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BENESSERE FELICE

Che bella parola il Benessere! Peccato che in pochi conoscano realmente il significato e che un numero ancora più ridotto riesca a praticarlo. Nella mia vita professionale ho cercato sempre e comunque il modo più semplice e pragmatico di avvicinare l’uomo alla serenità, alla tranquillità psicofisica e dunque proprio al benessere. Oltre alla mia attività privata, in cui le persone comunicano sempre e comunque un grande bisogno di Serenità ed Equilibrio, collaboro da diversi anni per Antistress Academy, struttura unica che accoglie esperti internazionali e dove ho realizzato diversi progetti innovativi in materia di wellbeing per l’individuo e le organizzazioni. Non ultimo, Antistress Quality, che cerca di “portare” una vera e propria nuova mentalità antistress nel mondo del lavoro.

Come Formatore per la Pubblica Amministrazione poi, mi sono anche imbattuto in realtà molto “crude” e “resistenti”, scettiche non solo al mio ruolo, ma anche alle mie idee di Benessere e Felicità e alla possibilità di un pragmatico cambiamento. Solo con il giusto tempo, formando migliaia di lavoratori, dipendenti, quadri e dirigenti e dopo il loro istantaneo e sorprendent
e feedback positivo, ho compreso che la strada era giusta … si può cambiare e lo si può fare solo conoscendo la giusta direzione!

 

Mi sono spinto così oltre, cercando di far comprendere quanto sia importante una nuova formamentis centrata sul Benessere e che, in fondo, il cambiamento è sempre necessario in alcune fasi della nostra vita. Quindi, ho realizzato Benessere Felice, una nuova impronta con innovative tecniche collaudate, esercizi, consigli e suggerimenti per conoscere e gestire lo stress e le problematiche derivanti, ma anche per ridare forza ed energia alla nostra personalità, per rinsaldare le nostre difese e riappropriarci di una meritata serenità.

 

 

 

Benessere Felice rappresenta:

  • una formamentis centrata sul Benessere
  • un mindset innovativo e pragmatico
  • una guida per imparare a riconoscere e gestire lo stress e l’ansia
  • uno strumento ricco di esercizi e pratiche quotidiane per combattere il pensiero negativo
  • un supporto motivazionale improntato  sull’ottimismo
  • un “manuale operativo” da leggere e praticare con fiducia …

 

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MINDFULNESS IN AZIENDA

Essere consapevoli, anzi, essere attenti con consapevolezza, rappresenta un vero potere per l’individuo, ma anche per le organizzazioni. Questo era già ben noto 2500 anni fa, tempo in cui la mindfulness era una pratica ed un insegnamento centrale della tradizione psicologica buddhista.

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Oggi, la mindfulness viene considerata uno stile di pensiero, una formamentis in cui pensieri, emozioni e azioni vengono “liberati” dai classici automatismi comportamentali. Proprio attraverso un processo di progressiva consapevolezza, si disinnesca il famoso pilota automatico!

Le pratiche di mindfulness si concentrano strategicamente sulla dimensione temporale. È sufficiente sottolineare che oltre il 70% del tempo che viviamo, lo dedichiamo ad esplorazioni del passato o del futuro, praticamente a dimensioni che in realtà, non esistono! D’altra parte, è ben noto che lo stress che a volte sovrasta le nostre vite private e lavorative, è legato al 30% da ciò che accade, ma al 70% a ciò che pensiamo possa accadere!

La mindfulness, attraverso opportuni esercizi di respirazione e di consapevolezza, diventa una pratica essenziale anche nei moderni scenari lavorativi ed organizzativi e non è un caso che grandi Aziende abbiano sviluppato dei programmi per dipendenti e manager. Apple consente ai manager di meditare 30 minuti al giorno, mentre Nike ha una sala relax con percorsi indicati per tutti i dipendenti. Google sviluppa programmi di mindfulness personalizzati e in Yahoo, i lavoratori possono usufruire di sale meditative. Procter e & Bamble, Deutsche Bank sono altri esempi di aziende che ben comprendono la strategica rilevanza del benessere.

Quando si parla di “focus sulla Persona”, quindi, occorre considerare anche delle pratiche virtuose centrate proprio sul benessere e su una sempre più necessaria “wellbeing culture”. In sintesi, come dimostrano ormai numerosi studi, questi gli effetti più immediati della mindfulness in azienda:

  • Integrazione mente-corpo.
  • Focalizzazione del Quì e Ora.
  • Chiarezza nel lavoro e aumento della performance.
  • Coesione e condivisione di gruppo.
  • Self efficacy e creatività davanti ai problemi.
  • Intelligenza emotiva.
  • Potenziamento del team e della collaborazione.
  • Flessibilità e apertura al cambiamento.
  • Miglioramento delle dinamiche interpersonali e migliore comunicazione interna.
  • Miglioramento benessere psicofisico.
  • Prevenzione della ruminazione mentale.
  • Miglioramento del clima aziendale.
dimmi come cammini e ti dirò chi sei mirco turco

5 ELEMENTI CHIAVE DEL BENESSERE, 10 LIFE SKILLS ESSENZIALI E 12 MOTIVI PER ESSERE OTTIMISTI

Oggi, l’obiettivo primario per ogni organizzazione dovrebbe essere quello di dedicare una profonda attenzione alla risorsa umana. Prestare attenzione alla risorsa umana, significa conoscere l’individuo, il suo comportamento, la sua personalità, le sue sfaccettature, oltre ai suoi interessi, valori, percezioni e convinzioni del mondo. Non basta “occuparsi” del profilo professionale, occorre “preoccuparsi” della Persona!

Ulteriore obiettivo auspicabile è quello di creare organizzazioni felici, in cui ogni lavoratore, oltre alla piena consapevolezza del proprio lavoro, viva e operi in condizioni favorevoli, in un clima improntato sul benessere.

Certificare il Fattore Umano Mirco Turco

I 5 elementi chiave del Benessere:

  1. Positive Emotion (emozione positiva): sviluppare, conoscere e vivere emozioni positive all’interno del proprio contesto lavorativo.
  2. Engagement (coinvolgimento): essere “attivati”, coinvolti nelle dinamiche lavorative ed aziendali e non essere solo dei meri esecutori.
  3. Relationships (relazioni): tessere rapporti interpersonali significativi.
  4. Meaning (significato): comprendere il perché del proprio lavoro, delle proprie mansioni, della mission aziendale.
  5. Accomplishment (realizzazione): identificazione e raggiungimento degli obiettivi e piena soddisfazione.

Un altro passo strategico per le aziende è favorire il processo di empowerment (acquisizione di potere). Rendere il lavoratore empowered non è un processo automatico, né semplice. Occorrerebbe parlare di life skills e non solo di soft skills.

Le 10 life skills, competenze per il lavoro e per la vita:

  1. Auto-consapevolezza.
  2. Gestione delle emozioni.
  3. Relazioni interpersonali.
  4. Pensiero creativo.
  5. Pensiero critico.
  6. Processo decisionale.
  7. Problem solving.

Antistress

Imparare l’ottimismo è un’altra abilità che occorrerebbe implementare (Almeno per 12 motivi). Forse, non sapevi che:

  1. Le persone ottimiste hanno meno probabilità di morire di infarto rispetto ai pessimisti, tenuto conto di tutti i fattori di rischio somatici noti.
  2. Le donne dal sorriso genuino (Deuchenne) nella fotografia di classe, all’età di 18 anni, avranno meno divorzi e più soddisfazioni coniugali di quelle che mostrano sorrisi falsi.
  3. L’autodisciplina funziona come predittore dei voti durante le scuole superiori in maniera doppiamente precisa rispetto al Quoziente Intellettivo.
  4. Gli adolescenti felici, quindi anni dopo, guadagnano molto di più rispetto agli adolescenti meno felici, a pari condizioni di reddito, voti e altri fattori.
  5. L’ottimismo è in grado di alimentare il benessere individuale. Una persona ottimista si distingue per il suo pensiero e per il suo atteggiamento nei confronti della vita.
  6. L’ottimista è una persona che sta bene non per motivi superficiali, ma perché sa affrontare la vita con il pieno delle sue risorse, con flessibilità e consapevolezza.
  7. L’ottimismo produce rilevanti effetti sul piano biologico, psicologico, sociale e culturale. A livello biologico, è stato riscontrato come l’ottimismo abbia influenze dirette sia sul sistema endocrino, collegato con la condizione di stress, tramite la produzione delle catecolamine, sia sul sistema psiconeuroimmunitario, con un incremento dei leucociti e il mantenimento di adeguati livelli di citochine e interleuchine.
  8. Le persone ottimiste si ammalano significativamente di meno e vivono più a lungo, rispetto a chi non è ottimista. Molte ricerche in questo campo hanno confermato questa convinzione.
  9. L’ottimismo si è rilevato come un forte predittore di longevità. Sembra che l’ottimismo contribuisca anche a diminuire in modo significativo la pressione sanguigna e il colesterolo.
  10. L’ottimismo è un modo efficace per affrontare poi le incertezze.
  11. L’ottimista tiene conto che esistono diversi percorsi alternativi e differenti punti di vista possibili. Questo atteggiamento aumenta la flessibilità e la versatilità.
  12. L’ottimismo è un efficace e potente promotore delle emozioni positive, come gioia, contentezza, serenità, soddisfazione o allegria. Questo comporta un importante aumento del benessere soggettivo e della qualità della vita.

 

 

Antistress

Sulla Libertà …

Sulla Libertà …

Antistress

In questi giorni particolari, che spero costituiscano memoria per tutti, mi sono fermato, spesso, sulla nostra tanto amata libertà e sul senso –eventuale – di essa.

Ho sempre pensato, indipendentemente dalla mia professione, che parlare di libertà fosse cosa assai difficile e che, di primo impatto, ogni volta che ne discutiamo, alimentiamo solo una mera illusione, indipendentemente dagli illustri inganni di parole.

Sicuramente, la libertà non consiste solo nel non avere un padrone, ma decidere di pensare, esprimersi ed agire senza costruzioni, ricorrendo alla nostra cara volontà, mediante una scelta.

Al contempo, però, mi balza il pensiero kantiano che la libertà è sempre e comunque condizionata: dal mondo reale, dalle leggi, dalle varie situazioni. E basterebbe riflettere superficialmente sulla situazione odierna … Ma non solo.

La libertà si ha senza che un sistema ci inghiotta (I. Berlin), cosa utopica direi e sarebbe quindi quanto mai opportuno parlare solo di percezione di libertà.

Kierkegaard affermava che la libertà non può non risentire della finezza della nostra esistenza che rende contraddittoria e drammatica ogni nostra scelta individuale, mentre K. Jaspers sosteneva  che ognuno di noi è, solo quando sceglie. Appunto, quale scelta? Poiché anche il non scegliere, a volte, diventa una scelta.

Psicologicamente, ritengo che il focus centrale e risonante sia non solo la nostra percezione della libertà, ma anche il nostro vissuto. Infatti, è ognuno di noi a crearsi  la sua prigione. Parallelamente, potrebbe evadere da essa.

Se da un lato, libertà significa anche capacità di determinarsi secondo un’autonoma scelta, è mio parere che non si tratta mai di libertà in senso assoluto, ma comunque e nuovamente di libertà condizionata da limiti esterni, ambientali e da limiti interni, ovvero pulsionali. La libertà appare dunque più una vera conquista che un mero dato.

Se non siete liberi interiormente, che altra libertà sperate di ottenere, diceva A. Graf, mentre M.L. King affermava  che la mia libertà finisce dove comincia la vostra!

Certo è che, in certe situazioni, vogliamo, ma non possiamo essere liberi. Proprio come oggi. Ma solo come oggi? O in fondo, è stato sempre così? Un uomo è libero nel momento in cui desidera esserlo,  diceva Voltaire.

Forse, in fondo, è sempre e comunque questione di consapevolezza. La libertà deriva, infatti, dalla consapevolezza e la consapevolezza dalla conoscenza. E quindi? Quanto conosciamo del mondo esterno, oltre che di quello interno? Oltre i paradossi della conoscenza, della stessa informazione e quindi della disinformazione, E. Fromm affermava che, di fatto, la libertà non la vogliamo. Perché la libertà ci obbliga a prendere decisioni e le decisioni comportano rischi.

Oggi, più che mai, occorre chiedersi quali possano essere questi rischi o se l’unico rischio è proprio quello della libertà!

Non posso, poi, non citare  S. Freud che, al solito, potrebbe avere una certa sensata ragione: la libertà non è un beneficio della cultura: era più grande prima di qualsiasi cultura, e ha subito restrizioni con l’evolversi della civiltà.

Ogni discorso sulla libertà è allora promosso dall’ignoranza delle cause che determinano il comportamento. E allora, forse, non ci rimane altro che essere liberi nell’anima …

Quando hai smesso di danzare?

Quando hai smesso di danzare?

La vita quotidiana offre infinite opportunità per fermarsi! Mai come in questo periodo tale affermazione risuona in ognuno di noi e lo fa, paradossalmente, anche in modo saggio …

Nonostante tutto, non provo ansia, non ho disturbi del sonno, né sintomi fisici inspiegabili. Non avverto fatica, irritabilità, né mancanza di gioia, né tantomeno avverto disperazione. Insomma, non mi sento affatto esaurito! Poi, con alcune letture e riflessioni, ripassando anche metodi e tecniche antistress e pratiche di consapevolezza, scopro che, in fondo … non può che essere così! Ma scopriamolo insieme.

Il modello del “gorgo” di M. Asberg di Stoccolma, che ha studiato molto bene il Burnout, potrebbe spiegarci bene ciò che viviamo e rappresentare un’occasione, insieme a questa “pausa forzata”, di riorientare la nostra vita.

Partiamo dall’osservazione attenta del seguente disegno.

Il cerchio in alto rappresenta come stanno le cose quando viviamo una vita piena ed equilibrata. Quando le cose da fare aumentano, tuttavia, molti di noi tendono a lasciar cadere alcune di queste per concentrarsi su quello che considerano “importante”. I cerchi così si restringono, riducendo progressivamente la nostra vita. Se lo stress aumenta, infatti, aumentano le rinunce e i cerchi si restringono sempre di più. Le prime cose che lasciamo perdere, solitamente, sono in verità quelle che ci nutrono di più, ma che consideriamo “facoltative”. Il risultato è che ci rimangono il lavoro e altri fattori di stress. Ciò comporta uno svuotamento progressivo delle nostre risorse e la fine di ciò che ci nutre realmente.

Ma chi “finisce” più spesso verso il basso? A “scivolare” progressivamente sono paradossalmente le persone più coscienziose, nelle quali il livello di fiducia in se stesse dipende soprattutto dai risultati che hanno dal lavoro.

Il gorgo si crea, allora, man mano che il cerchio della vita si restringe, per concentrarsi solo sulla risoluzione dei problemi immediati. Si sprofonda giù, via via che si rinuncia a un numero di cose piacevoli e divertenti, a quelle cose che consideriamo cioè “facoltative”. Ciò seve per fare spazio solo a quelle “importanti” (es. il lavoro).

Qual’ è però il risultato finale? Affondiamo sempre più, proprio rinunciando a quelle cose che ci danno, invece, il principale nutrimento. Ciò ci lascia sempre più esausti, incapaci e infelici. Ci troveremo a toccare il fondo, ridotti ad un surrogato di noi stessi.

E allora, non rinunciate. Non smettete di alimentare le vostre passioni, i vostri interessi, il vostro hobby preferito o a una parte della vita sociale e relazionale. Non rinunciate a divertirvi, a fare attività fisica, a farvi una chiacchierata leggera e spensierata con qualcuno. Non procrastinate, non rinunciate … oggi, più che mai, riprendete a danzare!

La vita quotidiana offre infinite opportunità per fermarsi! Oggi, è una di queste opportunità …

 

 

Rif.to: M. Williams, D. Penman (2016). Metodo Mindfulness. Oscar Mondadori.

Un topolino con il complesso della civetta

Un topolino con il complesso della civetta.

In un esperimento condotto da alcuni psicologi, qualche anno fa, si chiese a degli studenti di fare un semplicissimo gioco con un labirinto. Bisognava tracciare una riga con una matita dal centro del labirinto fino all’uscita, senza staccare la matita dal foglio (molti di voi lo conoscono sicuramente). Si chiedeva ai partecipanti, divisi in due gruppi, di risolvere l’enigma e l’obiettivo era quello di aiutare un topolino disegnato a raggiungere sano e salvo la sua tana. C’era una variante però: un gruppo si impegnava su una versione del labirinto che aveva anche un pezzo di formaggio dall’aspetto invitante e delizioso davanti alla tana, subito dopo l’uscita dal labirinto stesso. In linguaggio tecnico questo è noto come “enigma positivo” o “orientato all’avvicinamento”. Nella versione dell’altro gruppo non c’era il formaggio, c’era invece la figura di una civetta che si librava, pronta a piombare sul topo in ogni istante e a catturarlo con gli artigli. Questo è noto come “enigma negativo” o “orientato all’evitamento”.

I due labirinti era facili da percorrere e infatti, tutti li completarono nel giro di un paio di minuto. Gli effetti successivi del gioco sugli studenti, invece, furono ben diversi. Dopo averlo completato, i ragazzi erano stati invitati a fare un altro test, in apparenza scollegato che misurava la creatività. Quelli che avevano evitato la civetta diedero risultati peggiori del 50% rispetto a quelli che avevano aiutato il topolino a trovare il formaggio!

Venne fuori che nella mente degli studenti, l’evitamento aveva spento la capacità di accedere alle diverse opzioni, aveva attivato in loro il circuito di avversione lasciandoli con un persistente sensazione di paura e aumentando in loro la vigilanza e la cautela. Quello stato mentale aveva il duplice effetto di indebolire la creatività e ridurre la flessibilità della mente stessa.

Per gli studenti che avevano aiutato il topolino a trovare il formaggio, invece, la prospettiva non avrebbe potuto essere più differente: si erano aperti a nuove esperienze, erano più giocosi e spensierati, meno cauti, ben contenti di sperimentare. L’esperienza aveva aperto loro la mente.

Questo interessantissimo esperimento si presta a diverse interpretazioni, anche in merito ai nostri giorni. Potremmo dire, in primis, che lo spirito con cui fai una cosa, spesso, ha la stessa importanza dell’azione in sé.

Se fai una cosa in modo negativo o critico, se ci rimugini sopra o ti preoccupi eccessivamente, se porti a termine un compito a denti stretti, attivi il sistema di avversione della mente … Ciò ti fa diventare un topolino con il complesso della civetta: più ansioso, meno flessibile e meno creativo. Se invece fai la cosa a cuore aperto e volentieri, attivi il sistema mentale di avvicinamento: la tua vita ha la possibilità di diventare più ricca, calda, flessibile e creativa. Non c’è niente che attivi il sistema di evitamento quanto l’impressione di essere in trappola!

Pensare con il corpo

PENSARE CON IL CORPO

 

Gli indiani Pueblo mi dissero che tutti gli americani sono pazzi. Naturalmente ne fui stupito e chiesi perché. Risposero. “ … dicono che pensano con la testa. Nessun uomo sano di mente pensa con la testa” (C.G. Jung)

 

Hai mai notato come il cattivo umore influenzi il tuo corpo? Per esempio nel modo di muoverti …

Lo psicologo J. Mickalak e i suoi colleghi dell’Università della Ruhr hanno utilizzato un sistema di registrazione ottica del movimento per vedere le differenze di andatura fra le persone depresse e quelle non depresse.

Hanno così invitato nel loro laboratorio alcuni volontari nelle due diverse condizioni e hanno chiesto loro di camminare liberamente. Mentre camminavano i loro movimenti venivano registrati da alcuni marcatori posizionati al loro corpo.

I ricercatori hanno scoperto che le persone depresse camminavano più lentamente e dondolavano meno le braccia; la parte superiore del corpo non oscillava molto durante la camminata e tendeva a oscillare più lateralmente. Hanno inoltre scoperto una posizione tendenzialmente ingobbita o pendente in avanti.

Ora prova tu. Siediti su una sedia e poni le tue spalle in avanti e la testa bassa. Fallo per qualche minuto. Poi, nota come ti senti. Se il tuo umore è peggiorato, alzati in piedi, poniti con una postura eretta e il capo dritto.

Quando ti senti depresso, allora, la prima cosa che puoi fare è cambiare postura e movimenti. Cerca di prediligere movimenti verso l’alto e metti in equilibrio il tuo corpo, con la testa, il collo e le spalle. Prova a oscillare progressivamente le braccia, sollevandole sempre più su. Se vuoi fare le cose complete, prova anche ad abbozzare un sorriso …

Questa non è sicuramente una cura, ma un buon inizio e ricordiamo che, sovente, ci capita di passare così tanto tempo nella “testa” che dimentichiamo di avere un corpo!

Psychology & Survival

La chiave per ogni situazione di sopravvivenza è l’attitudine mentale dell’individuo!

Molti manuali di sopravvivenza militare fanno riferimento alle capacità mentali dell’individuo che si trova in particolari situazioni disagiate o ambienti ostili. D’altra parte, questo spiega perché persone addestrate che non fanno leva sulle proprie attitudini mentali, hanno meno successo rispetto a individui, che pur non avendo un addestramento specifico alla sopravvivenza, mettono in campo tale fattore.

Lo chiameremo, pertanto, SSE, Survival Self-Efficacy, la convinzione di essere efficaci in un determinato ambiente sconosciuto o ostile al fine della sopravvivenza.

La psicologia della sopravvivenza cerca di evidenziare come i diversi fattori di stress in una determinata situazione ad alto rischio incidono sulle capacità mentali dell’individuo.

Analogamente, si occupa di specificare come alcune strategie mentali particolari in situazioni ostili, possono essere determinanti al fine della sopravvivenza.

Lo stress, come specificato anche in altre trattazioni, non va considerato una malattia. E’ un naturale adattamento a situazioni nuove. E’ al contempo, un’esperienza psichica, emozionale, fisiologica in risposta alle diverse tensioni della vita.

Lo stress, di fatto, per alcuni livelli, è necessario (eustress) poiché fa funzionare meglio i meccanismi mentali e comportamentali dell’individuo. Attenzione, concentrazione, orientamento, memoria, apprendimento, funzionano meglio quando sperimentiamo un livello di stress. Superata la fatidica soglia dello stress (soglia soggettiva) però, qualsiasi tipo di performance subisce un decremento e mentalmente, cominciamo a vivere sensazioni e ad avere comportamenti “alterati” che, progressivamente, possono farci sperimentare stati di panico, angoscia, …

Livelli elevati di stress, in generale, producono:

  • Difficoltà nel prendere decisioni.
  • Scoppi d’ira e maggiore irascibilità.
  • Dimenticanze e sbadataggini.
  • Livello d’energia basso e riduzione arousal.
  • Continue preoccupazioni e pensiero negativo.
  • Inclinazione a sbagliare con maggiore percentuale di errori e disattenzione.
  • Pensieri autolesionisti (es. pensare con maggiore frequenza alla morte o al suicidio).
  • Atteggiamento aggressivo con altri individui.
  • Isolarsi dagli altri e tendenze autistiche.
  • Nascondersi dalle responsabilità e assunzione di comportamento passivo.
  • ….

Si parla di tolleranza allo stress o alla frustrazione e di addestramento sotto stress. Le nostre reazioni, infatti, o i nostri meccanismi difensivi devono (dovrebbero) essere maturi e congrui anche in situazioni ostili.

I fattori di stress nella sopravvivenza.

Una reazione che ci accomuna agli altri esseri animali è quella “attacco o fuga”, ovvero, quando percepiamo un pericolo o un fattore stressante, il nostro cervello si attiva per difendersi da esso. Di conseguenza, il nostro organismo, si prepara per lottare e fuggire. Il corpo rilascia una maggiore quantità di zuccheri e grassi per garantirci una maggiore spinta energetica; il respiro aumenta per l’aumento della richiesta di ossigeno nel sangue; la tensione muscolare aumenta per entrare in azione prontamente; aumenta la coagulazione del sangue per ridurre il sanguinamento delle ferite; le pupille si dilatano e l’udito si attiva meglio; si possono avere anche fenomeni di sinestesia particolari (es. gli odori prendono forma); mentre il ritmo cardiaco e la pressione sanguigna aumentano per portare maggiore quantità di sangue ai muscoli.

In questo modo diventiamo progressivamente più consapevoli dell’ambiente circostante e quindi anche più reattivi.

Come già visto in precedenza, però, non possiamo rimanere in tale fase di allarme per troppo tempo.

In situazioni ostili, gli stress si sommano e si moltiplicano mentre, al contempo, la nostra resistenza decresce e possiamo arrivare all’esasperazione e all’esaurimento. La fase successiva è l’angoscia che mista al panico porteranno l’individuo in una situazione di imminente pericolo di vita.

Anticipare lo stress o la situazione frustrante è un ottimo metodo per imparare a gestire situazioni ad alto rischio. Sembrerà banale, ma sapere cosa ci aspetta può ridurre il vissuto dello stress. Conoscere un territorio ostile, prima di addentrarsi, quindi, informarsi strategicamente, è altamente consigliato.

 

Lesioni, malattia, morte critical
Incertezza, Mancanza di controllo critical
Ambiente critical
Fame e sete critical
Fatica critical
Isolamento critical
  • In situazioni ostili e critiche, le lesioni (personali o di persone che sono con noi), eventuali malattie e la morte, sono da considerarsi reali e anche altamente probabili. Il fatto di non pensarci non è sufficiente per evitare che ciò possa accadere.
  • Tali situazioni possono, inoltre, impedirci di procurarci cibo, acqua ed altre risorse per difenderci e sopravvivere. Allo stress, sopraggiunge la paura e lo sconforto.
  • Il territorio ostile è poco conosciuto e gli aspetti di esso appaiono imprevedibili, con poche informazioni e certezze. Ciò può determinare una perdita di controllo o la percezione che non si possa avere il controllo della situazione.
  • In generale, l’ambiente fisico (clima, terreno, varietà animali e vegetazione) è potenzialmente stressante. Volgere lo stesso a proprio favore risulta di strategica rilevanza per la sopravvivenza, anche quando dobbiamo procurarci cibo e acqua. Non avere provviste, ad esempio, o non sapere come procurarsele, è una sicura fonte di stress.
  • Un altro fattore stressante è la stanchezza che sopraggiunge non solo per esaurimento delle energie fisiche, ma anche come conseguenza dello sconforto in cui possiamo trovarci a causa delle diverse condizioni avverse.
  • In condizioni ostili di sopravvivenza dobbiamo anche affrontare un altro aspetto: la solitudine. Contare solo sulle proprie risorse è un’attitudine mentale ma è anche un tratto personologico. La sopravvivenza è più semplice, a volte, proprio perché si ha qualcuno al proprio fianco, unito nel destino e nello scopo (interdipendenza).

 I meccanismi di sopravvivenza e le reazioni naturali.

 Situazioni di rischio, pericolo e in generale condizioni ostili possono, in modo abbastanza naturale, esporci a reazioni particolari che solo se conosciute e gestite possono essere volte a nostro favore. Sapere che un fenomeno, una reazione, una qualsiasi cosa esiste, riduce la percezione dello stress, il senso di disorientamento, la frustrazione.

La paura è una naturale reazione a situazioni pericolose o rischiose per la nostra vita e/o quella degli altri. La paura è un’emozione che può durare un certo lasso di tempo, ovvero, possiamo essere in uno stato di paura anche se cessa lo stimolo pauroso. L’intensità della paura è variabile (da lieve apprensione al terrore), inoltre, può essere vissuta anche in commistione ad altre emozioni.

La paura può essere sperimentata anche in base a situazioni non reali e dunque immaginate o anticipate.

E’ positiva quando ci spinge ad essere cauti nel prendere decisioni azzardate, destinate cioè al fallimento. Provare paura, in determinate situazioni, è provvidenziale.

In altre occasioni, però, la paura può diventare invalidante e inibire ogni attività utile alla sopravvivenza. Per tali ragioni, occorre esplorare e conoscere le nostre paure e implementare progressivamente il senso di fiducia e di fronteggiamento. Tale processo è però graduale e richiede tempo e azioni sistematiche.

In situazioni ostili è naturale anche provare un certo stato di ansia. L’ansia è uno stato di agitazione psicomotoria che se ben canalizzata, ci spinge a raggiungere il nostro obiettivo ma se gestita male può complicare la sopravvivenza. L’ansia deriva, pertanto, soprattutto da un’anticipazione mentale delle conseguenze di alcune azioni e situazioni. Pensare ripetutamente alle lesioni che possiamo procurarci prima di fare una determinata azione, determina una reazione d’ansia che può inficiare sulla nostra performance.

L’allenamento e l’addestramento strutturato, anche nell’esecuzione di alcuni compiti e operazioni riduce, in modo sistematico, l’ansia.

Quando, invece, sperimentiamo una situazione di ansia persistente, cominciamo parallelamente a sperimentare confusione, senso di svuotamento mentale, difficoltà di pensiero e ragionamento.

Rabbia e frustrazione possono, invece, sopraggiungere quando non raggiungiamo in un certo lasso di tempo l’obiettivo prefissato. La differenza e la distonia tra quello che voglio e quello che sto ottenendo può determinare la frustrazione e di conseguenza, un meccanismo vorticoso di pensiero negativo di non farcela.

Livelli elevati di frustrazione possono, inoltre, attivare la rabbia che complica ancor di più la nostra situazione di sopravvivenza.

Subire danni all’attrezzatura, vivere un clima sfavorevole, muoversi in un terreno inospitale, essere in una zona con numerosi nemici o predatori, sono tutti elementi che possono aumentare la frustrazione vissuta.

Tali condizioni sfavorevoli, specie se la persona non è sufficientemente addestrata e non utilizza bene il classico fattore mentale, spingono verso comportamenti irrazionali e impulsivi, decisioni errate e incontrollate. La frustrazione e la rabbia, infine, consumano le nostre energie che, invece, dovrebbero essere impiegate diversamente e produttivamente.

Occorre considerare le reazioni alla frustrazione e distinguere, di conseguenza, quelle adeguate da quelle inadeguate in situazioni di sopravvivenza in territorio ostile.Certificare il Fattore Umano Mirco Turco

  • Reazioni adeguate: intensificazione dello sforzo, riorganizzazione dei dati; sostituzione dei fini.
  • Reazioni inadeguate: rabbia, chiusura autistica, regressione.

Una situazione protratta di frustrazione potrebbe farci sperimentare uno stato depressivo. Finché conserviamo una certa dose di aggressività costruttiva (voglia e desiderio di sopravvivere) siamo immuni dalla depressione. Quando però sopraggiunge la sconfitta, in primis mentale, possiamo cadere in un profondo stato depressivo.

La persona comincia a mutare tipologia e contenuto di dialogo interno (parlare con se stessi). Sopraggiungono frasi del tipo “non posso fare nulla … ormai è finita …”. La speranza cede e con essa intervengono profonda tristezza e senso di sfinimento.

In condizioni depressive è molto difficile ritrovare una motivazione per continuare ad andare avanti e non abbandonare la speranza di sopravvivere.

Proprio in tali momenti occorre riagganciarci ad una qualsiasi ancora emotiva, spinta motivazionale, che non ci lasci sprofondare nella depressione.

 In situazioni rischiose e in zone ostili la probabilità di rimanere soli è alta. Fare i conti con la solitudine è obbligatorio, soprattutto perché per l’essere umano è difficile pensare a situazioni di solitudine assoluta protratta, anche in virtù della natura apparentemente sociale dell’essere umano.

In situazioni di solitudine occorre considerare che possono emergere anche aspetti positivi del nostro carattere, anche risolutivi. La solitudine non è quindi da considerare necessariamente fattore con accezione negativa.

Se però la persona si lascia sopraffare dal vuoto della solitudine e da un senso di scarsa autoefficacia, la performance viene inficiata e si ha un progressivo aggravamento dello stato emotivo e cognitivo del soggetto stesso.

In fase di addestramento va considerato che non tutti possiedono in modo innato tale abilità di “camminare da soli”.

 

 

Tratta da: Mirco Turco (2014). PSSS, Psychology, Security, Self Defense, Survival. Gruppo Ed. L’Espresso.

OTTIMISMO e Immunizzazione Psicologica

L’ottimismo è uno stato d’animo o un atteggiamento

caratterizzato da aspettative sul futuro personalmente o socialmente desiderabili,

vantaggiose o gradevoli” (L. Tiger).

L’ottimismo è in grado di alimentare il benessere individuale. Una persona ottimista si distingue per il suo pensiero e per il suo atteggiamento nei confronti della vita.

L’ottimista è una persona che sta bene non per motivi superficiali, ma perché sa affrontare la vita con il pieno delle sue risorse, con flessibilità e consapevolezza.

L’ottimismo produce rilevanti effetti sul piano biologico, psicologico, sociale e culturale. Infatti, coinvolge l’esistenza nella sua totalità ed è in grado di generare un fondamentale innalzamento del benessere soggettivo: la propria esistenza viene valutata più favorevolmente e si hanno maggiori condotte emotive positive.

A livello biologico, è stato riscontrato come l’ottimismo abbia influenze dirette sia sul sistema endocrino, collegato con la condizione di stress, tramite la produzione delle catecolamine, sia sul sistema psiconeuroimmunitario, con un incremento dei leucociti e il mantenimento di adeguati livelli di citochine e interleuchine.

Pessimismo ed emozioni negative modificano, infatti, il profilo del sistema immunitario, tramite l’aumento del rilascio da parte dei globuli bianchi, di alcuni mediatori, tra cui appunto le citochine e le interleuchine-6. Le citochine influenzano il comportamento alimentare, il ciclo sonno-veglia, il comportamento sessuale, il tono dell’umore e le prestazioni psicomotorie. L’eccesso di rilascio di citochine e delle interleuchine porta a una riduzione della sensibilità dei recettori nervosi interessati e, col tempo può portare a fenomeni di immunodepressione e alla predisposizione a episodi ricorrenti di infiammazione. Nelle persone dotate di ottimismo, invece, si osserva un contenimento di questi processi immunitari negativi.

Si può quindi sostenere che le persone ottimiste si ammalano significativamente di meno e vivono più a lungo, rispetto a chi non è ottimista. Molte ricerche in questo campo hanno confermato questa convinzione.

L’ottimismo si è rilevato come un forte predittore di longevità. Sembra che l’ottimismo contribuisca anche a diminuire in modo significativo la pressione sanguigna e il colesterolo.

L’ottimismo è un modo efficace per affrontare poi le incertezze. Proprio per questo, esso favorisce l’apertura mentale delle persone, poiché implica un atteggiamento di sensibilità verso le condizioni del contesto e verso le novità in esso contenute. Gli ottimisti sanno valorizzare le opportunità derivate dall’incertezza, nella convinzione che sia possibile imparare maggiormente da come le cose diventano piuttosto che da come le cose sono.

Al contrario, i pessimisti sono chiusi riguardo al futuro della propria visione stereotipata e automatica, laddove gli ottimisti sono aperti al futuro in senso realistico. L’ottimista trae il suo benessere psicologico dal suo essere ancorato alla situazione presente ed essere impegnato in ciò che sta facendo, nel quì ed ora.

Inoltre, l’ottimista tiene conto che esistono diversi percorsi alternativi e differenti punti di vista possibili. Questo atteggiamento aumenta la flessibilità e la versatilità.

L’ottimismo è un efficace e potente promotore delle emozioni positive, come gioia, contentezza, serenità, soddisfazione o allegria. Questo comporta un importante aumento del benessere soggettivo e della qualità della vita.

COSA FARE PER IMPLEMENTARE L’OTTIMISMO NEI BAMBINI E NEI RAGAZZI.

 

Imparate ad identificare i pensieri negativi.

I bambini, spesso, parlano ad alta voce: “Sono una frana”, “Ho i capelli brutti”, “Sono brutta” … Incoraggiate il bambini a prendere nota di tali pensieri (false credenze) su un diario o agenda. Potete farlo anche voi con il loro permesso.

Parlate ai vostri bambini.

Prendete l’iniziativa e parlate di come potrebbe andare la vostra giornata. Chiedete a vostro figlio di fare lo stesso. L’idea è quelle di imparare a non aver alcun timore di parlare degli eventi futuri, così come del presente.

Orientamento alla sfida.

Se si presenta un problema, un ostacolo, una difficoltà, affrontateli con sorriso: “… penso di farcela comunque” … “mi impegnerò per superarla”. Parlate con vostro figlio con un atteggiamento improntato sull’ orientamento alla sfida, evitando atteggiamenti pessimistici o comunque negativi.

Progressi e non solo risultati.

Incoraggiate il bambino a parlare dei suoi progressi, delle sfide affrontate, delle difficoltà, dei miglioramenti e non solo dei risultati. A volte, il processo è più importante del risultato finale. La strada è molto più istruttiva del traguardo!

Capacità di analisi.

Spingete il bambino verso un’analisi di ciò che accade. Alcuni ricercatori dimostrano che siamo geneticamente programmati a prestare attenzione più alle brutte notizie che a quelle buone, perché le prime ci aiutano a sopravvivere nelle situazioni pericolose. Focalizzate l’attenzione anche su quello che funziona e va bene. Prima di andare a dormire, passate con vostro figlio alcuni minuti per sottolineare “tre cose buone” che sono accadute durante la giornata, descrivendo gli effetti delle stesse.

 

Check-list

  • Favorite la curiosità e il piacere della scoperta, permettendogli di usare ciò che trova.
  • Fidatevi di lui, aiutandolo a impegnarsi in attività, progetti e relazioni.
  • Considerate gli errori come aree di miglioramento. Non esistono fallimenti, ma solo feedback!
  • Sottolineate i successi ottenuti, pur se piccoli o simbolici.
  • Insegnate l’umorismo. Sorridere delle cose è la chiave per superarle!
  • Favorite il conseguimento di un obiettivo.
  • Favorite la sua combattività e la tenacia, spronandolo quando sembra pigro o svogliato.
  • Favorite la consapevolezza dei propri sforzi che lo hanno portato al successo.
  • Favorite atteggiamenti di affiliazione e contatto con gli altri.
  • Fatelo interessare ai legami sociali e rendetelo aperto alle diversità.
  • Favorite la condivisione e la compartecipazione.

 

 

  1. Ascolese, La funzione dell’ottimismo nel processo di regolazione delle emozioni. (fonte web)
  2. Braconnier (2017). Il segreto dei bambini ottimisti. Feltrinelli.

Mindufull Eating

Questo “periodo” particolare della nostra vita potrebbe insegnarci molto. Sembrerà paradossale, ma alcune attività che svolgiamo durante le nostre giornate possono essere improntate su una nuova forma mentis. Una forma mentis centrata sulla calma e sulla consapevolezza.

Essere MINDFULL può sicuramente aiutarci. Essere MINDFULL significa prestare maggiore attenzione al momento e direi, ai momenti diversi della giornata, da quelli semplici a quelli più complessi.

Possiamo aumentare la nostra consapevolezza anche mentre mangiamo. In tal modo aiutiamo il nostro corpo e la nostra mente.

Sovente accade, infatti, che mentre mangiamo, a colazione, a pranzo o a cena, siamo “sconnessi”, poiché prestiamo attenzione ad altro o facciamo addirittura contemporaneamente altro, specie in questo periodo di ulteriore stress. Mentre i pensieri ci “assalgono”, in un attimo finiamo il nostro pasto non ricordandone il sapore, il gusto, la temperatura … Di fatto, non ci siamo goduti consciamente il pasto.

Mangiare si trasforma così in un’attività automatica, come tante altre, con la differenza che fa male al corpo e alla mente. La prima regola è allora PRESTARE ATTENZIONE.

Ti suggerisco, pertanto, di cominciare ad esercitarti. Comincia da un piccolo pasto, o anche semplicemente dal caffè. Pensa ad una sorta di “meditazione del caffè” come amo definirla. Prendere il caffè non è semplicemente prendere il caffè!

Concentrati sulla tazza, sulla temperatura, sul colore del caffè e intanto presta attenzione all’aroma, mentre poggi le labbra sulla tazza e concentrati sul calore, il gusto e mentre il caffè scende progressivamente, saggiane le tante caratteristiche gustative, olfattive …

Prestare attenzione a tutti questi elementi richiede ATTENZIONE E CONSAPEVOLEZZA, ma è l’unico modo per STOPPARE il pensiero, soprattutto quello negativo e ansiogeno.

Se fai questo piccolo esercizio per 1 settimana, potrai passare a “compiti” più complessi. Potrai, ad esempio, fare lo stesso esercizio con un cioccolatino.

Dopo che hai compreso il meccanismo principale dell’essere MINDFULL, cerca di comprendere anche se la fame, la sazietà mutano, così come se sei o meno soddisfatto. Ti garantisco, che in tal modo, con paziente esercizio, ogni morso, ogni assaggio ti fornirà la giusta gratificazione e soddisfazione. Il valore del cibo cambierà progressivamente.

Ricordiamoci che emozioni spiacevoli, quali la tristezza, il senso di vuoto, l’ansia, vengono sovente affrontate “attraverso il cibo”. Proprio in questi momenti cerchiamo di CALMARE LA MENTE in primis. Il primo passo è sempre e comunque RALLENTARE. Quindi, rallenta il respiro, rendilo più lungo e profondo. Esercitati per appena dieci minuti e poi, chiediti se quel cibo può alleviare la tua emozione. In tal modo, aumenti la consapevolezza.

Provare per Credere …

 

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