Categoria: <span>Psicologia del lavoro</span>

Alla ricerca della Verità …

Alla ricerca della verità, o forse della menzogna! Intervento del Dott. Mirco Turco

Secondo una versione alquanto complicata e giocosa della vita, il linguaggio sarebbe stato inventatoin modo da dare la possibilità alla gente di nascondersi reciprocamente ciò che pensa veramente! È alquanto certo, allora, che occorra molta cautela nel considerare le parole, le frasi, i discorsi di noi esseri umani, tra l’altro, senza scomodare ugualmente O.

 

Innovazione, Risorse Umane e odore di fritto …

Empowerment, soft skills, commitment, engagement … e ora arriva anche il “purpose”.

Le Risorse Umane cercano persone d’altri tempi, insomma! Ovvero, individui che si impegnino nel loro lavoro, che traggano fuori il loro potenziale, che sappiano rapportarsi intelligentemente con gli altri e che utilizzino anche le emozioni. Uauu … Inoltre, scoperta del secolo, devono anche trovare il senso di ciò che fanno – il purpose appunto.

A me sembra un modo sofisticato e illusorio di parlare di banalità, di ovvietà. Il senso del non senso. Ma la risonanza di questi termini, forse, incide maggiormente, è più efficace, suona meglio diremmo … Si, perché questa è innovazione. Significa Gestione Strategica e Innovativa delle Risorse Umane! E allora mi accorgo che forse, l’unica cosa che conta davvero oggi è il controllo emotivo. La gestione sapiente delle emozioni, perché, di tanto in tanto, mi verrebbe seriamente di dire solo “ma quante c….te!!!” dite, grandi gestori delle risorse umane di grandi multinazionali? E siete anche convinti.

Dovremmo tornare, forse, a parlare normalmente, con il sano buon senso. Ci circondiamo allora di termini glamour, falsamente innovativi, diabolicamente eccentrici, fantasmagoricamente vuoti. Questione di trend, di mood. Come le moderne cucine, i ristoranti apparentemente aristocratici e gli osannati chef. Ma non sarebbe meglio parlare dell’odore scoppiettante di una frittura poco sana, ma comunque gustosa? Olio che frigge con brio, senza alcuna filosofia raffinata di base. Niente recensioni. Niente classifiche. Nessun profilo organolettico, inutile e sofisticato. Da paranoia. Come le cucine dell’ultimo grido. Innovative come le moderne Risorse Umane. Come la convinzione di una coppia di chef che incontrai tempo fa, per strada, all’angolo del loro locale stellato. Lei, appena ventenne. Pulita in viso, con un odore premestruale addosso e un normale imbarazzo dell’età. Lui, di una manciata di giorni più grande di chi ha preso da poco la patente e con una convinzione malsana e costruita. Basata sul nulla. Altro che narcisismo! In fondo, sei solo uno che cucina, avrei voluto urlargli. Se solo non avessi avuto quel barlume educativo disturbante come una invisibile palla al piede. Chef stellato, decantato come un prezioso vino. Come un Chateau Cheval Blanc del 1947, da 22 mila sterline, per essere banalmente francesi. Convinzioni. Periodi in cui si da valore alla banalità. Nelle aziende, nelle grandi multinazionali, nella P.A., come in cucina! Ed è quella stessa etica del buon senso che ti blocca nel dire che la sua cucina, fa banalmente schifo e che l’azoto liquido, può usarlo solo per bruciare le verruche ai piedi! “Noi non facciamo cucina. Regaliamo emozioni”, mi disse quel giorno. Togliti quel ghigno del c… da dosso e questo pietoso spirito poetico che non avevo neanche in scuola elementare! Spostati. Ci penso io a prepararti un fritto malsano, furioso e scoppiettante. Ti garantisco che le tue arterie svolgeranno la loro funzione con maggior motivazione e ti ringrazieranno. Come la tua compagna, se la lasci in mia compagnia per il tempo sufficiente per confonderla. Diciamo così! Questa è comunicazione efficace. Questa è gestione strategica delle risorse umane … Ma l’educazione fa nuovamente eco. Bussa in testa e frena intenzioni e spirito. Il controllo. È sempre il controllo che ci differenzia dagli altri esseri animali. È sempre il controllo che ci fotte! Ma quel fritto te lo mangeresti comunque. Anche bollente. E ti frega poco di bruciarti. È troppo seduttivo! E vorresti che le stesse aziende, multinazionali, grandi imprese si riempissero proprio di quella nuvoletta oleosa e affascinante. Altro che innovative purpose

E poi, te ne torni a casa, dopo aver passeggiato per due chilometri, con il tuo sigaro che ti consola e un mix di intenzioni e delusioni, mentre ti accorgi che il tuo maglioncino in lana nero, ha un’inspiegabile, magico e diabolico retrogusto di fumo, cortisolo, fritto ed estrogeni. Questa è innovazione!

29 principi sulla Leadership e sulla Vita

Ti lascio, di seguito, alcune “lezioni di vita” e anche di leadership degli ALL BLACKS. Quando gli All Blacks praticano la HAKA, interiormente gli avversari sanno di trovarsi di fronte a qualcosa di più di un gruppo di giocatori. Si trovano a fronteggiare una cultura, un’identità, un ethos, un sistema di valori e una passione e uno scopo collettivi che vanno oltre qualsiasi cosa abbiano mai affrontato. Spesso, mentre la haka raggiunge il suo apice, la squadra avversaria ha già perso …

  1. Per essere un leader di successo occorre saper bilanciare orgoglio e umiltà
  2. Per vincere la prima volta occorre talento, ma per vincere la seconda occorre carattere.

  3. La sfida è migliorarsi sempre, prendendosi cura di se stessi in primis.
  4. Performance = Capacità + Comportamento
  5. I leader creano l’ambiente giusto per far risaltare i comportamenti giusti.
  6. È importante far crescere i dipendenti e il gruppo.
  7. Nessuno conosce tutte le risposte … quindi, ponete domande! Porre domande consente di mettere in discussione lo status quo, aiuta a porsi in linea con i valori fondamentali ed è un catalizzatore per il miglioramento individuale.

  8. Un efficace cambiamento organizzativo richiede alcune fasi fondamentali: Un motivo per cambiare. Una visione convincente sul futuro. Una capacità di cambiare. Un piano credibile da eseguire.

  9. Mirate al miglioramento continuo (kaizen)

  10. Applica il Ciclo decisionale OODA: Osserva- Orienta- Decidi -Agisci
  11. L’importanza di uno scopo: più motivi hai per giocare, meglio giochi … Lo scopo è il collante di qualsiasi gruppo e il gruppo deve comprendere il Perché.

  12. I leader non dovrebbero creare seguaci, ma altri leader.
  13. Ogni membro del gruppo deve sentirsi come la pedina più importante.
  14. I leader devono incoraggiare l’iniziativa individuale, creando un clima di fiducia e comprensione.

  15. Sii il meglio che puoi essere.
  16. Il successo è un processo fatto di apprendimento cumulativo e di miglioramento incrementale. Realizza una tua mappa giornaliera di auto-miglioramento.

  17. Guadagni marginali: 100 cose fatte meglio per l’1% portano all’accumulo di un vantaggio competitivo!

  18. Le cose che ti circondano ti stanno portando al successo o ti stanno frenando? La bravura sta nel sapere che cosa eliminare (decisione).

  19. Crea legami solidi.

  20. La comunicazione è l’elemento più importante per poter lavorare insieme.
  21. Create una squadra che è capace di trascorrere del tempo insieme, parlandosi con franchezza. Questo processo di unione crea fiducia e la fiducia è il vero capitale sociale.

  22. Onestà=Integrità=Autenticità=Resilienza=Performance

  23. Se siamo autentici abbiamo autorevolezza e siamo padroni della nostra storia
  24. La formula del successo: 1. ogni mattina compila una lista delle cose che vanno fatte in quel giorno. 2. Falle.

  25. Non basta essere bravi, bisogna essere eccezionali.
  26. I leader sono narratori e hanno storie accattivanti. Ciò aiuta le persone a capire per cosa lottano e perché.

  27. La vera rivoluzione inizia sempre dal linguaggio. Le parole innescano rivoluzioni.

  28. I rituali sono fondamentali per rinforzare il collante emotivo «Aprire un prodotto Apple è un rito, così come rimuovere un sigillo di un sigaro Montecristo» I rituali rendono reali e tangibili i valori, li fanno diventare concreti, li attualizzano. Neil Armstrong faceva l’occhiolino ogni volta che osservava la luna …

  29. Sii un buon antenato: pianta alberi che non vedrai mai!

 

Benessere a Scuola

Quando si parla di “benessere” a scuola si può intendere quell’insieme di comportamenti, pratiche e metodologie che hanno la finalità pragmatica di creare un ambiente idoneo al lavoro e alle dinamiche lavorative. Inoltre, banalmente, significa anche occuparsi di quegli aspetti psicosociali che, sempre più spesso, possono fare la differenza. Mi riferisco, ad esempio, alla qualità dei rapporti interpersonali, alle possibilità di affrontare un conflitto, alle opportunità di gestire situazioni di stress. Tali argomenti sono abbastanza conosciuti nelle svariate organizzazioni e anche negli istituti scolastici, ma gli interventi pratici volti al benessere sono, in realtà, ancora flebili o scarni. Si può e si deve ancora fare tanto …

Il lavoro è la prima causa di stress per il 60% della popolazione mondiale e, nello specifico, il lavoro degli insegnanti risulta particolarmente gravoso, anche in considerazione delle vicissitudini dell’ultimo periodo. Considerando il ruolo complicato, le dinamiche articolate tra colleghi, alunni, famiglie e istituzioni, il sovraccarico di mansioni, pratiche e burocrazie, appare quanto mai obbligatorio fornire strumenti di supporto, assistenza e buone pratiche, proprio per creare benessere a scuola. L’insegnante, oggi, necessita di tutto un repertorio di nuove soft skills che, in realtà, prenderanno sempre più spazio in tutte le moderne organizzazioni. Finalmente, si sta comprendendo quanto sia rilevante “investire” sul capitale umano e quanto il benessere, appunto, sia una priorità assoluta.

Il benessere organizzativo si riferisce dunque alla capacità di un’organizzazione di promuovere e mantenere il più alto grado di benessere fisico, psicologico e sociale dei lavoratori in ogni tipo di occupazione, a maggior ragione per coloro che svolgono attività implicitamente stressanti. Il benessere organizzativo è anche l’insieme dei nuclei culturali dei processi e delle pratiche organizzative che animano la dinamica della convivenza nei contesti di lavoro promuovendo, mantenendo e migliorando la qualità della vita e il grado di benessere fisico, psicologico e sociale delle comunità di lavoratori.

La salute psicofisica degli insegnanti diventa una priorità ed è al contempo, una preoccupazione sociale, poiché dal loro equilibrio dipendono processi di insegnamento, di crescita, di educazione e sviluppo delle giovani generazioni. Un lavoratore che gode di ottima salute psicofisica sarà anche più soddisfatto della sua organizzazione e innesterà delle relazioni interpersonali positive, generando un circuito virtuoso a favore del clima e della stessa cultura lavorativa.

Serenità, coinvolgimento, partecipazione, motivazione, comunicazione interna, equità, performance, sono tutti concetti chiave che ruotano intorno al concetto di salute dell’insegnante, oltre a far parte della salute organizzativa.

L’insegnamento appartiene, inoltre,  alle “helping-professions” e il rischio potenziale di stress, conflittualità emotive e burnout è elevatissimo. L’insegnante è un mediatore di cultura, un valutatore, un esperto di programmazione didattica, un genitore alternativo e sostitutivo e di fatto, suo malgrado, si trova sovente a fare lo psicologo. Vivere tale pluralità del ruolo è intrinsecamente stressante e il coinvolgimento non è solo cognitivo, ma anche emotivo e motivazionale.

Da tali premesse occorre partire per impostare una nuova cultura improntata sul benessere, con lo scopo di diffondere una forma mentis centrata proprio sulla salute e le pratiche virtuose. Penso che occorrerà ancora del tempo, ma è anche questione di opportunità da creare e da cogliere.

In Giappone gli unici cittadini che non sono obbligati ad inchinarsi davanti all’imperatore sono gli insegnanti. Il motivo è che i giapponesi sostengono che senza insegnanti non ci possono essere imperatori“.

 

Commitment e Pubblica Amministrazione

Il Commitment è l’insieme di comportamenti di impegno, motivazione, senso del dovere, appartenenza e responsabilità degli individui nei confronti della propria azienda. Potremmo anche definirlo come l’insieme di «forme di identificazione degli individui con l’organizzazione, identificazione con i suoi obiettivi unitamente al desiderio di rimanere a farne parte.» (Modway, 1979; Allen e Meyer, 1993).

Quali sono le ragioni che spingono le persone a lavorare per una realtà piuttosto che per un’altra? Perché alcuni si sentono integrati e altri meno? Rispondere a queste domande significa parlare proprio di Commitment!

Il Commitment è legato a svariati fattori. In primis:

  • Politiche aziendali
  • Sistema premiante
  • Efficiente comunicazione interna
  • Coinvolgimento
  • Autonomia
  • Creatività

Il commitment è parte complessa del sistema organizzativo. È connesso con le dinamiche umane. Commitment è l’identificazione della persona con l’organizzazione e significa di fatto: accettare gli obiettivi, condividere i valori, impegnarsi responsabilmente … Quanto di questo avviene anche nella Pubblica Amministrazione? Sarebbe sufficiente dire che il coinvolgimento del personale non solo rende il lavoro più soddisfacente, ma anche conveniente, in termini di costi e di performance. I dirigenti della Pubblica Amministrazione si devono rendere conto che il coinvolgimento del personale è una delle loro più importanti responsabilità. Un dipendente coinvolto infatti:

Si identifica completamente con l’azienda.
È motivato a proteggere la propria organizzazione.
È motivato nel raggiungere gli obiettivi aziendali.
Prova piacere per i successi della sua organizzazione.
Vede un attacco all’organizzazione come un attacco a se stesso.

Un dipendente non coinvolto non si identifica, risulta indifferente e demotivato e, banalmente, si stresserà prima, con tutte le conseguenze che ne possono derivare.

Per parlare di Commitment anche nella Pubblica Amministrazione, occorre partire dal presupposto che le persone devono operare in un ambiente idoneo fisicamente e psicologicamente, attraverso azioni preliminari necessarie:

  1. Sistemi premianti della performance.
  2. Cultura collaborativa e trasparenza.
  3. Compiti sfidanti.
  4. Ambiente lavorativo improntato sul benessere.
  5. Considerare i dipendenti come persone uniche.

Immagino sia una bella sfida!

Ipertrofia dell’Io e Leadership

Sulla leadership si è scritto tanto e si continua a farlo. Forse, sempre nello stesso modo! Una lettura diversamente profonda è quella che si legge in  Umberto Galimberti (Paesaggi dell’anima. Feltrinelli. pp. 138 e segg. Rif.to Prefazione di Gian Piero Quaglino, all’edizione italiana del libro di M.F.R. Kets de Vries, Leader, giullari e impostori. Sulla psicologia della leadership.) che si riporta in modo semi integrale per evitare che alcuni concetti chiave possano essere persi o distorti. Sicuramente, ci fornisce un’ottica non comune e una risonanza peculiare che mi auguro possa echeggiare in molti leader o ritenuti tali.

… “Per essere seria e non velleitaria, la ricerca del potere deve avere quel tanto di patologico che è tipico di tutte le funzioni compensatorie che risolvono fuori di noi i conflitti che non siamo riusciti a comporre dentro di noi … a ciò si accompagna uno smisurato bisogno di attenzione e di affetto non riscosso da bambino, che induce il leader a quella necessità coatta a comparire per riscuotere consenso, seguito e approvazione, nel tentativo di compensare quella scarsa stima di sé che ogni leader profondamente avverte e continuamente rimuove per poter sopravvivere …

Privo di un sé interiore, è costretto a cercare nel riconoscimento esterno il rimedio all’angoscia. Il sogno mortificato da piccolo diventa allora qualcosa da inseguire a tutti i costi da grande. Un sogno che diventa bi-sogno …

I leader di oggi però non si adornano di giullari, che un tempo servivano a non prendere decisioni insensate e non conoscono neanche l’autoironia, prendendosi troppo sul serio, confondendo l’ironia con l’umorismo in una spregiudicata ovvietà e banalità e in un chiassoso senso comune, anziché ricercare e percorrere il senso della vita.

… Costretto nel suo ruolo, il leader stenta a trovare le radici profonde del suo vero Io e quel posto lasciato vuoto viene ricoperto da un impostore, dalla sua apparente imperturbabilità, desolante impersonalità e assenza di un qualsiasi moto d’anima. Costretto com’è a compensare con la stima attestatagli dagli altri l’assoluta disistima di sé, e con la dipendenza cieca e assoluta dagli altri l’assoluta mancanza di indipendenza, il leader, al pari di un mendicante, è costretto  a vivere di carità pubblica … 

L’anima del leader è a brandelli e la scarsa identità lo rende adatto alle esigenze del mercato, così come la sua sottomissione alle regole di un’organizzazione … L’idealizzazione del potere lo rende propenso a sacrificare per intero i residui della propria personalità. Il leader allora affronta progressivamente un’incapacità empatica, una sorta di alessitimia, ritrovandosi nell’indifferenza, nella noia e nella frustrazione. Sanno, infatti, di essere amati per ciò che non sono … Ma è proprio la povertà della loro anima interiore che eviterà confusioni sulle decisione da prendere in quella esterna, poiché è l’unica cosa che interessa alle organizzazioni.

Subordinati di tutto il mondo, non abbiate paura dei vostri leader: non sono dio, sono meno di un uomo.”

 

Imprenditoria e Gentilezza (che non c’è)

Qualche giorno fa mi sono felicemente “imbattuto” in un articolo che sottolineava la “Gentilezza” e la rilevanza strategica in ambito aziendale. Contemporaneamente, cercavo di negoziare con un imprenditore, illustrando l’importanza imminente di “trattare” i lavoratori come vere Risorse. Jung lo avrebbe chiamato “evento sincronistico”. Tale coincidenza però, penso sia servita solo a me!

Un argomento molto interessante e affascinante che dovrebbe essere approfondito da molti imprenditori di oggi è proprio quello legato alla Gentilezza. Qualcuno parla addirittura di “vantaggio competitivo per il business.” La gentilezza è una filosofia di vita e non è un segno di debolezza o sottomissione, è anche una forma culturale che ci aiuta ad essere più equilibrati e in armonia con il resto del mondo, compreso quello lavorativo. Per alcuni imprenditori tali affermazioni potrebbero già risultare difficili, soprattutto se convinti delle loro convinzioni e delle loro sfaccettature narcisistiche e simil psicopatiche.

Caro imprenditore, non farai mai un salto qualitativo (e quantitativo) se continuerai a trattare gli altri come oggetti o come “voce di spesa”! 

Un atteggiamento improntato sulla gentilezza e sull’empatia plasma strategicamente un ambiente di lavoro e favorisce il benessere psicofisico, oltre a incidere sulla performance e sul clima organizzativo. Concetti, forse, che ancora sfuggono ad alcuni imprenditori. Non è un caso che paesi come la Norvegia e la Svizzera (dove si investe maggiormente in benessere) sono i Paesi più felici in cui vivere.

La gentilezza ripaga anche nei rapporti interpersonali, tra colleghi, clienti e fornitori. Inoltre, alcune ricerche dimostrano che le persone felici sul lavoro sono anche più produttive (12%). E questo, caro imprenditore, magari potrebbe interessarti maggiormente. Gentilezza è un ulteriore valore aggiunto per ogni sistema lavorativo e significa soprattutto riconoscere il valore dell’altro. Ma probabilmente, caro imprenditore, dovresti ritornare sui banchi di scuola!

Stress e Salute

In generale, lo stress, non viene considerato una malattia, ma può far insorgere disturbi psicofisici molto rilevanti. Inoltre, scoperte recenti, indicano che livelli elevati di stress possono causare anche la modificazione del DNA.

Possiamo distinguere le seguenti manifestazioni dello stress:

1. MANIFESTAZIONI FISIOLOGICHE: le reazioni di stress sono una preparazione alla lotta o alla fuga. Le reazioni fisiologiche tipiche diventano allora: aumento della pressione arteriosa, accelerazione della coagulazione sanguigna, tachicardia o aritmia, tensione muscolare con conseguenti algie a carico del collo, del capo e delle spalle, produzione eccessiva di succhi gastrici. Vengono interessati conseguentemente tutti gli organi e gli apparati.
2. MANIFESTAZIONI EMOTIVE: reazioni di ansia e depressione, senso di disperazione e impotenza. Lo stato temporaneo può diventare più profondo e prolungato e superare i limiti della norma, sfociando nella patologia.
3. MANIFESTAZIONI COGNITIVE: in condizioni di stress, molti lavoratori hanno difficoltà a concentrarsi, a ricordare e memorizzare, ad apprendere nuove cose, a essere creativi e a prendere decisioni. Anche in questo caso, superate certe soglie, le suddette reazioni possono comportare uno stato disfunzionale.


4. MANIFESTAZIONI COMPORTAMENTALI: l’esposizione allo stress porta il lavoratore a comportamenti di “automedicamento” quali l’abuso di alcool e fumo. Altri lavoratori cercano conforto nel cibo, aumentando così il rischio di obesità e di conseguenti patologie cardiovascolari e diabete. Un’altra valvola di sfogo è l’abuso di sostanze psicoattive e il conseguente aumento del comportamento antisociale. Fra gli esiti clinici connessi allo stress sul lavoro, figurano (Unione Europea): le malattie cardiovascolari, il cancro, le affezioni respiratorie e le “cause esterne” (infortuni e suicidi). Esse determinano circa il 75% di tutti i decessi.

In Europa oltre il 34% delle donne e il 41% degli uomini di età compresa tra i 15 e i 34 anni sono fumatori abituali. Uno dei motivi che inducono a iniziare a fumare o che impediscono di smettere di fumare è lo stress legato all’attività lavorativa.             L’elevata assunzione di alcol aumenta il rischio di carcinoma epatico primario e di tumori a carico del tratto digestivo superiore, oltre che di infortuni e comportamenti suicidari e antisociali. Anche in questo caso, lo stress sul lavoro è uno dei fattori che determinano il consumo elevato di alcolici. Circa il 63% dei giovani dell’Unione Europea ammette di essersi ubriacato almeno due volte. E’ lecito temere che essi ricorrano agli alcolici se e quando, nella loro vita, non riusciranno a trovare lavoro, oppure dovranno far fronte a situazioni di stress lavorativo.

Cardiopatia e Ictus.

Le malattie cardiovascolari sono la principale causa di morte nei Paesi dell’Unione Europea. La combinazione di elevati livelli di impegno psicologico, la scarsa autonomia decisionale e il controllo, si traducono in uno stato di tensione che aumenta il rischio di morbilità o mortalità cardiovascolare.

La percentuale di malattie cardiovascolari dovute allo stress lavorativo e pari al 20% circa. Se il lavoro è particolarmente sedentario, la percentuale sale vertiginosamente sino al 50% circa. Riguardo all’ictus, le evidenze sperimentali sono meno univoche ma i fattori di rischio sono simili a quelli segnalati per la cardiopatia ischemica, il fumo, l’ipertensione, l’alimentazione inadeguata e il diabete.

Cancro.

Un terzo di tutti gli uomini e un quarto di tute le donne nell’UE si ammalano di cancro prima dei 75 anni. Un uomo su cinque e una donna su dieci muore di cancro prima di aver raggiunto tale età.

Lo stress lavorativo, in sé, non provoca probabilmente il cancro ma, può sostanzialmente contribuire a una serie di comportamenti da stress che aumentano il rischio di essere colpiti da tale malattia. I più importanti sono il fumo, la sovralimentazione e l’eccessivo consumo di grassi, la promiscuità.

Patologie osteomuscolari.

La combinazione di tensione muscolare e traumi multipli a carico di alcune parti dell’apparato locomotore possono determinare sintomi dolorosi ricorrenti che comportano una limitazione della funzionalità a carico degli arti superiori, del collo e del tratto lombale. Grande attenzione va data, quindi, all’ergonomia sul posto di lavoro.

Patologie gastroenteriche.

Lo stress lavorativo può comportare dispepsie non accompagnate da ulcere e sindromi del colon irritabile.

Disturbi d’ansia.

L’ansia è un comune segnale dello stress lavorativo. Tra i disturbi d’ansia figurano maggiormente il disturbo da stress acuto, caratterizzato da ansia e dissociazione e il disturbo post-traumatico che deriva da particolari eventi traumatici. Nel campo lavorativo basti pensare ad eventi quali incendi, rapine, infortuni gravi.

Disturbi depressivi.

Particolari condizioni e situazioni della vita lavorativa, in correlazione con eventi della sfera privata, che provocano una particolare lesione dell’autostima nel soggetto, possono generare una depressione clinica. I disturbi depressivi, diversamente intesi e classificati a seconda di specifici criteri, possono comportare, in associazione, altri disturbi cognitivi ed emotivi.

 

 

 

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Che cos’è il Benessere Organizzativo

Che cos’è il Benessere Organizzativo.

Il benessere organizzativo si riferisce alla capacità di un’organizzazione di promuovere e mantenere il più alto grado di benessere fisico, psicologico e sociale dei lavoratori in ogni tipo di occupazione[1]. Il benessere organizzativo è anche l’insieme dei nuclei culturali dei processi e delle pratiche organizzative che animano la dinamica della convivenza nei contesti di lavoro promuovendo, mantenendo e migliorando la qualità della vita e il grado di benessere fisico, psicologico e sociale delle comunità di lavoratori[2].

Oggi, attraverso l’acquisizione delle diverse norme e direttive, anche in seno all’Unione Europea, il tema è particolarmente sentito nell’ambito lavorativo ed organizzativo, soprattutto in riferimento allo stress e alla sua valutazione (Obbligo di Valutazione Stress Lavoro Correlato).

Oltre lo Stress.

Come già si evince, il concetto di Benessere va oltre lo stress ed occorre, in modo pragmatico, allargare i campi di intervento. Un passaggio obbligato, quindi, riguarda anche gli aspetti culturali di un’organizzazione, sia privata che pubblica. Riteniamo, dunque, che oggi si debba necessariamente passare da una “semplice” Prevenzione dei Rischi, ad un concetto avanzato ed innovativo di Antistress, sino a quello propriamente detto di Wellbeing Culture.

 Indicatori di benessere organizzativo:

  • Soddisfazione per l’organizzazione
  • Voglia di impegnarsi
  • Sensazione di far parte di un team
  • Desiderio di andare al lavoro
  • Elevato coinvolgimento
  • Speranza di poter cambiare le condizioni negative attuali
  • Percezione di successo dell’organizzazione
  • Percezione di equilibrio tra vita lavorativa e vita privata
  • Soddisfazione per relazioni interpersonali sul lavoro
  • Apprezzamento per i valori espressi dall’organizzazione
  • Fiducia e stima nel management

Indicatori di malessere organizzativo:

  • Insofferenza nell’andare al lavoro
  • Assenteismo
  • Disinteresse per il lavoro
  • Desiderio di cambiare il lavoro
  • Alto livello di pettegolezzo
  • Risentimento verso l’organizzazione
  • Aggressività inabituale e nervosismo
  • Disturbi psicosomatici
  • Sentimento di inutilità
  • Sentimento di irrilevanza
  • Senso di disconoscimento (non apprezzamento)
  • Lentezza nella performance
  • Confusione organizzativa in termini di ruoli, compiti, ecc.
  • Venire meno della propositività a livello cognitivo
  • Aderenza formale alle regole e anaffettività lavorativa

 

 

[1] Avallone F., 2003, in F. Avallone e M. Bonaretti 2003, pag. 24.

[2] Avallone 2003, in F.Avallone e M. Bonaretti, a cura di, 2003, p.42; Avallone e Paplomatas 2005, p.65.

 

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