GARLASCO: ma dov’è finito il Profiling?
In questa roccambolesca e drammatica vicenda, a me pare, che tutti parlano, tranne quelli che potrebbero parlare … e mi sorprende che le “parti coinvolte” non si siano mai affidate concretamente anche a Profiler ed esperti di Psicotraumatologia. Ma in fondo, la Verità è sempre cosa ardua…
Il famoso principio di Locard, “Ogni contatto lascia una traccia”, sembra sia completamente scivolato nell’oblio e, a proposito di memoria, non si sottolinea mai abbastanza che con il tempo le tracce si deteriorano, si contaminano o scompaiono. Non solo, ma i ricordi dei testimoni ( e di chiunque) si alterano e le ricostruzioni diventano progressivamente più fantasiose e poco attendibili! La memoria è, infatti, ricostruttiva e non riproduttiva.
In questo marasma dantesco, tra prove considerate scientifiche, indizi, interrogatori, testimonianze, intercettazioni, collusioni, confabulazioni e fiabe, uno sguardo “differente” verso il Profilinig non farebbe male. Ricordo, però, che la profilazione è un’attività di puro supporto all’investigazione.
E veniamo al focus …
Considerando i traumi al cranio della povera vittima, si potrebbe parlare di un modus operandi con finalità funzionale. L’aggressore, di fatto, voleva prima neutralizzare la vittima, per poi causarne la morte.
Perché? Si evidenzia una perdita di controllo emotivo, tipica dei soggetti sotto stress acuto o in seguito ad una “classica” ed improvvisa o inaspettata ferita narcisistica.
La parte su cui nessuno si è soffermato (almeno, non ne ho mai sentito parlare) però, è legata alle lesioni incisive localizzate sotto le palpebre. Ed è qui che il profiling potrebbe venire in soccorso.
Secondo la letteratura sul Criminal Profiling (Douglas, Ressler, Turvey), un gesto che non è necessario per uccidere, ma che viene reiterato con precisione su una parte del corpo altamente simbolica, viene definito signature behavior.
Nello specifico, gli occhi rappresentano: la coscienza, il giudizio, la capacità di vedere e riconoscere l’altro. Colpire quindi tale zona in modo deliberato, su un piano simbolico, potrebbe significare: annullare “lo sguardo” della vittima, impedire la “funzione giudicante” e trasformare il corpo in un “oggetto dominato.”
Secondo il modello di John E. Douglas, la mutilazione mirata agli occhi è tipica di aggressori con grave vulnerabilità narcisistica, che vivono la vittima come specchio minaccioso della propria inadeguatezza.
L’atto non è da considerare sadismo fine a sé stesso, ma una compensazione patologica: distruggendo simbolicamente la fonte dello sguardo, l’omicida tenta di cancellare la propria vergogna e il proprio senso di inferiorità.
Inoltre, secondo i modelli FBI, le ferite palpebrali:
1) potrebbero indicare punizione per ciò che è stato visto. In questo caso, la vittima viene punita poiché ha scoperto, ha compreso o avrebbe potuto rivelare “contenuti” percepiti dall’aggressore come minacciosi per la propria immagine o status.
Questa dinamica è ampiamente descritta da Robert K. Ressler, che associa le lesioni oculari a delitti in cui l’autore agisce per preservare un Sé fragile, evitare l’umiliazione, annullare una fonte di giudizio reale o immaginato.
2)Punizione per ciò che è stato negato. La seconda lettura, altrettanto solida, colloca la signature nella dinamica del rifiuto affettivo. Qui l’omicida punisce la vittima per:
-
non aver ricambiato,
-
non aver riconosciuto,
-
non aver concesso un legame emotivo che egli riteneva dovuto.
Le ferite sotto le palpebre diventano allora il simbolo di un “non mi hai visto”, un “non mi hai riconosciuto”, un “non mi hai amato”.
Secondo il modello di Brent E. Turvey, questa tipologia di signature è tipica di soggetti ossessivi, con confusione tra fantasia e realtà, che vivono relazioni idealizzate esclusivamente nella propria mente (vicinanza percepita).
Spostandoci oltre tali affascinanti analisi, che sono frutto di una scienza, il Profiling appunto, che non è banalità, né opinione personale, né un modo per “apparecchiare le cose” (cit.), quale potrebbe essere il profilo finale dell’aggressore?
Si potrebbe parlare di un soggetto organizzato sul piano cognitivo, ma con disregolazione emotiva; probabilmente con deficit narcisistico strutturale e un certo grado di ambivalenza affettiva Amore/Odio. Dominato dal bisogno di controllo assoluto sulla vittima.
Il delitto non è un’esplosione casuale, ma un atto finale di una sorta di “dramma a due”, reale o immaginario, in cui la povera vittima diventa il catalizzatore di una probabile patologia di personalità preesistente.
I modelli di riferimento considerati, in ogni caso, concordano sul fatto che l’omicidio rappresenta anche un “messaggio”. Tale messaggio parla di controllo, annientamento simbolico e terrore del giudizio.
Riferimenti per l’analisi:
Douglas, J. E., Burgess, A. W., Burgess, A. G., & Ressler, R. K. (2013). Crime Classification Manual: A Standard System for Investigating and Classifying Violent Crimes (3ª ed.). John Wiley & Sons.
Ressler, R. K., & Shachtman, T. (1992). Whoever Fights Monsters: My Twenty Years Tracking Serial Killers for the FBI. St. Martin’s Press.
Turvey, B. E. (2022). Criminal Profiling: An Introduction to Behavioral Evidence Analysis (5ª ed.). Academic Press. I
Canter, D. V. (1994). Criminal Shadows: Inside the Mind of the Serial Killer. HarperCollins.

































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