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4 elementi chiave in un corso di difesa personale efficace

4 elementi chiave in un corso di difesa personale efficace.


Da diversi anni svolgo il ruolo di Tecnico di Difesa Personale e conosco prevalentemente il Krav Maga. Mi occupo, soprattutto, di Psicologia della Difesa Personale, di Percezione del Rischio e Sicurezza e ricopro anche il ruolo di Referente Nazionale di Psicologia Criminale per IKMI. Sono formatore Uisp con master in preparazione atletica negli sport di combattimento. È inutile sottolineare che la mia professione però è quella di psicologo ed esperto di criminologia. Da diversi anni, partecipo a giornate formative in Italia e in Europa nell’ambito della difesa personale ma i miei interventi sono volti soprattutto a sottolineare alcune cose che pochi vi diranno durante il vostro bel corso di self defence …

1. La strada non è un ring, né un tatami, né una gabbia.

Non ci sono dubbi che praticare un’arte marziale o un qualsiasi sport di combattimento faccia bene al corpo e alla mente, fortifichi l’autostima, rinforzi il carattere … ma la difesa personale è altra cosa. Quando vi allenate in palestra il vostro assetto cognitivo, emotivo e motivazionale funziona in modalità “green”, di non allerta. Lo stress che subite durante un allenamento è controllato, nonché specifico e prevedibile (quasi sempre). Cadere su un parquet o sul tatami non equivale a cadere per strada. In palestra, il vostro cervello e la vostra mente sono ben “allenate”: conoscete l’ambiente, l’ istruttore, gli altri allievi. Sapete bene quali sono gli spazi e o gli ostacoli. Conoscete bene, anche se non magari consapevolmente, le vie di fuga e se dovete scappare all’improvviso, avrete già una certa familiarità e facilità a dirigervi verso l’uscita dalla vostra palestra.

2. Il vostro avversario non è una persona familiare ma uno sconosciuto.

La familiarità è un’arma a doppio taglio. Il vostro allenamento si verifica, frequentemente, con persone conosciute, anche amici o comunque persone che hanno molto in comune con voi. Questo, vi aiuta senza dubbio nella socializzazione e fa risparmiare molte “energie” al cervello che, di fatto, non deve sempre preoccuparsi di fare la “scansione” della persona e stabilire in quale categoria assegnarla. O almeno, se lo fate la prima volta, poi, non lo farete più e vi fiderete delle vostre impressioni. Inoltre, apparentemente, non ci sarebbe neanche la necessità di mettere in dubbio tale categorizzazione. Per strada, funziona diversamente. L’aggressore è spesso una persona sconosciuta, con il suo repertorio di atteggiamenti e comportamenti. Avrà poi, un livello di motivazione nell’aggredirvi differente da quella del vostro amico di corso! La non familiarità crea un certo livello di stress che, ovviamente, si aggiunge agli altri fattori, complicando notevolmente la situazione. Inoltre, per strada, l’aggressore può essere un criminale, una persona in stato di alterazione mentale, un membro di una banda o un vero professionista, …

3. Lo stress fisico di un allenamento intenso non equivale ad uno stress psicofisico dovuto ad un’aggressione.

La psicofisiologia durante il nostro allenamento, se pur intenso, non è simile a quella che si attiva durante un’aggressione reale per strada. Il battito cardiaco, in situazioni reali di stress acuto, può subire un’impennata tale da procurarvi alterazioni psicofisiche che non conoscete o che non avete mai provato. Le vostre reazioni davanti allo stress acuto reale potrebbero esserci sconosciute. Inoltre, la componente “paura” è fondamentale. In palestra, potrete vivere sicuramente un certo timore, una certa apprensione ma la paura e le reazioni ad essa costituiscono un “pianeta” differente!

4. Il fatto che siate cintura nera di qualche arte marziale non significa che saprete difendervi in caso di aggressione da strada.

Purtroppo, molti corsi di difesa personale, sono “gestiti” da persone/istruttori che non hanno un minimo di cognizione di fisiologia, psicologia, prevenzione. Inoltre, paventano una simil onnipotenza, rinforzata dalla loro cintura nera o dal massimo livello conseguito. Per strada, non serve essere cintura nera, né tanto meno essere degli esaltati! Molte situazioni, purtroppo, sono sfociate in tragedia, anche quando i malviventi incontravano professionisti di arti marziali. Non esistono corsi per super eroi!

La difesa personale non è uno sport ma una forma mentis! Occorre avere un mindset centrato sui concetti di rischio e sicurezza. La difesa personale è soprattutto prevenzione. Questo significa che un corso che insegni a difendersi, deve essere impostato, in primis, sull’analisi del comportamento umano in situazioni normali e in situazioni di stress. L’allenamento deve essere quanto più vicino a situazioni reali e occorrono tecniche che sono soprattutto psicologiche, legate all’osservazione, allo studio dell’ambiente, sino ai concetti di minaccia e percezione del rischio.

 

 

 

 

 

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Combat Stress

Il termine STRESS indica uno stato di tensione, ansia o preoccupazione che determina un malessere diffuso associato a conseguenze progressivamente negative per l’organismo e per lo stato emotivo del soggetto.

Lo stress può essere considerato anche come un rapporto complesso tra soggetto e ambiente. Notoriamente, sono 3 le fasi tipiche dello stress:

  1. Fase di allarme, in cui si mobilitano le risorse.
  2. Fase di resistenza, in cui si controlla lo stress.
  3. Fase di esaurimento, in cui vengono consumate le riserve.

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Conoscere e gestire lo stress è fondamentale anche in caso di Difesa Personale. Troppo stress riduce, in ogni caso, qualsiasi tipo di performance, così come bassi livelli di stress inducono una sorta di demotivazione. È necessario, quindi, un livello di stress ottimale.

Ai fini della prevenzione del rischio e della riduzione delle minacce, è auspicabile un repertorio comportamentale che ogni professionista ma anche ogni cittadino dovrebbe conoscere e implementare:

  • Assumere atteggiamento riservato.
  • Attuare una “scansione” dell’ambiente.
  • Consolidare il “diritto alla difesa”.
  • Ridurre gli atti impulsivi.
  • Eliminare progressivamente l’improvvisazione.

La mentalità difensiva ci permette di evitare situazioni oggettivamente rischiose. Le abitudini, le ripetizioni, la routine, rendono le persone facilmente identificabili, vulnerabili e prevedibili. Altri atteggiamenti da sviluppare sono:

  • Osservare e monitorare.
  • Gestire la sfera territoriale.
  • Conoscere rituali che aumentano o riducono l’aggressività.
  • Individuare le fonti di pericolo e le vie di fuga.
  • Gestire i segnali di eccitamento e sottomissione.
  • Creare diversivi.

Ogni professionista che si occupa di difesa personale o comunque di sicurezza e ogni persona che si avvicina a tali settori deve necessariamente conoscere quali possono essere le alterazioni percettive e cognitive sotto stress acuto. Si parla proprio di CSR, Combat Stress Reaction che comporta, di fatto, non subire passivamente, le reazioni fisiologiche ed emotive scatenate da stress e paura.

Gli studi di settore e l’analisi statistica, evidenziano l’insorgenza di alcune reazioni tipiche in caso di combattimento sotto stress:

  • Udito ridotto.
  • Tunnel vision.
  • Sensazione di pilota automatico.
  • Percezione del tempo rallentato.
  • Alterazioni della memoria.
  • Dissociazione.
  • Suoni amplificati.
  • Paralisi temporanea.

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Da un punto di vista fisiologico, è di notevole rilevanza considerare come l’alterazione di alcuni parametri fisiologici (es. bpm), inficia la performance generale del soggetto. Ad esempio:

80 bpm – frequenza normale.
115 bpm – deterioramento delle abilità motorie fini.
145 bpm – deterioramento delle abilità motorie complesse.
175 bpm – deterioramento dei processi cognitivi , vasocostrizione, perdita della visione periferica, effetto tunnel , perdita della percezione profondità/distanza , esclusione uditiva.
oltre i 175 bpm: – reazioni irrazionali di attacco e fuga , paralisi, perdita del controllo di svinteri/vescica , attività motorie grossolane.

Questi sintomi/effetti sono specifici dello stress da combattimento e non compaiono affatto in
altre forme di stress, come per esempio nel combattimento sportivo o nello sport intenso!

Un settore molto importante, sicuramente da approfondire in ottica prevenzione e sicurezza è la stenografia percettiva che trae origine da alcuni studi condotti dal FBI circa il modo in cui, alcuni operatori, subiscono aggressioni, anche gravi.

Il nostro cervello è bombardato da miliardi di stimoli e per “economia” abbiamo la necessità di categorizzare e schematizzare ogni cosa. Spesso, compiamo però degli errori, anche nel modo in cui elaboriamo certe informazioni.

Si è appurato, ad esempio, che almeno il 60% degli aggrediti non si è accorto che stava avvenendo un’aggressione. Di contro, la stragrande maggioranza degli aggressori sostenevano che erano convinti di cogliere alla sprovvista i malcapitati. Compiamo quindi, sovente, azioni ingenue che ci “predispongono” a diventare vittime.

Uno studio degli anni ‘90 mise in evidenza che il 75% di operatori di polizia, che avevano subito aggressioni e ferite anche mortali, erano a circa 10 piedi dall’aggressore. Si parla, infatti, di Killing zone. Quali percezioni o distorsioni li hanno portati nella Killing zone?

Una volta elaborata l’informazione di “non pericolo”, mente e corpo diventano  più lenti. Cambiare rotta diventa così più faticoso!

Il fenomeno della stenografia percettiva si verifica, ad esempio, quando incontriamo persone conosciute o note e con persone che sino a quel momento hanno dimostrato certi atteggiamenti classificati come “innocui”. È naturale ma comunque errato “abbassare la guardia”. In tali errori cadono spesso anche le forze di polizia. Occorre, quindi, conservare sempre un atteggiamento di allerta, anche nei confronti di soggetti noti, poiché il comportamento umano ha sempre una percentuale di imprevedibilità.
Il combattimento che si vince realmente però è sempre quello che si riesce ad evitare!

Security & Self Defense

SECURITY & SELF DEFENSE

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La Sicurezza può essere intesa in modo duplice come qualcosa di reale, tangibile ma anche come una sensazione. In realtà, si dovrebbe parlare soprattutto di percezione della sicurezza.

La sicurezza può essere associata alla probabilità che si verifichino determinati rischi in rapporto alle misure di protezione. La sicurezza, però, è legata anche e soprattutto alle reazioni psicologiche  e alla valutazione o stima del rischio. Inoltre, essa comporta una valutazione ponderata dei “guadagni e perdite” (trade-off).

Chiudere a chiave la nostra abitazione quando usciamo è un nostro trade-off, così come quando decidiamo di percorrere una certa strada. Continuamente, anche in modo inconsapevole, compiamo sempre trade-off.

Analogamente, compiamo degli errori quando esageriamo  alcuni rischi e ne minimizziamo altri.

La percezione del rischio è un processo cognitivo coinvolto in diverse attività quotidiane e orienta, di fatto, i nostri comportamenti. A volte, temiamo situazioni che non sono rischiose o non temiamo situazioni che invece lo sono. Tale discrepanza dipende:

  • dal controllo: quanto controllo è possibile esercitare sugli eventi che determinano un rischio/pericolo;
  • da quanto volontariamente la persona ha deciso di affrontare una situazione rischiosa/pericolosa;
  • da quanto gravi sono le possibili conseguenze.

Valutare e reagire adeguatamente davanti ad un rischio è un’attività fondamentale. Esiste una struttura cerebrale, l’amigdala, situata nel lobo temporale mediano, che è deputata a questo. È responsabile di processare le emozioni di base che vengono da input sensoriali come la rabbia, la fuga, la paura, l’atteggiamento difensivo.

È una parte del cervello molto antica e produce adrenalina e altri ormoni che attivano la risposta “combatti o scappa”.

L’essere umano è dotato anche della corteccia cerebrale che interviene facendoci ragionare e valutare le varie situazioni. Siamo dotati, dunque, di un sistema primitivo ed intuitivo e di uno avanzato e analitico.

Nella vita di tutti i giorni, sovente, ci affidiamo a delle “scorciatoie”, definite euristiche, che influenzano, di fatto, il modo in cui interpretiamo i rischi.

  • Siamo portati a credere che noi faremmo meglio di quanto hanno fatto gli altri nella stessa situazione (pregiudizio dell’ottimismo).
  • Valutazione automatica sulla base del coinvolgimento emotivo (euristica del coinvolgimento).
  • Tendiamo, sovente, ad essere influenzati dai numeri (euristica della probabilità).
  • La disponibilità delle informazioni che abbiamo in memoria ha maggior peso di quelle che non ricordiamo subito o cognitivamente più complesse (euristica della disponibilità).
  • Attribuiamo la probabilità che un certo evento appartenga ad una classe in base al livello di  rappresentatività (rappresentatività).

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Ripensare alla sicurezza come una vera sensazione soggettiva diventa di strategica rilevanza.

L’aggressione è un atto attraverso il quale chi aggredisce arreca offesa verso uno o più soggetti (vittima/e). Lo scopo è ledere, offendere, distruggere o comunque superare un ostacolo.

Sorvolando sulle diverse definizioni e teorizzazioni che negli anni si sono succedute, l’aggressività è insita nella natura ed è fondamentale per la sopravvivenza. In ogni caso, è sempre frutto di interazione tra più fattori (biologici, psicologici, sociali).

L’aggressione ha generalmente due componenti principali:

  1. L’innesco, un qualsiasi diverbio che tende a trasformarsi con rapidità.
  2. L’escalation, conflitto che genera una crisi.

In termini dinamici, invece, possiamo parlare di:

  1. Fase di crisi: evento inusuale con accezione negativa.
  2. Fase di reazione: attivazione di meccanismi di difesa.

Sarebbe auspicabile esercitare sempre e comunque un self control, ovvero un repertorio metodologico e operativo che consente di mantenere la razionalità e la valutazione oggettiva della situazione.

Quando si parla di aggressioni, possiamo, al contempo, fare una differenziazione su base statistica:

  • Aggressioni da parte di malviventi abituali.
  • Aggressioni da parte di teppisti/vandali.
  • Aggressioni conseguenti a liti.
  • Aggressioni da parte di soggetti in stato di alterazione mentale.
  • Aggressioni dovute ad altri scopi.

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È auspicabile, comunque, valutare sempre le situazioni di estrema pericolosità, così come considerare il caso di una persona sotto influenza di sostanze stupefacenti. In tal caso, ad esempio, dovremmo anche tener conto delle alterazioni della soglia del dolore, della mancanza eventuale di equilibrio e delle evidenti difficoltà nell’eventuale  dialogo. Andrebbe quindi effettuato un vero scanning della persona e della situazione.

In ottica di prevenzione, è importante approfondire anche quel settore di studi conosciuto come vittimologia. È una disciplina che studia la sfera bio-psico-sociale di una data vittima ma anche il rapporto tra essa e l’aggressore, così come l’ambiente e il quadro fenomenologico di un determinato reato/crimine.

La vittimologia si occupa anche delle conseguenze psicofisiche dei diversi reati e crimini e di come questi siano percepiti, subiti e vissuti dalla vittima. Possiamo, pertanto, specificare la seguente utile  classificazione:

  • Vittima elettiva o ad alto rischio: es. bambini, anziani, donne, …
  • Vittima vulnerabile: es. persone che per svariate ragioni, anche legate alla residenza o ad aspetti socio-ambientali, conducono una vita più esposta al rischio.
  • Vittima appetibile: es. una persona benestante.
  • Vittima precipitate: es. una persona che interviene per sedare una rissa e diventa bersaglio sostitutivo.
  • Vittima casuale: vittima dovuta al caso fortuito.

Il senso della percezione della sicurezza è legato sicuramente anche al contesto e all’ambiente esterno e quindi ai differenti scenari in cui possiamo trovarci ma anche al nostro senso di efficacia che può cambiare, in primis, con la conoscenza e poi, acquisendo, progressivamente, una formae mentis differente, più consapevole e proattiva.

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