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Neuroni allo Specchio - Dottor Mirco Turco

“Neuroni allo specchio”. Tra nuovi apprendimenti e tecnoconvinzioni.

Neuroni allo specchio”. Tra nuovi apprendimenti e tecnoconvinzioni.

Un mio intervento al “Montessori Day” svolto nel 2016, con la presenza di diversi esperti, tra cui l’Ing. M. Valle, scienziato computazionale. Nel seguente articolo si riportano alcune riflessioni in seno alla metodologia montessoriana, parallelamente a precisazioni e scoperte psicologiche e neuroscientifiche, anche alla luce dell’apprendimento del bambino e delle nuove tecnologie.

Percepire, pensare, sperimentare, sentire, agire, sono azioni che lasciano delle tracce mnemoniche. Probabilmente, senza le memorie, non saremmo quelli che siamo! Il cervello si modifica attraverso l’uso e affermerei, di conseguenza, che conviene sempre “usarlo bene”!

Oggi, la scuola odierna, dovrebbe forse interiorizzare meglio la sensata convinzione che gli studenti devono imparare a pensare da soli, acquisendo ciò che serve dalle fonti, ponendo domande critiche, valutando, esaminando, disponendo i pezzo di un puzzle per formare immagini coerenti. La stessa Montessori affermava: “Il piccolo rivela se stesso solo quando è lasciato libero di esprimersi”. Lo strumento più evoluto, a mio avviso, rimane sempre e comunque il Gioco.

Chi impara a fare il giocoliere registrerà un ampliamento delle aree del cervello responsabili dell’elaborazione del movimento visivo, così chi impara a suonare la chitarra, il violino, … mostra un aumento di volume della regione cerebrale che comanda le dita della mano.

Il gioco è un lavoro serio direi! Nel gioco i bambini sono attivi, ma lo sono anche in tutta una serie di mansioni quotidiane che essi fanno con gioia, per il piacere dell’attività e dei movimenti che comportano … Muoversi è fondamentale per l’essere umano e quindi per qualsiasi tipo di apprendimento. Tra l’altro, è l’unica cosa che ci conviene fare quando ci sentiamo depressi …

Il nostro cervello è l’organo più complesso ma anche il più dinamico. Si modifica in base all’utilizzo e se non viene utilizzato, l’hardware neuronale viene smantellato. I neuroni sono quindi come i muscoli. Con l’allenamento, infatti, l’encefalo non aumenta nel complesso ma si implementano le elaborazioni attraverso gli impulsi elettrici. In fondo, stiamo parlando di cento miliardi di cellule nervose, ciascuna con circa diecimila legami con le altre cellule nervose. Un milione di miliardo (10 alla 15) di sinapsi!

Queste sinapsi mutano in continuazione a seconda che vengano utilizzate o meno (si atrofizzano fino a morire quando rimangono inutilizzate).

Nella scuola moderna, così come nella vita direi, è importante esercitare il problem solving e parallelamente la tolleranza alla frustrazione per il raggiungimento di un obiettivo. Sperimentare e sperimentarsi con la frustrazione è dunque fondamentale.

Ciò che ci caratterizza non è l’involucro fisico, bensì la nostra vita, le nostre esperienze e tutto ciò si trova all’interno del cervello. Gottried Wilhelm Leibniz lo sapeva già. (Matematico e filosofo tedesco che oltre trecento anni fa ideò il calcolo integrale, procedimento per sommare quantità infinitesimali). Nello stesso modo disse che nel cervello avvengono tantissime cose che hanno effetti visibili, senza che noi ne abbiamo coscienza. La somma di tutto rappresenta la nostra persona!

La Montessori definisce il bambino come un embrione spirituale” nel quale lo sviluppo psichico si associa allo sviluppo biologico. Nello sviluppo psichico sono presenti dei periodi sensitivi, definiti “nebule”, cioè periodi specifici in cui si sviluppano particolari capacità. Se da 0 a 3 anni il bambino ha una mente assorbente, la sua intelligenza opera inconsciamente assorbendo ogni dato ambientale ed è proprio in questa fase che si formano le strutture essenziali della personalità; dai 3 a 6 anni inizia invece l’educazione prescolastica. Alla mente assorbente si associa la mente cosciente. Il bambino sembra ora avere la necessità di organizzare logicamente i contenuti mentali assorbiti.

Esperienze, emozioni, riflessioni, azioni lasciano dunque tracce mnemoniche. Gli impulsi elettrici trasmessi dalle sinapsi modificano le sinapsi stesse rendendole più efficienti. Su un lungo periodo si creano dei veri e propri percorsi. Questi percorsi sono tracce strutturali e rappresentano ciò che chiamiamo neuroplasticità o più semplicemente apprendimento.

Chi sperimenta, prova, rielabora, possiede molte tracce nel cervello che gli permettono di orientarsi nel mondo e di agire in maniera efficace. È noto che quando i ratti hanno la possibilità di muoversi con maggiore frequenza, sviluppano un maggior numero di cellule nervose …

È importante allora essere impegnati in compiti via, via, più complessi, che richiedano valutazione, decisione, azione, confronto con gli altri.

In ambito apprendimento fa riflettere il così denominato “effetto Zeigarnik o Cliffhanger”: le azioni che non vengono portate a termine vengono ricordate in media due volte meglio rispetto a quelle concluse!

Parallelamente, le domande aperte e quindi non condizionate sono il modo migliore per stimolare lo sviluppo linguistico di un bambino, perché favoriscono la rielaborazione dei contenuti nella sua mente. Di conseguenza è la volontà riproduttiva a causare l’imprinting, in misura maggiore di fronte a compiti irrisolti. Il pensante impara in maniera più durevole! Lo sforzo attivo ma inutile di ricordare un vocabolo favorisce la memorizzazione del vocabolo molto meglio di una lettura ripetuta. Martin Heiddegger, filoso tedesco, già sosteneva “Un tentativo mancato è più utile per la memorizzazione rispetto al semplice ripasso”.

Le neuroscienze ci aiutano, inoltre, a comprendere anche quella che chiamerei rimozione intenzionale. Gli studenti ai quali veniva detto che non avevano più bisogno di determinati argomenti per l’esame successivo, in seguito, non erano in grado più di ricordarli con precisione! L’apprendimento non si conclude quindi con “FATTO!” e la tecnologia ci permette solo apparentemente di rimediare (quando vogliamo possiamo recuperare gli sforzi fatti, le notizie, i dati archiviati tra le «nuvole»).

La disponibilità immediata del dato o dell’informazione, infatti, non sollecita i nostri processi cognitivi (ad esempio la memorizzazione) perché sappiamo di poter ritrovare tutto (forse!). Si riducono perciò le possibilità di un lavoro indipendente e, di fatto, abbiamo un minor controllo su noi stessi e sull’attività mentale.

L’apprendimento deve essere realizzato con cuore, mente e mano (J.H. Pestalozzi- 1746-1827) … la scuola in cui esistono oggetti reali di un mondo reale … Un terzo della nostra corteccia cerebrale serve alla vista e un altro terzo alla pianificazione e all’esecuzione motoria.

Le aree sensoriali di base istruiscono quelle più complesse, così le aree motorie semplici insegnano a quelle più complesse. Nei bambini l’apprendimento si basa non soltanto sulla sensorialità delle esperienze del mondo ma anche sul rapporto con l’ambiente esterno. Ripetizione, movimento, stimolazione multisensoriale sono il fondamento per lo sviluppo del linguaggio e del pensiero.

Il punto di partenza è che ciascuno di noi si porta dietro, fin dalla nascita, il proprio corpo e lo usa per conquistare il mondo. Le esperienze fisiche (caldo, freddo, grande, piccolo, alto, basso, …) svolgono un ruolo decisivo poiché sono trasferibili in altri ambienti.

Rilevante appare il concetto di “embodiment”, ovvero personificazione dei processi cognitivi: è come dire che il corpo è coinvolto direttamente nella creazione delle tracce nelle regioni più semplici della corteccia cerebrale e che qualsiasi competenza mentale superiore possa realizzarsi nelle zone cerebrali corrispondenti solo passando attraverso queste tracce.

Ma come avvengono gli apprendimenti? E le decisioni? Cosa significa decidere razionalmente? E il cervello emotivo? Riporto un esempio suggestivo.

È estate, passate davanti ad una gelateria e siete attratti da una coppa di gelato. Siete tuttavia consapevoli della vostra pancetta o del livello di colesterolo alto e resistete alla tentazione. Ciò significa che non fate quello che fareste spontaneamente. All’improvviso, incontrate un’amica che vi invita a prendere un gelato … Bhè, in fondo, i contatti sociali sono molto più importanti della nostra forma fisica e quindi accettate l’invito, gustandovi il gelato. Se vi sembra di aver preso una decisione semplice e automatica, sappiate che in pochi istanti avete affrontato una serie di questioni:

1. Ho ben presente un traguardo a lungo termine (memoria di lavoro).

2. Preferisco rinunciare a qualcosa che farei volentieri adesso (inibizione).

3. Sono flessibile e posso modificare le regole quando ha senso farlo (flessibilità).

Il «no» a stimoli interni ed esterni, flessibile e pianificato, deve essere mantenuto attivo nel lobo frontale, affinché non venga sostituito dall’automatismo. Quando il lobo frontale non funziona bene (siamo ubriachi, stanchi …) è assai probabile che il nostro autocontrollo non funzioni.

Imparare a volere è come imparare a parlare! L’ascolto della lingua parlata e contemporaneamente la visione di un volto, i contatti fisici, l’odore della madre o del padre, si fissano sui centri del linguaggio in via di sviluppo e vi lasciano delle tracce. Al resto, ci pensa il cervello!

I centri del linguaggio biologicamente fissati nel cervello si formano e diventano quello che saranno nell’individuo adulto attraverso i processi di apprendimento. Tutti apprendono la lingua madre senza apparente fatica … è come camminare. Nessuno ha bisogno di essere motivato per imparare a camminare o a parlare! Nessuno ha mai detto, mentre imparava a camminare … basta, ci rinuncio!

Anche le conversazioni sono interessanti perché un bambino possa dire … lascio perdere! Questo è chiaro così come chiaro dovrebbe essere che NON si impara l’autodisciplina!

Controllati, datti una regolata … sono esortazioni che per l’apprendimento dell’autocontrollo hanno la stessa efficacia che «adesso di qualcosa»!

Il bambino, per sua natura, è serio, disciplinato e amante dell’ordine. Per imparare davvero qualcosa, camminare, parlare, volere, … bisogna farlo da sé! Lo sviluppo dell’autocontrollo è legato alle esperienze e ad attività svolte in comune, quotidianamente.

Per sopravvivere i cacciatori e raccoglitori dovevano procedere con attività controllate e pianificate. Oggi, accade che: Chi ha fame apre il frigorifero! Chi ha freddo alza il riscaldamento! Chi non sa qualcosa … consulta Google!

Per lo sviluppo neurobiologico la scuola ricopre un ruolo fondamentale. È un esempio di allenamento formidabile del lobo frontale! E la competenza mentale che viene sollecitata non è tanto il linguaggio o il contare ma la Forza di Volontà. La costruzione pianificata, le attività in comune servono ad esercitare tale autocontrollo.

L’autocontrollo nell’infanzia e nell’adolescenza può essere addestrato in maniera efficace se a scuola si creano situazioni e contesti adeguati. Ciò può funzionare, ovviamente, se il bambino è interessato. Posso portare a termine in maniera controllata un’attività e mostrare con orgoglio quanto ottenuto? Ciò serve a diventare costanti! Tutto deve scaturire dall’interesse spontaneo del bambino, sviluppando così un processo di autoeducazione e di autocontrollo.

Nel 1989 veniva pubblicato sulla rivista Science un esperimento molto interessante (marshmallow test).

I bambini venivano posti davanti alla scelta di mangiare subito un dolcetto o aspettare per gustarne due. L’attesa veniva quindi ricompensata ma questo, per i bambini, è molto difficile. La maggior parte dei bambini non resisteva più di 3 minuti. Solo il 30% riusciva a rimandare il piacere!

I bambini che erano stati in grado di «trattenersi» erano però quelli che, a distanza di diversi anni, ottenevano maggiori successi a scuola, all’università e al lavoro. Altri studi dimostrarono che erano migliori anche le condizioni economiche e di salute!

Un topo in gabbia riceve di tanto in tanto una lieve scossa elettrica attraverso una griglia metallica sul pavimento. La scossa gli provoca dolore e il topo cerca di evitarla. Può farlo, perché nella gabbia è inserita una lampadina che si accende prima della scossa. Nella gabbia si trova anche un tasto che il topo deve schiacciare appena si accende la lampadina. Quando lo fa non riceve la scossa. Ogni tanto il topo sarà lento e allora sentirà la scossa. Il medesimo apparecchio è collegato a un’altra gabbia in una stanza vicina. Anche qui c’è un topo. Tutte le volte che il topo 1 riceve una scossa anche il topo 2 la riceve. Per il resto il topo 2 non può fare nulla. Quale topo sarà colpito da stress?

Non sono le situazioni spiacevoli a provocare stress quanto la sensazione di esservi esposti senza poter intervenire. Quando sappiamo di non avere nessuna possibilità di intervento e controllo, si scatena uno stato di stress cronico.

I disturbi dell’attenzione sarebbero l’esatto contrario dell’autocontrollo. La passività di fronte ad uno schermo è un vero allenamento ai disturbi dell’attenzione. Un ulteriore studio interessante, pubblicato in Pediatrics 2011, mise in evidenza i risultati derivanti da tre attività differenti in cui i bambini venivano coinvolti: visione di un cartone animato moderno, visione di un documentario, essere impegnato in un disegno. I bambini eseguirono poi i seguenti test:

1. torre di Hanoi (memoria di lavoro).

2. test testa-spalla-ginocchio-piede, per inibire il comportamento automatico.

3. versione del marshmallow test per il differimento della ricompensa.

4. ripetere una conta al contrario (memoria di lavoro).

Di seguito, il grafico rappresentativo dei risultati ottenuti.

grafico disturbi dell’attenzione

Qual’ è oggi il ruolo dei media digitali? Come incidono sugli apprendimenti? I media digitali limiterebbero la profondità di elaborazione. Più è il livello di concentrazione, più facile sarà ricordare. Un’attivazione maggiore implica, infatti, elaborazione più intensa (più impulsi vengono trasmessi da più sinapsi) e apprendimento migliore.

Più mi occupo superficialmente di un contenuto meno sinapsi si attivano e … meno imparo! I testi dovrebbero essere letti e non sfogliati velocemente!

Non è possibile comunicare molto in un tweet o in un commento su internet, sempre che non desideriamo essere superficiali (Noam Chomsky, celebre linguista). Selezionare una lettera e trascinarla da un posto ad un altro (touchscreen) è di fatto un’azione superficiale. Leggere la parola e trascriverla rappresenta un percorso di approfondimento maggiore.

Nel 1913 Thomas Edison scrisse: «entro breve tempo i libri saranno obsoleti nelle scuole …». Apprendere esclusivamente tramite computer però NON FUNZIONA!

L’utilizzo di un pc a casa per bambini piccoli porta ad un peggioramento delle prestazioni scolastiche ed è un fenomeno che riguarda sia il calcolo che la lettura. Simili risultati con l’uso di internet a scuola. Inoltre, si registrano maggiormente disturbi dell’attenzione e del linguaggio e isolamento sociale.

I bambini con accesso ai portatili non ottengono risultati migliori nei test rispetto a studenti senza computer (indagini longitudinali), inoltre, sono esposti a maggiori rischi!

Nella Corea del Sud, già nel 2010 il 12% degli studenti delle scuole elementari aveva sviluppato una dipendenza da Internet e non è un caso che il concetto di Demenza Digitale venga da tale paese.

Il pc evita agli studenti buona parte del lavoro mentale ed esercita un effetto negativo sull’apprendimento. Quando si dichiara che a scuola si studia meglio grazie ai media digitali, non bisogna dimenticare che non esistono dimostrazioni di questa tesi (ad oggi). Al contrario, sono disponibili studi che dimostrano l’opposto.

In Israele dopo l’introduzione dei computer nelle scuole, si registrò un abbassamento del rendimento in matematica negli alunni di 4 elementare e ulteriori effetti negativi in altre materie negli allievi delle classi superiori … Un ulteriore studio condotta da portoghesi e americano che coinvolse circa 900 scuole, dimostrò che gli alunni di 3 media avevano un peggioramento del rendimento scolastico proporzionale all’uso di internet.

«… a noi piaceva guardarli, perché per un’ora non dovevamo pensare … agli insegnanti piacevano, perché per un’ora non dovevano fare lezione e anche ai genitori piacevano, perché dimostravano che i figli frequentavano una scuola all’avanguardia … però non imparavano niente!»

(Clifford Stoll, Silicom Snake Oil, 1995).

«Un ciclo comincia con grandi promesse da parte della tecnologia … si cominciano ad utilizzare i mezzi ma poi … non si registra un vero miglioramento … poi inizia il discorso sulla mancanza di fondi e le lungaggini burocratiche … e arriva la colpa della tecnologia e la scuola si affida ad una nuova generazione di apparecchiature e … inizia un nuovo ciclo».

(Larry Cuban, professore a Stanford).

I media elettronici hanno un influsso negativo sul nostro pensiero e sulla nostra memoria” (rivista Science, Harvard University).

Se ampliamo il nostro discorso, considerando anche i moderni strumenti di socializzazione (Social Network), dobbiamo anche sapere che l’uso frequente di essi riduce sensibilmente la capacità di instaurare relazioni sociali reali (Stanford University, ricerca condotta su 3461 ragazzi tra i 8-12 anni). Produrrebbero, quindi, anche solitudine e infelicità!

Le competenze sociali, l’empatia, il corretto agire sociale, sono frutto di determinate zone del cervello che aumentano di volume grazie all’attività sociale, cioè quando vengono stimolati i centri cerebrali corrispondenti. Esisterebbe un rapporto diretto tra ampiezza del gruppo e volume cerebrale nella corteccia temporale e in alcune zone della corteccia prefrontale (Oxford University).

L’utilizzo dei social riduce quindi i contatti reali. Ma non solo. Influisce sulla capacità di autoregolazione, implementa la solitudine, la depressione, provocando morte neuronale. L’ utilizzo frequente causa problemi di sonno, diabete, aumento di peso.

In quali altri modi le moderne neuroscienze possono aiutarci alla comprensione dei meccanismi di apprendimento? Una scoperta rilevante su tale fronte è senza dubbio quella dei neuroni specchio.

I neuroni specchio, scoperti da un gruppo di ricercatori dell’Università di Parma, inizialmente nei macachi e successivamente negli esseri umani, sono una classe di neuroni specifici che si attivano sia quando si compie un’azione sia quando la si osserva mentre è compiuta da altri. I neuroni di chi osserva “rispecchiano” il comportamento osservato come se a compiere l’azione fosse l’osservatore stesso, che sente, percepisce e si attribuisce gli stessi sentimenti e vissuti di chi compie in prima persona l’azione.

La scoperta dei neuroni specchio consente di capire come percepiamo e comprendiamo gli altri, invitando a nuove riflessioni in ambito pedagogico. I risultati della ricerca delle neuroscienze cognitive invitano, infatti, a comprendere come queste conoscenze possano e debbano influenzare anche ciò che pensiamo sia necessario insegnare, in particolare nella prima infanzia e soprattutto come farlo. La scoperta dei neuroni specchio invita a una possibile ridefinizione del processo insegnamento-apprendimento, in quanto sottolinea la rilevanza nello sviluppo e acquisizione del sapere dell’esperienza pratica, in particolare di quella motoria e rimanda ad un concetto di intelligenza profondamente attinente all’interazione e all’apprendimento per imitazione.

Perfino la comprensione semantica del linguaggio è mediata da meccanismi di simulazione, che vedono alla base del funzionamento del linguaggio il coinvolgimento del sistema motorio: i ricercatori sostengono che alcuni dei concetti normalmente utilizzati nel linguaggio e nel pensiero hanno probabilmente radici senso-motorie.

Il meccanismo di funzionamento dei neuroni specchio fornisce una chiave di lettura essenziale, biologicamente fondata, delle basi della reciprocità nella relazione con gli altri. Inoltre il meccanismo specchio ha un ruolo essenziale nella comprensione di come si costruisce l’identità sociale.

Ampliando il campo d’indagine agli uomini, il gruppo di ricercatori di Parma ha dichiarato che la comprensione delle caratteristiche di attivazione diretta di questa classe di neuroni determina per gli individui uno spazio d’azione condiviso, che origina forme di interazione sempre più elaborate. La capacità di alcune parti del cervello umano di attivarsi alla percezione delle emozioni altrui espresse attraverso il volto, i gesti, i suoni e, la capacità di codificare istantaneamente questa percezioni in termini motori, rende ogni individuo in grado di agire in base a un meccanismo neurale atto ad ottenere quella che i ricercatori chiamano “partecipazione empatica”.

Inoltre, studiando sperimentalmente il meccanismo di base della comprensione delle azioni e delle emozioni, si è potuto constatare che le emozioni primarie osservate negli altri suscitano anche nell’osservatore la manifestazione “a specchio” delle stesse emozioni. Insomma, quando osserviamo un nostro simile che manifesta dolore, disgusto, piacere, gioia, paura o sorpresa in noi stessi si attiva lo stesso substrato neurale collegato alla percezione diretta della stessa emozione.

La “simulazione incarnata” è il meccanismo con cui il nostro cervello si mette in relazione con gli altri … per capire ciò che fanno o percepiscono gli altri, lo simuliamo dentro di noi! (… come se …).

Sembra sorprendente che anche l’osservazione del quadro seguente, attivi le aree motorie che presiedono ai gesti della nostra mano.

20th Century Italian Sale  Sotheby's London - 15 October, 2007  Lucio Fontana (1899-1968)  Concetto Spaziale, Attese  signed, titled and inscribed Questo quadro a sette tagli... on the reverse  waterpaint on canvas  Executed in 1968.  Estimate: £700,000 - £1,000,000

Lucio Fontana (1899-1968) pittore, ceramista, scultore italiano, argentino di nascita, fondatore del movimento spazialista.

Il senso del Sé è legato all’attività del sistema motorio e di quello limbico-emozionale, in particolare con le corteccia insulare, una zona del lobo frontale. Lo studio della mente, pertanto, non può prescindere lo studio del corpo e dell’ambiente. Non dimentichiamo, inoltre, che viviamo con gli altri! Ma siamo realmente in grado di attribuire pensieri, emozioni, motivazioni, opinioni, desideri, …?

“Io penso che tu pensi”. Sappiamo comprendere le intenzione altrui e a reagire di conseguenza grazie ad una abilità cognitiva chiamata Teoria della Mente (attribuiamo cioè pensieri, emozioni, motivazioni, opinioni, desideri, …). Tale teoria ci consente di andare al di là del significato letterale delle parole e di capire, ad esempio, l’ironia, la metafora, i sottintesi, l’umorismo, … e ci fa decodificare il Linguaggio Non Verbale (mimica, pantomimica, prossemica, cronemica, …) ovvero anche intenzioni che vorremmo restassero nascoste!

Le Vitality Forms rappresentano, in sostanza, l’espressione dinamica e osservabile del nostro stato interno.

Ogni componente del movimento (azione) ha un suo tempo, una forza, uno spazio e una direzione … osservando ciò, l’osservatore capisce lo stato mentale di chi la compie. (Quando viene compiuta un’azione si attiva un apposito circuito neurale, denominato somatosensoriale-insulare-limbico).

Di fatto, siamo molto più complessi di quello che pensiamo!

Già a 4 anni, comunque, sviluppiamo particolari abilità. «Io so che pensi qualcosa, perciò posso fare anche in modo di farti pensare un’altra cosa». In questo periodo, infatti, i bambini cominciano a essere consapevoli che anche gli altri hanno una mente. Tale consapevolezza continua sino all’adolescenza, per poi affinarsi. La presenza di fratelli o la possibilità di effettuare attività in comune con altri di età differente favorirebbe tale abilità.

Tutti i bambini, afferma Montessori, utilizzano comunemente e spontaneamente i sensi come organizzatori cognitivi ma è compito della scuola, attraverso opportuni strumenti scientificamente testati, facilitare, promuovere e ottimizzare tali processi auto-costruttivi: “(…) a questo punto, comincia il processo di autoeducazione. Lo scopo non è esteriore; sarebbe a dire, non è che il bambino impari a mettere a posto i cilindri e che egli impari ad eseguire un esercizio. Lo scopo (…) è  che il bambino si eserciti ad osservare; che gli sia permesso di fare confronti fra gli oggetti, formare giudizi, ragionare, decidere; ed è nell’indefinita ripetizione di questo esercizio di attenzione e di intelligenza, che si compie il vero sviluppo”. (Montessori 1921, 1970, p. 58)

All’immagine tradizionale del bambino che è tutto gioco e immaginazione, si va sostituendo sotto i suoi occhi l’idea di un bambino concentrato, disciplinato, calmo, severamente impegnato nel suo lavoro … e questo grazie anche all’Educazione Multisensoriale.

Diremmo, diversamente, Learning by Doing, espressione diffusissima nella moderna pedagogia ma anche nella neurobiologia, sino alla robotica.

Secondo uno studio americano, pubblicato sulla rivista “Science” e realizzato dalle ricercatrici dell’università della Virginia, Angeline Lillard e Nicole Else-Quest, gli alunni delle scuole che seguono i precetti della studiosa Maria Montessori «hanno una marcia in più … Sono più preparati, più creativi e hanno un maggiore senso di correttezza e di giustizia”.

Sulla base dell’analisi svolta, le ricercatrici considerano il metodo Montessori in grado di favorire abilità teorico e comportamentali superiori rispetto ai programmi applicati nelle altre scuole. In generale, dalla fine dell’asilo fino ai dodici anni, tutti i montessoriani presi in esame hanno dimostrato maggiore abilità sia nelle prove logico-matematiche sia negli esercizi di reading. Il tutto associato a una maggiore positività e creatività nell’affrontare i problemi pratici. In particolare si sono mostrati maggiormente preoccupati e predisposti a mettere in pratica sentimenti di giustizia e correttezza.

È certificabile che un gran numero di nuovi imprenditori escono dall’esperienza degli studi sul metodo Montessori, grazie al quale hanno imparato a isolare e a dar seguito al filo della propria curiosità, fino a farne un’efficiente creatività. Per parafrasare il famoso slogan Apple, questa è gente che non solo ha imparato presto a pensare in modo diverso, ma ha anche capito come agire in modo differente …

(Jeffry Dyer della Brigham Young University, Utah, e Hal Gregersen della Business School Insead)”.

Il nostro cervello è stato assemblato durante l’infanzia da una combinazione di geni e ambiente. I geni hanno disposto che fosse un cervello umano … poi, attraverso le esperienze con il mondo, le connessioni sinaptiche si sono perfezionate, differenziandoci ulteriormente da chiunque altro. Le connessioni sinaptiche sono riorganizzate nell’attività neurale indotta dall’ambiente in specifici sistemi neuronali. Quando questi cambiamenti si verificano durante le prime fasi dell’esistenza, si ipotizza l’interessamento di una plasticità evolutiva; quando intervengono successivamente, sono considerati in termini di apprendimento. Forse, il confine, tra plasticità e apprendimento è sottile o forse inesistente …

Tramite neuroni specchio, i comportamenti, le reazione e le emozioni degli altri penetrano nel nostro sistema nervoso senza decisioni o scelte consce a fare da filtro. Essi fanno parte dei meccanismi attraverso i quali assorbiamo le azioni e l’energia di altre persone nell’ambiente chi ci circonda.

Esiste una “mente di campo” ed esiste un campo energetico umano (diversi studi hanno dimostrato, ad esempio, che i neuroni cambiano le loro proprietà di attivazione subendo l’influenza di campi magnetici).

Anche il cuore è un potente generatore di energia elettromagnetica e il campo elettrico del cuore è circa sessanta volte maggiore in ampiezza rispetto all’attività elettrica del cervello. Inoltre, il campo magnetico prodotto dal cuore ha un’intensità più di cinquemila volte maggiore di quello generato dal cervello. Tale campo abbraccia ogni cellula ma si estende oltre (Risonanza Morfica).

Forse, i moderni apprendimenti dovrebbero tener conto anche di tali intrecci e delle “relazioni segrete” tra cervello e cuore ma questa sarà la nostra personale sfida nell’immediato futuro!

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