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Motivazione e SPORT

Motivazione e Sport.

 

Esistono diverse definizioni di motivazione. Potremmo definirla, però, in senso pragmatico e chiaro, riprendendo una definizione di Antonelli come “la causa di un determinato comportamento”.

Il tema della motivazione è di strategica rilevanza nello sport così come, in genere, riveste un aspetto chiave in altri contesti della nostra vita.

La motivazione è una vera “spinta” a compiere una determinata azione allo scopo di raggiungere un obiettivo fissato. Motivazione, quindi, come azione a raggiungere un qualcosa.

Oggi, le richieste più frequenti degli atleti e degli stessi allenatori sono proprio legate agli aspetti motivazionali: come mai un atleta è più motivato rispetto ad un altro? Come mai esistono i cali motivazionali? Come faccio a motivare maggiormente l’atleta? Come faccio a motivarmi? Quesiti normalissimi che celano dinamiche e processi complessi.

Parallelamente, è interessante indagare gli aspetti che spingono le persone, indipendentemente dall’età e dal genere, a praticare sport. In genere, le persone fanno sport per svariate ragioni, dalle più semplici ed ovvie alle più articolate. I diversi programmi di allenamento nello sport che non tengono conto del complesso motivazionale sono, in realtà, destinati a fallire.

Uno dei primi modelli analizzati per cercare di comprendere le motivazioni sportive è quello di Birch e Veroff (1966) che precisava sette motivi che dirigono il comportamento umano:

  • AFFILIAZIONE
  • POTERE
  • INDIPENDENZA
  • STRESS
  • ECCELLENZA
  • SUCCESSO
  •  AGGRESSIVITA’
  • Tali motivazioni fondamentali furono prese in considerazione nelle prime ricerche descrittive degli anni ’70. Emerse, pertanto, che le persone fanno sport soprattutto per fare amicizia e per esprimere le proprie potenzialità. Altre ricerche in tal senso, sottolinearono, invece, il ruolo strategico del diverstimento nello sport e l’acquisizione di abilità sportive.

Alla stregua, gli stessi studi esplorativi evidenziarono che l’abbandono sportivo era soprattutto dovuto a incomprensioni tra allenatore e atleti, alla noia e ripetitività degli allenamenti, agli infortuni, all’eccessiva importanza data agli aspetti competitivi.

Uno studio molto interessante, allargato in molti Paesi europei fu anche quello di Gill, Gross e Huddleston del 1983. Le indagini effettuate attraverso questionari costruiti appositamente per lo studio delle motivazioni, permisero di raggruppare otto fattori che spiegano la motivazione nello sport:

  1. Risucita/status.
  2. Squadra.
  3. Forma fisica.
  4. Spendere energia.
  5. Rinforzi estrinseci.
  6. Miglioramento delle abilità sportive.
  7. Amicizia.
  8. Divertimento.

Acquisizione di competenza sportiva, divertimento, competizione, stare in squadra, risulterebbero le motivazioni principali nelle attività sportive giovanili.

Successive ricerche descrittive misero in evidenza che le ragazze attribuiscono maggiore rilevanza all’amicizia e alla forma fisica, mentre i ragazzi maggiormente all’acquisizione di uno status, al vincere e ai premi. Indipendentemente dall’età, altre ricerche correlate sugli aspetti motivazionali, rilevarono come lo sport è importante soprattutto perché viene associato al miglioramento della propria salute e a un senso generale di benessere.

Altre ricerche, condotte anche in Italia, si sono poi soffermate sulle differenze motivazionali nello sport a seconda dello status socio-culturale, in una prospettiva, quindi, interculturale.

 

Principali teorie sulla motivazione.

 Seguendo uno dei primi lavori in materia di psicologia dello sport, Antonelli e Savini ripercorrono le teorie principali sulla motivazione: l’interpretazione istintiva, l’interpretazione biologica, l’interpretazione etologica, l’interpretazione organismica, la riflessologia, l’interpretazione di Lewin, quella di Allport, l’interpretazione di Miller e Dollard, l’interpretazione psicodinamica con i contributi di Freud, Jung, Adler, Fromm, Sullivan e Murray e l’interpetazione antropo-sociologica.

Diversi studiosi, con le loro diverse teorie di riferimento e anche convinzioni hanno dato il loro apporto allo studio della motivazione umana. Quali sono le motivazioni legate maggiormente allo sport?

Un fattore motivazionale, primario, molto rilevante legato allo sport è senza dubbio il gioco. Il gioco ricopre un ruolo chiave e strategico nell’uomo, indipendentemente dall’età, dal genere, dallo status di appartenenza. Direi che il gioco, è un lavoro serio! Il gioco assolve, inoltre a differenti funzioni, da quella cognitiva e formativa, a quella affettiva ed emotiva sino a quella psicologica, pedagogica o andragogica e psicoterapica. Non è certo un caso che oggi, molte attività in-formative effettuate con gli adulti vengono organizzate e gestite proprio attraverso modalità ludiche (es. giochi di ruolo, giochi di squadra, team bulding).

Un’altra motivazione che spinge alla pratica sportiva è senza dubbio l’agonismo. Esso è legato all’esigenza naturale da parte dell’uomo di sfidare e sfidarsi ed è connesso, per certi aspetti, all’aggressività. Lo sport assumerebbe, di conseguenza, anche una valenza catartica, di sfogo, appunto dell’aggressività umana.

Tra i fattori della motivazione sportiva occorre anche considerare: i fattori psico-biologici, i fattori psicologici, i fattori socio-culturali, i fattori psicopatologi.

Si riporta, di seguito, uno schema riassuntivo adattato che parte dal lavoro di Antonelli e Salvini.

FATTORI MOTIVAZIONALI

  • Psico-biologici: omeostatici, autoplastici.
  • Psico-patologici: inferiorità, desiderio di potenza, narcisismo, virilità.
  • Socio-culturali: affiliazione, approvazione sociale, achievement, economico, mobilità sociale.
  • Psicologici: affettivo, comunicativo, emulativo, individualizzante, proiettivo, catartico, etico ed estetico.

La motivazione sportiva secondo Bouet sarebbe legata ad alcune motivazioni di base:

  1. Il bisogno di movimento, come esigenza di spendere energie in senso biologico.
  2. L’affermazione di sé, intesa in senso personale e sociale.
  3. La compensazione, concetto per certi versi simile a quello di sublimazione attraverso il quale l’individuo sostituirebbe con lo sport altre attività negate per svariate ragioni.
  4. L’aggressività, intesa in senso costruttivo e al contempo negativo.
  5. L’affiliazione sociale, come contatto umano e intenzione di far parte di un gruppo.

Vanek e Cratty mettono a punto una teoria definibile “multifattoriale” che spiegherebbe la strutura motivazionale nell’atleta superiore. In tale concezione toerica, i diversi fattori motivazionali sarebbero poi messi in relazione con le perofrmances sportive, gli obiettivi raggiungibili e raggiunti e la relativa interpretazione del successo o dell’insuccesso.

Occorre giungere agli studi ipotetico-deduttivi di Murray, McClelland e Atkinson per parlare di motivazione in termidi di raggiungimento del successo o evitamento dell’insuccesso. La motivazione al successo sarebbe legata alla formza dell’orientamento al successo, alla probabilità percepita di avere successo e al valore incentivante del successo. La motivazione ad evitare l’insuccesso sarebbe connessa ai medesi fattori prima analizzati ma in senso opposto. Inoltre, i sentimenti conseguenti di orgoglio o vergogna derivanti dal successo o dall’insuccesso giocherebbero un ruolo determinante nei successivi comportamenti di nuovo approccio o di evitamento.

L’approccio di McClelland e Atkinson ha evidenziato che gli atleti che possiedono un elevato desiderio di successo hanno prestazioni migliori rispetto a chi mostra una bassa attesa di successo. Tali affermazioni trovano conferma in altre ricerche e nel concetto moderno di Self-efficacy (autoefficacia).

La motivazione, in realtà, non può essere legata solo a fattori soggettivi e personologici e tale constatazione era già stata intuita tempo fa con i primi studi pioneristici. La motivazione, infatti, è influenzata anche dai così detti fattori situazionali. L’uomo, come essere bio-psico-sociale è inserito in un contesto e tale contesto ne influenza il comportamento e non solo.

Nicholls identifica due principali orientamenti motivazionali: l’orientamento al compito e l’orientamento al Sé. Gli sportivi orientati al Sé praticano sport strettamente per esigenza di competere, per motivi di status sociale, per ricevere riconoscimenti. Gli sportivi orientati al compito avrebbero maggiore bisogno di sviluppare abilità fisiche in rapporto anche al mantenimento della forma fisica.

Altri studi interessanti condotti intorno agli anni ’90 sulla motivazione e sulla prestazione sportiva evidenziano come i giovani preferiscano ricevere rinforzi positivi da parte degli allenatori, ma anche indicazioni e tecniche su come migliorare la performance. Ciò aumenterebbe la percezione di competenza. È emerso, inoltre, che i giovani con maggior autopercezione di competenza attribuiscono il successo a componenti interne, più stabili e con elevato controllo personale. Tali studi coincidono con il concetto moderno di “locus of control interno” vs “locus of contro esterno”, ovvero sull’attribuzione dei successi.

Tali ricerche e studi in tema di motivazione dovrebbero essere ben conosciute dagli allenatori o dai preparatori atletici che spesso, motivano l’atleta in modo distorto e attraverso meccanismi paradossalmente poco motivanti o stimolanti ai fini della prestazione ottimale. La percezione di competenza e l’attivazione derivante dall’effettuare una sfida sono elementi che fanno parte della motivazione intrinseca. In ambito sportivo, l’orientamento al compito fa aumentare la motivazione intrinseca, mentre l’orientamento al Sé può causare una riduzione dell’interesse. Inoltre, chi è orientato al Sé mostra anche meno piacere dal gioco, indipendemente dal risultato.

Semplificando le correnti di pensiero, gli studi e le diverse teorie, si può pragmaticamente definire la motivazione come un processo che governa le scelte e al contempo un fenomeno che ha una direzione, un’intensità, aspettative e bisogni.

Un’interessante classificazione proviene da Kanfer (1990) che raggruppa gli approcci moderni alla motivazione principalmente in tre filoni principali: le ricerche sui bisogni-motivi-valori, quelle sulla scelta cognitiva o dinamica dell’azione e quelle sull’autoregolazione.

Nel paradigma bisogni-motivi-valori il ruolo fondamentale è la motivazione intrinseca e le determinanti personali del comportamento, ovvero la soddisfazione dei bisogni. I bisongi, i motivi e i valori sono considerati obiettivi o mete personali che possono mutare in accordo alle caratteristiche stabili degli individui e/o con la rappresentazione dell’ambiente circostante.

Il paradigma della scelta cognitiva enfatizza in primis l’agito comportamentale e la prestazione in sé. L’attenzione è dunque sulle aspettative.

Gli approcci dell’autoregolazione ricalcano la mente e le sue intrinseche proprietà di autoregolazione in risposta all’ambiente allo scopo di esercitare un certo livello di controllo.

Le teorie dei bisogni fanno riferimento dunque a bisogni fisici-psicologici e ai concetti di sopravvivenza e benessere. Le teorie del valore sottolineano ciò che l’individuo desidera e i valori assumono, in questo, anche connotati morali. Nelle teorie dell’obiettivo, il raggiungimento di esso diventa strategico e appare come qualcosa di specifico.

Altri orientamenti teorici si concentrano sull’aspettativa di successo e studiano le convinzioni personali sulle proprie capacità e sul controllo dei risultati. Altre teorie riguardano, invece, il valore attribuito al compito e approfondiscono le ragioni della scelta e sono quelle che fanno la distinzione tra motivazione intrinseca ed estrinseca. La teoria del self-worth del 1998 che affronta il bisogno di mantenere un alto valore di sé e infine, le teorie che cercano di integrare motivazione e congizione (2003) che studiano il ruolo delle strategie cognitive nei processi motivazionali.

Cosa sapere in più sulla motivazione.

 

Personalmente ritengo che per raggiungere un obiettivo non basti solo la motivazione. È anche questione di personalità, di grinta, di carattere, … Inoltre, in alcuni casi, viene “sopravvalutata” la motivazione come aspetto fondamentale di una qualsiasi pratica sportiva.

Anche un topolino è capace di lottare a lungo contro le difficoltà presenti in un labirinto per raggiungere un enorme pezzo di formaggio di difficile accesso, ma prima o poi, se l’obiettivo non viene raggiunto, quell’impegno svanisce e il topolino si arrende.

Per potersi focalizzare su di un obiettivo gli animali hanno bisogno della prospettiva di una gratificazione a breve termine. Questo vale spesso anche per l’uomo.

Di fatto, nessun animale è in grado di impegnarsi e perseverare per realizzare un obiettivo incerto, immateriale e molto sfidante. Nessun animale, eccetto l’uomo! Ed è proprio questa, a mio avviso, la chiave aurea della motivazione.

Sovente, spingere, convincere, motivare appunto gli altri, nello sport come in altre situazioni della vita, è importante, ma non è sufficiente.

Occorre fare i conti con altre “questioni”.

In generale, le persone potrebbero avere paura di fronte alla scoperta delle proprie possibilità e in alcuni casi fingono di non avere del potenziale. Lo stile di vita, la frammentazione dell’attenzione e un atteggiamento di passivizzazione e distruzione dell’intenzionalità, esasperato sicuramente anche dai tempi moderni (es. utilizzo spasmodico della tecnologica e dei social media) incidono, non solo sull’attenzione e la motivazione, ma anche sui “cali motivazionali.”

La motivazione estrinseca, allora, ha le sue falle!

Se la motivazione non dipende da me, ma dal mondo esterno, cosa posso farci?

Tutto ciò potrebbe paradossalmente essere rassicurante, perché permette di incolpare il mondo quando non abbiamo voglia di fare. Ci risparmia la fatica di impegnarci. Ma niente per l’uomo è insopportabile come l’essere in pieno riposo, senza passioni, senza affari da sbrigare, senza svaghi, senza un’occupazione. (Pascal)

Le persone, in realtà, e a maggior ragione anche i bambini, per stare bene, hanno bisogno di stimoli, di interessi e di cose che li impegnino.

Come allenatori e come genitori dovremmo sapere che il «bastone», cioè l’uso di uno stile autoritario, della costrizione o di punizioni non è molto efficace per motivale le persone. Sul breve funziona, ma sul lungo termine è fallimentare. La direttività, infatti, deresponsabilizza e plasma persone inette o meri esecutori in attesa di ordini.

Anche l’incentivo va soppesato strategicamente. Esso, infatti, funziona, ma a breve termine. Una ricompensa che sarà resa disponibile dopo anni non ha nessun effetto sul livello di impegno del soggetto. In questo è molto importante fissare alcuni sotto-obiettivi.

Ma occorre anche sapere che l’incentivo e l’impegno sono correlati solo in fase iniziale: se aumentano i premi, l’impegno aumenta in maniera proporzionale, ma solo fino ad un certo punto. Infatti, potremmo schematizzare nel seguente modo:

  • L’incentivo stimola il soggetto a conseguire una meta solo se il raggiungimento della stessa non implica troppo rischio, sofferenza o troppa fatica.
  • L’incentivo aumenta leggermente la produttività in compiti di tipo algoritmico (es. procedura ben definita) ma non in quelli creativi.
  • Gli incentivi funzionano moderatamente: quando gli obiettivi sono chiari, routinari, poco sfidanti e raggiungibili in tempi brevi.

La chiave aurea diventa la motivazione intrinseca, Motivare, infatti, è più vicino al termine Educare (tirare fuori, far uscire). La motivazione intrinseca è la capacità di attivarsi sulla base di un’intenzione interna e non ha bisogno di ricompense esterne. La rinuncia avviene allora quando la persona, pur spronata, motivata dall’esterno (un buon allenatore, una ricompensa, un obiettivo, …) non trova, durante la strada, quella personale spinta interiore, insieme al piacere di farcela, di sentirsi capaci, di essere all’altezza.

Ogni pratica sportiva, per “durare” nel tempo, dovrebbe anche portare la persona verso una sorta di esplorazione personale. Ritengo che lo sport sia, infatti, un vero percorso …

 

 

 

 

 

 

 

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