“In Giappone gli unici cittadini che non sono obbligati ad inchinarsi davanti all’imperatore sono gli insegnanti. Il motivo è che i giapponesi sostengono che senza insegnanti non ci possono essere imperatori“.
L’insegnante: uno dei lavori più nobili e difficili. Chi sceglie di “insegnare”, infatti, svolge un ruolo e ricopre mansioni che non si esprimono semplicemente con un trasferire informazioni o nozioni. Insegnare significa “tirar fuori”, educare, agevolare, motivare, comprendere. Un mestiere non semplice, anche perché il contesto scolastico-educativo si inserisce in un quadro più ampio e articolato: organizzazione scuola, società, famiglie. Affermare oggi che insegnare è stressante suona retorico. Eppure, in questo settore, si fa poco o forse nulla!
L’insegnamento appartiene alle “helping-professions” e il rischio potenziale di stress, conflittualità emotive e burnout è elevatissimo. L’insegnante è un mediatore di cultura, un valutatore, un esperto di programmazione didattica, un genitore alternativo e sostitutivo e di fatto, suo malgrado, si trova sovente a fare lo psicologo. Vivere tale pluralità del ruolo è intrinsecamente stressante e il coinvolgimento non è solo cognitivo, ma anche emotivo e motivazionale. Paradossalmente, è ovvio che, prima o poi, l’insegnante “bruci”!
Se da un lato lo stress va considerato una prima risposta di adattamento dell’organismo innanzi ad una minaccia, superare la fatidica “soglia” apre altri scenari …
La “sindrome del burnout” è stata coniata nei primi anni settanta da Freudenberger, uno psicoanalista che aveva notato come molti colleghi che lavoravano in un ambiente prima gratificante, progressivamente diventavano cinici, freddi con i loro pazienti e depressi. Continuando a studiare tale fenomenologia, presto scoprì che tali caratteristiche potevano essere riscontrate anche in altri ambienti lavorativi.
Si accorse, inoltre, che molte persone soffrivano anche di alterazioni dell’umore, disturbi del sonno e difficoltà di concentrazione. Mal di schiena e altri disturbi a livello gastrointestinale si aggiungevano a tale sintomatologia.
Il burnout divenne allora sindrome da esaurimento psicofisico causato dalla vita professionale. La sindrome ha una sorta di escalation e se vogliamo possono essere identificati ben 12 step che “scottano” e che di fatto, riguardano la vita di molte professionalità e in particolare degli insegnanti.
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Bisogno compulsivo di mettersi alla prova: inizia spesso con un eccesso di ambizione e un desiderio di affermarsi con colleghi e superiori ma anche con se stessi.
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Lavoro sempre più duro: si assumono impegni sempre più incombenti e la persona si percepisce come insostituibile.
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Disinteresse verso i propri bisogni: le normali esigenze di socializzazione o quelle più naturali e materiali (dormire, mangiare, stare in famiglia) passano in secondo piano.
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Spostamento del conflitto: la vittima intuisce che c’è qualcosa che non va ma non riesce ad identificare l’origine reale dei suoi problemi.
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Revisione critica dei valori: l’individuo, progressivamente, effettua una revisione di ciò che prima era importante per lui (amici, svago). Il lavoro diventa l’unica cosa rilevante.
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Negazione dei problemi emergenti: intolleranza, cinismo e aggressività emergono. I colleghi vengono ritenuti poco intelligenti e pigri. Le difficoltà avvertite vengono attribuite alle scadenze lavorative e alla mole di attività e non al cambiamento personale.
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Isolamento sociale: i contatti e le relazioni sociali si riducono. Il soggetto comincia a perdere speranze e si rifugia, sovente, nel consumo di alcool e droghe.
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Cambiamenti comportamentali: la vittima ora diventa paurosa, timida, apatica. Irriconoscibile davanti a familiari e amici. La propria stima svanisce.
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Depersonalizzazione: il soggetto perde il contatto con se stesso. Le cose e le persone cominciano a non avere valore.
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Vuoto interiore: il vuoto interiore prende sopravvento e la persona cerca, in tutti i modi, di sentirsi attivo in modo mal-adattativo (conforto nel cibo, uso droghe e alcool, …).
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Depressione: le persone diventano indifferenti, prive di energia e pervase da un senso di disperazione. Possono manifestarsi i sintomi della depressione. Nulla ormai ha più significato come un tempo.
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Sindrome del burnout: la persona crolla in senso fisico e mentale.
Una ricerca importante in tema di burnout (studio Getsemani) condotto intorno agli anni 2000 ha confrontato quattro macro-categorie di lavoratori dell’amministrazione pubblica: insegnanti, impiegati, personale sanitario, operatori.
I risultati illustrarono che gli insegnanti sono soggetti a una frequenza di patologie psichiatriche da collegare al burnout in misura doppia rispetto agli impiegati, due volte e mezzo rispetto al personale sanitario e tre volte rispetto agli operatori. Il burnout da insegnamento è, di fatto, una problematica riscontrata anche in altri Paesi e non è una “prerogativa” solo italiana.
Cosa fare allora?
Anzitutto, sarebbe importante valutare e controllare bene la diffusione della problematica su più fronti con professionisti del settore. Interventi in ambito scolastico rivolti esclusivamente agli insegnanti sono in realtà rarissimi o addirittura assenti. In un’ottica di prevenzione e benessere negli ambienti lavorativi, si potrebbero adottare anche semplici misure:
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Riequilibrare le risorse fisiche: mangiare cibi sani, rispettare le pause, praticare esercizio fisico, dormire a sufficienza.
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Praticare il rilassamento, soprattutto per chi è “intossicato” dal lavoro. Effettuare attività di svago piacevoli, preferibilmente in contatto con la natura.
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Equilibrio tra corpo e mente: tappa obbligata per stare bene, al pari di raggiungere un qualsiasi successo.
Secondo recenti indagini, circa l’80% degli insegnanti sarebbe stressato. In Inghilterra ogni docente ha a disposizione un medico di base e un professionista della salute psicologica a cui rivolgersi per problematiche professionali e personali. In Francia, il danno derivante da stress correlato alla professione è largamente riconosciuto. In Germania esistono le “stanze del conflitto”, ove i lavoratori si confrontano e si scontrano per rendere palesi i problemi, le difficoltà, le incomprensioni. E in Italia?
Le normative prevedono che il datore di lavoro introduca periodicamente misurazioni dello stress nell’ambiente lavorativo, proprio al fine di individuare fonti e livelli di stress psicologico.
È mio parere che le valutazioni vengano fatte superficialmente e “strategicamente”: nessun datore di lavoro vuole far sapere che l’ambiente lavorativo è stressante! Inoltre, finché gli obblighi vengono raggirati con strumenti, colloqui e questionari né validi né attendibili e utilizzati da personale non formato o tramite procedure on-line, ogni lamentela sul lavoro, sulle organizzazioni, sui lavoratori e sugli utenti, che siano studenti, clienti o semplici cittadini, appare vana.
E’ possibile prevenire lo stress e il burn-out negli insegnanti?
Occorrerebbe utilizzare alcuni accorgimenti e strategie operative e pragmatiche: “un grammo di prevenzione vale quanto mezzo chilo di cura” (Maslach). Gli interventi potrebbero essere condotti a più livelli: da quello individuale, a quello organizzativo sino a quello istituzionale.
Adottare cambiamenti del proprio stile di vita è la prima tappa, anche al fine di attuare una vera e propria “decompressione” (staccare la spina). La formazione su determinate tematiche dovrebbe essere obbligatoria (non solo in senso teorico). Oltre a conoscere i rischi, cosa si può fare in senso pratico? Gli attori in campo dovrebbero perciò essere coinvolti in modo attivo e non solo “sulla carta”.
Forse sottovalutiamo ancora lo stress in generale e sopravvalutiamo le nostre potenzialità. Lo stress, talune volte, è solo questione di tempo!
Un’organizzazione che si occupa e si preoccupa del benessere del proprio lavoratore è un’organizzazione intelligente, che investe strategicamente nelle politiche antistress. Non è un caso che una persona stressata renda solo al 20%. Cosa significa questo sul piano educativo e scolastico? E sul fronte sociale in generale?
Gli insegnanti non si limitano solo a insegnare! Sono spesso degli esempi, delle guide. Hanno una responsabilità che non è solo professionale, ma squisitamente personale, sociale, che riguarda il presente ma anche il futuro degli altri, degli studenti, delle loro speranze, convinzioni, illusioni e sogni. Il personale scolastico e in generale quello educativo in tutti gli istituti ed enti, in tutti i livelli, ha l’obbligo di stare e sentirsi bene! Gli esiti della scarsa attenzione a tali questioni sono ben visibili attraverso le cronache odierne …
Oggi, non è più una questione di “riflessione” o di “fare attenzione”. È obbligatorio intervenire strategicamente. Creare un ambiente lavorativo equilibrato e funzionale non deve essere solo una semplice preoccupazione o un mero obbligo legislativo. È un investimento in termini di successo, efficacia, soddisfazione, Qualità. È una questione di nuova Cultura e rappresenta, a mio avviso, la vera mission di ogni scuola, così come di ciascuna organizzazione pubblica e privata.
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