene i movimenti del corpo e per inferire diverse osservazioni: dalla condizione psicologica del soggetto, all’analisi della postura di un politico, sino alla disponibilità sessuale di un eventuale partner.

Un’analisi avanzata della comunicazione non verbale, di fatto, sarebbe possibile: distinguere il passo di una donna rispetto a quello di un uomo; stabilire se una persona è triste o allegra; evidenziare la sincerità o la menzogna non è dunque fantascienza.

A volte, camminare è indicativo di caratteristiche personologiche più specifiche. Ci sono persone che inciampano ovunque e che sembrano realmente avere la testa tra le nuvole. Sembrano essere persone fantasiose, estrose e facilmente distraibili. Chi si muove con un passo rigido, paleserà tale rigidità anche nel resto del corpo e mostrerà probabilmente anche un certo carattere improntato sulla volontà o l’ostinazione.

Il modo di muoversi nello spazio è espressione quindi anche di Personalità. Camminare e muoversi con tutto il corpo potrebbe però anche darci altri tipi di segnale. Muovere maggiormente i fianchi, ancheggiare, muovere il bacino, inclinare il capo, sono indici di una camminata sicuramente femminile. Se aggiungiamo ad essi un repertorio non verbale che riguarda il viso (ad esempio sfregarsi le labbra o accarezzarsi i capelli) e gli arti, potemmo anche decifrare il tutto come disponibilità sessuale.

Se è vero che il nostro modo di camminare è influenzato da pensieri, caratteristiche personologiche ed emozioni, potrebbe essere vero anche il contrario. In effetti, cambiando ad esempio postura e  assumendone una eretta, con testa alta e sguardo fiero, difficilmente potremmo sperimentare un senso di tristezza o depressione e forse, di conseguenza, anche il nostro passo subirà una variazione. Se il pensiero influisce sul nostro corpo, è vero anche il contrario. Provare per credere!

Non stacchiamo però troppo i piedi da terra! Banalmente, il nostro passo può essere influenzato anche da come ci sentiamo fisicamente (una persona ubriaca cammina differentemente da una persona lucida) o da altri fattori, quali ad esempio, lo sport che pratichiamo. Il passo di una danzatrice classica, oltre che nello stile, sarà sicuramente differente da quello di un lottatore di judo!

di Mirco Turco

Investigation & Security: Riflessioni sul Sistema Facial Action Coding System

L’Analisi della Comunicazione Non Verbale è un’attività molto particolare e raffinata che può, se applicata scientificamente, risultare utile supporto in ambito Criminologico, Investigativo e della Sicurezza.

Da un punto di vista tecnologico si parla sovente di strumenti come il VSA che analizza “banalmente” lo stress vocale, la termografia che si concentra sul calore di alcune zone del viso, sino al poligrafo e la risonanza magnetica, sicuramente strumenti più evoluti ma spesso contestati per svariate ragioni, non solo scientifiche.

Identificare le intenzioni di un individuo semplicemente leggendo i messaggi del corpo è attività complessa e non banale. Se poi vogliamo anche capire se la persona mente o dice la verità, le questioni si complicano.

Comprendere se una persona mente o dice la verità non è cosa agevole e tale difficoltà, probabilmente, ha anche un senso evolutivo. Di fatto, secondo Mark Frank, del dipartimento di scienze comportamentali dell’Università di Buffalo,non siamo stati preparati dalla nostra storia evolutiva ad essere sensibili agli indizi comportamentali che potrebbero rivelare una bugia.”

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Come esseri umani abbiamo un naturale repertorio che però può essere analizzato con una certa attenzione.

Se la probabilità di distinguere la verità da una menzogna è pari a circa il 50%, la conoscenza di tecniche e metodi di analisi verbale e non verbale, aumenta di molto la nostra probabilità di “cogliere nel segno”.

Secondo Ekman osservatori addestrati a cogliere gli indizi presenti sul volto,  sono in grado di individuare l’inganno con un 70% di accuratezza, che può arrivare fino al 100% se vengono tenuti in considerazione anche la gestualità e i movimenti del corpo. Tali conoscenze possono avere applicazione pratica ai fini delle investigazioni e quindi della Sicurezza?

Secondo le ricerche disponibili sarebbe possibile capire anche se una persona è pericolosa o meno affidandosi alla sola osservazione. In America, ad esempio,  il sistema Transportation Security Administration (TSA) è costituita da numerosi ufficiali addestrati a cogliere comportamenti sospetti o anomali tra i passeggeri. Questi esperti sono inclusi all’interno di un programma, chiamato Screening Passengers by Observation Technique (SPOT), in cui la metodologia impiegata per l’individuazione delle persone potenzialmente rischiose è l’osservazione.

Anche in Israele esistono persone altamente specializzate che si occupano di Sicurezza “solo” tramite lo strumento dell’osservazione. A tal proposito, occorre annoverare l’esistenza del sistema FACS-Facial Action Coding System, che sicuramente favorisce o può favorire il lavoro in settori molto delicati e peculiari.

Il FACS è un sistema di misura utilizzato per la decodifica delle emozioni, messo a punto da Ekman e Friesen nel 1978 che nasce con l’intento di studiare come le contrazioni dei muscoli facciali cambiano le sembianze del volto. Alcuni gruppi muscolari formano le Unità di Azione (AU) che determinano le espressioni facciali.

E’ interessante notare come le emozioni vengano espresse attraverso la mimica facciale. Ciò assume un ruolo fondamentale nella comunicazione e giustifica l’esistenza di un numero così elevato di muscoli adibiti a tale funzione. Così come spiega lo stesso Ekman, le espressioni possono essere manifestate in modo volontario o involontario e diversi ricercatori si sono concentrati proprio sullo studio della via volontaria ed hanno spiegato come questa si associ sostanzialmente al “mentire”.

 

Grazie al FACS gli autori hanno identificato le cosiddette “microespressioni”, ossia espressioni ultra rapide, della durata di meno di 1/5 di secondo, utilissime perché rivelatrici di ciò che la persona cerca, in un contesto specifico, di nascondere all’interlocutore.

Il nostro viso, pertanto, può mostrare:

  • L’emozione che si prova.
  • Mescolanza di emozioni.
  • Intensità delle emozioni.

Una micro-espressione si manifesta sul viso per circa ¼ di secondo, quindi, anche la durata della stessa e la collocazione durante una conversazione, diventano fattori discriminanti da considerare.

Ekman precisa che si possono leggere alcune espressioni emotive che denotano “pericolo” e che quindi vanno considerate attentamente in ottica Sicurezza. In alcuni esempi di cronaca, è stato possibile vedere le espressioni emotive di un attentatore tra i 5-20 secondi che precedevano l’estrazione di un’arma da fuoco, ad esempio. Ciò perché sarebbe ben identificabile una violenza premeditata da una violenza improvvisa.

Ancora, nella letteratura specifica si legge che la decodifica di alcune espressioni emotive e micro-espressioni è essenziale ai fini delle indagini.

L’investigatore sa per certo che ha piazzato una bomba in una chiesa frequentata da neri, ma non sa in quale, e l’arrestato rifiuta di rispondere alle domande. Ma la sua micro-espressione di gioia quando sente il nome di una chiesa che l’FBI sta per perquisire rivela che quello è un indirizzo sbagliato, mentre una micro-espressione di rabbia al nome di un’altra chiesa suggerisce che è li che ha piazzato l’ordigno. Esempio riportato dallo stesso Ekman. Procedure simili si utilizzano anche in Medio Oriente, per scoprire dove sono nascosti armi o ordigni esplosivi.

Occorre considerare alcuni dati di fatto. Sebbene non esistano segni inequivocabili nel mentitore, il carico cognitivo di chi inventa qualcosa è maggiore. Spesso chiedere al soggetto di raccontare la sua versione dei fatti al contrario potrebbe essere già sufficiente per smascherare qualche inganno.

In contesti criminologici e investigativi, secondo diverse ricerche, come quelle condotte da Vrij , dovremmo poter conoscere e utilizzare diverse tecniche e procedure che considerano:

  • indicatori verbali: Criteria Based Content Analysis –CBCA; Reality Monitoring technique –RM;
  • indicatori non verbali: Non Verbal Communication –NVC; Facial Action Coding System -FACS.

Realizzare un Modello Integrato che tenga conto dell’utilizzo di tecnologie e magari sistemi a reti neurali, delle conoscenze di psicolinguistica, nonché di modelli evoluti di profiling emotivo e sentimental analysis,  sarebbe una tappa strategica auspicabile importante per la Ricerca e la Sicurezza globale.

di Mirco Turco

Bibliografia essenziale.

Ekman P. (2015). I volti della menzogna. Gli indizi dell’inganno nei rapporti interpersonali. Giunti Editore.

Ekman P. Friesen W. (2007). Giù la maschera. Come riconoscere le emozioni dalle espressioni  del viso. Giunti Editore.

Turco M. (2014). Il sistema Facial Action Coding System nella Criminologia, nell’Investigazione e nella Sicurezza. Relazione evento formativo Forensics Group, Lecce.

Certificare il Fattore Umano Mirco Turco

Antistress Experience: Un nuovo Brand per chi investe sul fattore umano

La Risorsa Umana oggi, alla luce dei numerosi cambiamenti lavorativi ed organizzativi, andrebbe “ripensata”. La necessità è sempre e comunque affidarsi alla Persona e alle sue Qualità che non sono solo quelle professionali ma anche e soprattutto “trasversali”, ovvero quelle che fanno la differenza! Tale assunto riguarda tutte le imprese, piccole, medie e grandi e ogni settore di riferimento.

Di fatto, oggi, dovremmo andare al di là dei meri processi di selezione e valutazione della Risorsa Umana, anche in ottemperanza, (potrebbe suonare anche in modo ironico), a normative esistenti riguardo i “Diritti e responsabilità dei partecipanti” (appendice A), UNI ISO 10667, alle procedure di selezione e valutazione:

“… essere trattato con cortesia, rispetto, coerenza ed imparzialità; essere valutato secondo linee guida professionali ed appropriate, anche in relazione a come verranno usati gli esiti della valutazione; ricevere una spiegazione prima della valutazione su obiettivi, tipo di prove, gestione ed utilizzo degli esiti; avere la valutazione somministrata ed i risultati interpretati da persone adeguatamente formate che seguono codici d’etica professionale, o da sistemi predisposti da persone aventi queste caratteristiche”.

Antistress

Ma andiamo ben oltre. Se da un lato  si fa riferimento ad una regolamentazione precisa che attiene proprio i processi di valutazione delle persone e dei gruppi e che al contempo costituisce un chiaro esempio di evoluzione di un sistema di pratiche, prassi, procedure, regole, dall’altro lato, dobbiamo sottolineare la rilevanza del “mettere in sicurezza” anche tale valutazione, seguendo un processo corretto ed equo.

Il progetto “ISO Project Committee Psychological Assessment”, di qualche anno fa, ha proprio discusso ed approvato lebest practice riconosciute internazionalmente, in quanto tali globalmente applicabili, riferite ai processi di: recruitment e selezione, orientamento professionale, sviluppo personale e coaching, promozione e piani di successione, piani di outplacement e pensionamento.

Tale norma internazionale rappresenta, pertanto, una vera innovazione pragmatica per le attività di valutazione durante l’intero ciclo di vita professionale (A. Rolandi), e costituisce anche il substrato che motiva, ancora una volta, l’espressione “Certificazione del Fattore Umano” che significa, in primis,  procedere in modo etico, corretto, valido e attendibile.

Certificare il Fattore Umano equivale ugualmente a far risparmiare l’Azienda in termini di disorientamento professionale, demotivazione, assenteismo, sino a prevenire situazioni più articolate e rischiose che aprono le porte a scenari criminologici (spionaggio, inside attack, …). Certificare il Fattore Umano significa anche “preoccuparsi” della salute del lavoratore e dell’Azienda, al di là delle normali e direi ovvie leggi esistenti. Vuol dire, quindi, prevenire non solo lo stress ma anche altre situazioni peculiari (burnout, mobbing, straining, stalking occupazionale, ect).

Certificare il Fattore Umano Mirco Turco

Tralasciamo, per ora,  retorica, ironia, sarcasmo e simili in materia di “chi fa che cosa” e soprattutto “come” e andiamo, nuovamente, oltre.

Partirà a maggio di quest’anno un Sistema di Certificazione delle Eccellenze nelle attività Antistress del segmento turistico-ricettivo, con la possibilità strategica, di allargarlo agli altri settori e ambiti lavorativi.

Si tratta di una mia idea progettuale che sposa le motivazioni e le strategie organizzative e lavorative dell’Antistress Academy, sita in una realtà salentina e che ha incontrato il supporto e la collaborazione di esperti internazionali.

Obiettivo primario è quello di diffondere un nuovo “brand antistress” attraverso un sistema unificato di valutazione, controllo e monitoraggio. Tale brand  amplifica la risonanza delle strutture sul mercato nazionale e internazionale e, di fatto, promuove una Qualità certificata delle strutture, dei servizi e del personale.

L’idea di un marchio di Qualità nasce dall’esigenza concreta di certificare le eccellenze nel settore turistico-ricettivo e in generale in altri settori dove oltre alle strutture aziendali, organizzative, lavorative e di servizi, viene posto in prima  attenzione il Capitale Umano.

Si tratta, dunque, di promuovere e premiare al contempo (con un marchio di certificazione) quelle strutture e quindi quelle realtà organizzative che investono strategicamente nelle politiche antistress. Si parte  dall’idea di diffondere le buone prassi aziendali in materia di Fattore Umano e Politiche Antistress.

In un mondo sempre più pregno di certificazioni di qualità, il nuovo brand pensato offre all’azienda stessa di investire concretamente nelle politiche antistress. Il brand proposto non si limita, come accennato, solo al settore turistico-ricettivo ma anche a tutte quelle aziende e alle persone che credono e investono nelle politiche antistress e si preoccupano del benessere organizzativo e del lavoratore.  Non è un caso che la certificazione per tali aziende poggia le fondamenta metodologiche anche in materia legislativa (obbligo valutazione stress lavoro-correlato).

Le certificazioni di qualità esistenti, ad oggi, ruotano quasi sempre in seno ai concetti di sicurezza, struttura, idoneità, responsabilità sociale ed altri elementi o fattori poco tangibili per persone non addette ai lavori o per i “semplici” clienti che vogliono ricercare il massimo da una struttura turistico-ricettiva.

dimmi come cammini e ti dirò chi sei mirco turco

Il marchio pensato riduce tale empasse e crea un forte impatto nella clientela. Sapere che la struttura investe ed è certificata per le politiche antistress aumenta la fiducia, la propensione alla scelta, il passaparola, la fidelizzazione.

Un marchio, che oltre ad essere inteso in termini di Prevenzione e Salute, è anche fondamentalmente, uno strumento di marketing diretto se vogliamo. La stessa certificazione ha, al contempo, valore individuale, poiché spendibile in termini di autopresentazione, oltre a rappresentare un accrescimento in termini cognitivi, emotivi e motivazionali.

L’impatto sociale è inoltre enorme, considerando che lo stesso personale è attentamente valutato e formato e si avvale di specialisti del settore sempre al loro fianco. Lo stesso lavoratore, di fatto, percepisce una maggiore giustizia organizzativa, si fida maggiormente delle politiche dirigenziali, sarà più soddisfatto e quindi fornirà una prestazione ottimale. Si innesca, quindi, un circuito virtuoso.

L’organizzazione, che sia turistico-ricettiva o che appartenga ad altri settori,  ne risulta di conseguenza avvantaggiata, non solo come performances ma anche nella pubblicizzazione esterna e sul mercato.

Il nuovo brand  significa  strutture d’eccellenza ma anche avere il personale che oltre ad essere qualificato, è motivato, formato ed è spinto verso elevate prestazioni: Qualità del Fattore Umano.

Il marchio di certificazione antistress partirà, operativamente, in settembre 2016, con attività esperienziali e tipo action training, in cui il partecipante, oltre ad essere immerso in un contesto affascinante e centrato sul benessere, come quello offerto da Iberotel Apulia, Antistress Resort in Ugento, seguirà delle attività strutturate in materia antistress nel corso di una settimana, che lo impegneranno e coinvolgeranno a 360°.

Il progetto illustrato, oltre ad essere innovativo, rappresenta al contempo un’azione pragmatica e concreta centrata sulla Persona e sulle Organizzazioni. Obiettivo fondamentale: salute e benessere.

di Mirco Turco

Bibliografia di riferimento.

  • Annalisa Rolandi. La norma per una valutazione utile: la UNI ISO 10667 per la valutazione delle persone e dei gruppi in contesti lavorativi. Qi, il magazine online di Hogrefe Editore, aprile 2013.
  • Mirco Turco. Il fattore umano: una realtà innovativa in materia di psicologia del lavoro e delle organizzazioni. Notiziario Ordine Psicologi regione Puglia. N. 8, sett. 2012.

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